Ricorda 1948: la Nakba e la fondazione di Israele

Il 1948 è stato un anno centrale nella regione della Palestina e nel Medio Oriente intero. In questo anno infatti è nato lo stato di Israele ed è avvenuta la nakba, il disastro che portò più di 800.000 palestinesi a fuggire dalle loro abitazioni. Questo è il prologo di uno dei conflitti più lunghi e complicati della storia contemporanea. I fatti del ’48  hanno assunto nel corso di questi decenni una piega differente e contrastante a seconda di chi li raccontava. In questo caso, è importante capire non solo cosa è successo ma anche come gli eventi sono stati divulgati dalle diverse parti coinvolte nel conflitto. La storiografia infatti ci aiuta a capire in che modo il 1948 è diventato il mito fondante dell’identità nazionale israeliana e palestinese, alimentando due narrative opposte e parallele che a 70 anni dalla fine di quella prima guerra continuano a fomentare lo scontro tra Israele e Palestina.

Verso il ’48

Il movimento sionista nacque nella seconda metà dell’800 in Europa Orientale per poi estendersi a livello mondiale. In risposta al dogma ebraico per cui Dio avrebbe promesso agli ebrei la Terra di Sion ma soprattutto alla necessità pratica di sfuggire alle persecuzioni e alle discriminazioni in Europa e Russia, i sionisti difesero la necessità di creare uno Stato ebraico in Palestina dove poter esprimere liberamente la propria cultura. La prima aliyah (migrazione) verso il Medio Oriente ebbe luogo già verso la fine dell’800.

Nel 1917 con la Dichiarazione di Balfour il movimento sionista ottenne il consenso della Gran Bretagna alla formazione di uno stato ebraico in Palestina. Nel 1920 con lo smembramento dell’impero Ottomano e in seguito agli accordi segreti di Sykes-Picot tra Francia e Inghilterra, la Gran Bretagna assunse poi il mandato della Palestina con il compito di aiutare il Paese a costituire l’apparato amministrativo e istituzionale che avrebbe dovuto governarlo dopo l’indipendenza. La Gran Bretagna durante gli anni come potenza mandataria cercò di destreggiarsi tra le richieste sioniste e il malcontento della popolazione araba di fronte al crescente numero di immigrati ebrei che giungevano dall’Europa. Ma la situazione cominciò ben presto a degenerare.

Ogni tentativo di formare un governo unitario fallì miseramente e le due comunità si trincerarono dietro posizioni sempre più intransigenti. Tra il 1933 e il 1936,  con l’inizio delle persecuzioni naziste in Europa, circa 170 000 ebrei fuggirono dall’Europa verso il Medio Oriente, aumentando il timore della popolazione araba di essere sopraffatta da una maggioranza ebraica.

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Vi furono cinque ondate di immigrazione ebraica (aliyahs): 1888 – 1903; 1904 –  1914; 1919 – 1923; 1924 – 1926; 1933 – 1936

Inoltre, sempre più terreni della comunità araba venivano acquistati dal Fondo Nazionale Ebraico e rivenduti a soli ebrei. I contadini arabi, spesso costretti a vendere le proprie terre sotto il peso delle tasse imposte dagli inglesi e della Grande Depressione che imperversava in quegli anni, erano sempre più marginalizzati.  Nel 1936 venne dunque proclamato uno sciopero generale e una serie di atti violenti vennero compiuti da ambo le parti finché gli inglesi non imposero quote all’immigrazione ebraica e limiti al trasferimento di terre. La comunità ebrea si oppose veementemente alla decisione inglese.

Lo scoppio delle ostilità

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Haganah, l’esercito di cui si era dotato la comunità ebraica nel 1920, intraprese azioni di sabotaggio contro la Gran Bretagna per spingerla a ritrattare le quote sull’immigrazione. Tra il 1945 e il 1947, inoltre, due gruppi paramilitari sionisti di estrema destra, l’Irgun guidato da Menachem Begin e Lehi, più noto come Banda Stern, si resero responsabili di una serie di attacchi terroristici tra cui l’esplosione di un’ala dell’hotel King David di Gerusalemme che ospitava prevalentemente inglesi.

Il Segretario per gli Affari Esteri britannico, Ernest Bevin, fu costretto a riconoscere l’insostenibilità della situazione e riferì la questione palestinese alle Nazioni Unite che inviarono una commissione d’indagine sul posto, UNSCOP. Il risultato sarà la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947 con cui le Nazioni Unite raccomandarono la fine del mandato inglese e la divisione della Palestina in due stati, uno arabo e uno israeliano con Gerusalemme sotto la tutela internazionale.

La comunità araba rifiutò di accettare la Risoluzione e la violenza si intensificò. Dall’aprile 1948 inoltre l’Haganah e l’Irgun misero in atto il piano Delet, la sistematica espulsione degli Arabi che culminerà nel massacro di Deir Yassin dove persero la vita 250 arabi. Molti fuggirono nella speranza di poter tornare una volta terminato il conflitto mentre i villaggi abbandonati venivano occupati dagli ebrei. La Gran Bretagna dal canto suo si preoccupò di preparare la ritirata più che di incentivare un’ordinata messa in atto della spartizione della Palestina.

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Rifugiati palestinesi, 1948 Fonte: Wikimedia Commons

Quando l’ultimo Commissario inglese lasciò la Palestina, David Ben Gurion, che diventerà poi Primo Ministro, dichiarò la nascita di Israele come stato ebraico, democratico e indipendente il 14 maggio 1948. Gli Stati Uniti, complice la sempre più influente lobby sionista americana, furono i primi assieme all’Unione Sovietica a riconoscere il neonato Stato di Israele.

Essendo la comunità palestinese priva di una leadership effettiva, la risposta alla fondazione di Israele venne dalla Lega Araba fondata nel 1945. Il 15 maggio 1948 Transgiordania, Iraq, Siria, Egitto e Libano invasero la Palestina per affrontare Israele. La guerra si concluse nel dicembre 1949 con la netta sconfitta della fazione araba e un allargamento delle zone occupate da Israele rispetto a quanto definito dall’ONU. Tale fu l’impatto della sconfitta nel mondo arabo che da allora il ’48 è ricordato come la nakba da un testo di un filosofo siriano, Constantin Zurayq, “Ma’na al-Nakba“, “Il significato della catastrofe”.

Ma soprattutto il conflitto si lasciò dietro 800.000 rifugiati palestinesi che non poterono più far ritorno alle proprie abitazioni. Nel 1949 nacque l’UNRWA, l’ente delle Nazioni Unite che ancora oggi si occupa dei rifugiati, proprio per monitorare e assistere le condizioni di vita nei campi profughi palestinesi che proliferarono nei Paesi confinanti. La Palestina venne intanto divisa tra Israele, Egitto (Gaza) e Giordania (West Bank e Gerusalemme Est).

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Campo profughi Jaramana, Siria. 1948 Fonte: Wikimedia Commons

La storiografia araba e israeliana: un racconto a più voci

Una volta deposte le armi, il 1948 venne dipinto dagli storici israeliani con i toni di un eroico trionfo, una sorta di scontro tra Davide e Golia a forze impari scatenato dall’ invasione araba. In particolare l’esodo dei palestinesi venne taciuto o riportato come una fuga volontaria incoraggiata dai leader arabi. Questo tipo di narrazione servì tra le altre cose a unire l’eterogenea comunità ebraica dopo l’indipendenza, divenendo parte del simbolismo nazionale ed esorcizzando lo spettro della Diaspora con una nuova immagine di forza.

A contestare questo tipo di narrativa, giunse la storiografia palestinese per cui, al contrario, il ’48 rappresentava il momento in cui al popolo palestinese era stato negato il diritto di esistere. Il Grande Esodo a cui erano stati costretti i Palestinesi divenne nel corso degli anni il simbolo della resistenza palestinese e del suo diritto al ritorno. Primo fra tutti, lo storico Khalid Walidi, mise in evidenza come in molti casi la fuga dei Palestinesi fosse stata tutt’altro che volontaria, enfatizzando il massacro di Deir Yassin e le tecniche di guerra psicologica utilizzate dall’Haganah. Ad esempio, prima di entrare ad Haifa le truppe sioniste tramite altoparlanti avevano ricordato alla gente del posto senza sosta ciò che era successo a Deir Yassin.

All’inizio degli anni ’80 però un nuovo filone di storici israeliani si fece spazio nell’arena pubblica proponendo un resoconto del ’48 alla luce di quanto trovato negli archivi di Israele, aperti nel 1978, e in quelli britannici. I “nuovi storici” come vennero chiamati Ben Morris, Ilan Pappe, Simha Flapan e Avi Shlaim cercarono di decostruire la narrativa ufficiale di Israele e puntare l’attenzione sulla sofferenza inflitta ai Palestinesi e sul fatto che lo scontro era stato sì ad armi impari ma a favore di Israele. La sconfitta della compagine araba era stata determinata più che dall’eroismo di Israele da una serie di macchinazioni a livello diplomatico, dalle divisioni interne alla coalizione araba per cui i singoli Paesi avevano dato priorità ai propri interessi più che alla sconfitta di Israele e all’inferiorità numerica, di equipaggiamento e preparazione delle truppe arabe.

Rimangono molti punti controversi nella storia del 1948 ma un dialogo a più voci sulla storia di quei giorni potrebbe facilitare un percorso di pacificazione in un conflitto che, 70 anni dopo, è lontano dall’essere concluso.

Fonti e Approfondimenti:

William, L. Cleveland et al., A History of the Modern Middle East, Westview Press, Boulder, 2009

https://www.sciencespo.fr/mass-violence-war-massacre-resistance/fr/node/2666

 

 

 

 

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