The day after: guida alla sopravvivenza dopo la Brexit

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Ha fatto scalpore, pochi giorni fa, la pubblicazione d’indiscrezioni su un rapporto riservato del governo britannico, contenente previsioni sui possibili scenari post-Brexit e sulle loro conseguenze economiche. Le prospettive non sono confortanti: si va da un impatto negativo del 2% sul PIL nel caso in cui il Regno Unito rimanesse nello Spazio Economico Europeo (SEE), al 5% qualora firmasse un Accordo Economico Commerciale e Globale (CETA) sul modello del Canada, all’8% nel caso di “hard Brexit” e applicazione delle regole WTO.

Il segretario di Stato per l’uscita dall’Unione europea David Davis si è affrettato a smentire le indiscrezioni, dichiarando che si tratta d’interpretazioni selettive d’informazioni incomplete e rifiutandosi di rendere pubblico il documento. Già in altre occasioni il governo aveva rigettato le richieste del Parlamento di ottenere maggiori informazioni sugli studi in corso, riguardanti sia le conseguenze della Brexit, sia i possibili accordi con Paesi terzi.

 

La seconda fase dei negoziati

La notizia arriva in coincidenza con l’approvazione di nuove direttive per le negoziazioni con Londra da parte del Consiglio dell’Unione. Il 15 dicembre, il Consiglio Europeo aveva finalmente autorizzato la delegazione della Commissione, capitanata da Michel Barnier, a intraprendere la seconda fase dei negoziati, riguardanti un periodo di transizione dopo il 29 marzo 2019 e la natura delle relazioni future. In tale occasione, i capi di stato e di governo avevano adottato delle linee guida, chiedendo alla Commissione e al Consiglio di elaborare direttive specifiche. Il 29 gennaio, dunque, il Consiglio, riunito nella configurazione Affari Generali, ha adottato le direttive richieste e ha dato mandato alla Commissione di proseguire i negoziati.

Prima di passare al contenuto della nuova posizione espressa dall’Unione, è utile fare una precisazione: sebbene le discussioni siano entrate nella seconda fase, la prima, riguardante i termini del “divorzio”, non è ancora conclusa. Se è vero che è stato raggiunto un accordo di massima sui temi principali – il contributo finanziario del Regno Unito al bilancio UE, il confine irlandese e altre questioni territoriali, i diritti dei cittadini – questi non sono vincolanti, e rimangono comunque diverse questioni irrisolte; pertanto, in parallelo allo svolgimento della seconda fase, le due delegazioni dovranno anche definire i punti ancora in sospeso e occuparsi di redigere il testo dell’accordo di recesso.

 

Le nuove indicazioni del Consiglio europeo

Per quanto riguarda le nuove direttive negoziali, che definiscono la posizione dell’Unione per i prossimi mesi, i contenuti non sorprendono. In primo luogo, il testo contiene, per la prima volta, un riferimento esplicito alla conclusione del periodo di transizione: il 31 dicembre 2020. Fino a questa data, al Regno Unito si applicherà l’intero acquis communautaire dell’Unione Europea, compresa la tariffa doganale comune e le quattro libertà: libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone. Secondo il Consiglio, infatti, l’accesso al mercato europeo comporta beneficiare dei diritti, ma anche adeguarsi ai doveri previsti: se vuole rimanere nel mercato unico, Londra non può scegliere quali libertà applicare – limitando, ad esempio, la circolazione dei lavoratori, una delle questioni più care ai sostenitori del No al referendum.

L’Unione ha reiterato questa condizione sin dall’aprile 2017, quando il Consiglio Europeo aveva adottato i primi orientamenti generali per i negoziati sulla Brexit: con una formula ormai diventata famosa negli ambienti di Bruxelles, there is no cherry-picking. Poiché la normativa dell’Unione continuerà ad applicarsi al Regno Unito, peraltro, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea manterrà la propria giurisdizione sino al termine del periodo di transizione.

La ratio principale di queste misure sarebbe garantire la certezza del diritto a cittadini, imprese e investitori nell’Unione e nel Regno Unito; in questo modo, l’adeguamento sarebbe graduale e controllato e le due parti avrebbero il tempo di definire le proprie relazioni future. Ricordiamo infatti che, anche se i negoziati inizieranno prima del 29 marzo 2019, un accordo definitivo potrà essere concluso solo dopo quella data, quando il Regno Unito diventerà un Paese terzo a tutti gli effetti.

 

L’esclusione dal processo decisionale

Mentre il Regno Unito dovrà continuare a rispettare le leggi dell’Unione, non sarà più rappresentato in alcuno dei suoi organi o istituzioni e non avrà più diritto di voto né influenza formale sul processo decisionale. Anche se questa misura appare abbastanza ovvia, visto che solo gli Stati membri godono di questo diritto, ha suscitato molti malumori: c’è chi rivendica un accesso privilegiato, oppure chi chiede limitazioni all’applicazione dell’acquis, visto che il Regno Unito non avrà più la capacità di deciderne il contenuto.

Il periodo di transizione, infatti, crea una condizione paradossale agli occhi dei sostenitori della Brexit: dopo aver ottenuto di uscire dall’Unione Europea, il Paese rimane vincolato – almeno temporaneamente – ad applicarne le leggi, ma senza alcuna voce in capitolo. Non pare esattamente un risultato vantaggioso. In via eccezionale, comunque, i rappresentanti inglesi potrebbero essere invitati a partecipare alle riunioni (ma senza diritto di voto) qualora i provvedimenti discussi riguardassero direttamente il Regno Unito o la sua presenza fosse ritenuta necessaria per un’efficace implementazione dell’acquis.

 

I rischi di isolamento internazionale

Uno dei limiti più contestati, però, è che il Regno Unito non potrà concludere accordi internazionali nelle aree di competenza dell’Unione durante tutto il periodo di transizione, salvo esplicita autorizzazione del Consiglio. È un duro colpo per Londra: la speranza principale del governo May, infatti, era mitigare l’impatto economico della Brexit bilanciandolo con nuovi accordi di libero scambio con altri Paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti. Oltre che di questo, si tratta di una questione pratica: poiché l’Unione Europea gode di competenza esclusiva in tema di politica commerciale fin dalla sua istituzione nel 1957, tutti gli accordi commerciali di cui il Regno Unito fa parte sono in realtà stati conclusi dall’Unione.

Secondo uno studio del Financial Times, il Regno Unito si ritroverebbe escluso da ben 759 trattati con 168 Paesi, riguardanti non solo il commercio, ma anche agricoltura, trasporti o cooperazione normativa. Di questi, 36 sono accordi di libero scambio che coprono 60 Paesi. Se Londra non riuscirà a colmare il vuoto normativo in tempo, dovrà applicare le regole WTO, generalmente molto meno vantaggiose rispetto alle condizioni attuali; questo, però, dipenderà dal consenso dell’Unione, almeno fino al 2021.

Dopo il 31 dicembre 2020, dunque, niente sarà più come prima. O forse la Brexit sarà un evento meno rivoluzionario del previsto? Seguiteci per scoprire con noi quali sono gli scenari possibili di un futuro post-Brexit.

Fonti e Approfondimenti

Buzzfeed, “This Leaked Government Brexit Analysis Says The UK Will Be Worse Off In Every Scenario“, 29/01/2018

Cronistoria e panoramica dei negoziati UE-Regno Unito

Direttive del Consiglio dell’UE sulla seconda fase dei negoziati, 29/01/2018

Financial Times, “After Brexit: the UK will need to renegotiate at least 759 treaties“, 30/05/2017

Linee guida del Consiglio Europeo sulla seconda fase dei negoziati, 15/12/2017

Orientamenti del Consiglio Europeo a seguito dell’attivazione dell’Art. 50 TUE da parte del Regno Unito, 29/04/2017

Reuters, “Full Brexit in Jan. 2021 as EU sets transition deadline“, 20/12/2017

 

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