La politica di Pechino nello Xinjiang: il controllo e la rieducazione

uyghur protest
@Malcom Brown-Flickr-CC BY 2.0

Per beneficiare della rilevanza geostrategica della regione dello Xinjiang, Pechino ha stimolato la sua crescita economica e al tempo stesso l’ha sottoposta a un processo di sinizzazione e serrata sorveglianza per arginare gli attacchi terroristici e la diffusione di comportamenti che giudica estremisti della popolazione uigura. La campagna antiterroristica cinese nella “Nuova Frontiera” iniziata nel 2014 è sfociata il 10 ottobre 2018 nella legalizzazione dei “campi di rieducazione”, legittimando quelli che ONU e Stati Uniti definiscono “campi di detenzione”, contrari ai diritti umani e alle minoranze, nei quali sarebbero rinchiuse un milione di persone.

Una realtà Orwelliana

Gli sforzi della Repubblica Popolare Cinese per soffocare i movimenti di terrorismo, separatismo ed estremismo (三股势力, sāngǔshìlì, “le tre forze del male”) di alcuni membri del gruppo etnico uiguro hanno progressivamente trasformato la regione autonoma dello Xinjiang in un laboratorio di controlli sociali altamente tecnologici.

La popolazione uigura e i visitatori sono quotidianamente tenuti a sottoporsi a controlli di polizia, telecamere di sorveglianza e macchine che scannerizzano le carte d’identità, i visi, l’iride. I controlli di sicurezza proteggono le stazioni ferroviarie e le strade dentro e fuori le città. I riconoscimenti facciali monitorano il flusso di persone in alberghi, centri commerciali e banche. La polizia usa dispositivi ad alta tecnologia per rintracciare negli smartphone degli Uiguri conversazioni crittografate, video a contenuto politico e altri contenuti sospetti. Oltre il 20% di tutti gli arresti criminali in Cina avviene nello Xinjiang, nonostante la regione conti solo l’1,5% della popolazione del Paese. È impossibile muoversi nella regione senza sentire lo sguardo inesorabile del governo.

“没有稳定的环境,什么都搞不成” (Méiyǒu wěndìng de huánjìng, shénme dōu gǎo bùchéng), “senza un ambiente stabile, non si può fare nulla”, sono le parole del Presidente Xi Jinping che giustificano le misure estreme adottate dopo le rivolte etniche nel 2009 a Urumqi, capitale dello Xinjiang. Durante gli scontri circa 200 persone morirono. Quattro anni dopo altri due attacchi terroristici, a Pechino e Kunming, furono collegati agli uiguri. Misure che limitano la mobilità e la libertà di espressione della popolazione uigura consentendo a Pechino di mantenere stabilità nel Paese e trasformare la regione in un’efficiente hub per l’approvvigionamento energetico.

Chen Quanguo

L’anno scorso, il Presidente Xi Jinping ha installato nella regione dello Xinjiang un nuovo segretario regionale del Partito comunista, Chen Quanguo (陈全国), che in precedenza aveva gestito il conflitto etnico in Tibet, un’altra regione calda. Sotto la sua leadership le autorità regionali hanno posto nuova enfasi sulla “stabilità sociale” e su una maggiore sicurezza, creando una realtà soffocante per gli abitanti.

Nel primo trimestre del 2017 è stato stanziato oltre 1 miliardo di dollari in progetti di investimento legati alla sicurezza, rispetto a 27 milioni di dollari investiti in tutto il 2015. La China Communications Services Co. Ltd., una consociata del gigante delle telecomunicazioni statali China Telecom, ha firmato quest’anno contratti per oltre 38 milioni di dollari per la sorveglianza delle moschee e l’installazione di piattaforme dei dati nello Xinjiang.

Sempre sotto il controllo di Chen Quanguo il governo dello Xinjiang ha incluso i “centri di rieducazione” nella legislazione locale modificando il “regolamento per la de-estremizzazione” della regione uigura (in vigore da marzo 2017).  Con questa mossa, Pechino non solo ammette per la prima volta l’esistenza dei centri ma li legalizza, nel tentativo di smorzare le accuse internazionali nel nome della sconfitta del separatismo e dell’estremismo religioso.  Finora il governo cinese ha sempre negato l’esistenza delle strutture, salvo ammettere che alcuni colpevoli di “reati minori” erano inviati in centri dove veniva insegnato un lavoro per farli reintegrare nella società civile.

Le norme introdotte alla revisione (ottobre 2018) stabiliscono che:

“I governi a partire dal livello di contea possono istituire organizzazioni per l’istruzione e la trasformazione e dipartimenti di supervisione, come centri di formazione professionale, per educare e trasformare le persone che sono state influenzate dall’estremismo”.

Oltre a “insegnare le abilità professionali”, i centri sono tenuti a fornire istruzione sul cinese parlato e scritto, ma anche su aspetti della legge e di altri regolamenti. Devono inoltre “predisporre un’educazione ideologica per eliminare l’estremismo“, effettuare trattamenti psicologici e la correzione del comportamento, “aiutare gli allievi a trasformare i loro pensieri e tornare alla società e alle loro famiglie”.

20180602_FBM964

L’evoluzione di un campo di rieducazione Fonte: Twitter

Molti dettagli di questo sistema carcerario sono nascosti e rimangono sconosciuti. Lo stesso scopo finale dei campi non è del tutto chiaro, data la discrepanza tra la realtà descritta dalla propaganda cinese e quella delle pubblicazioni di ONU e altre organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. Vi è una linea molto sottile tra “formazione gratuita” e indottrinamento per estirpare le pratiche religiose e inculcare fedeltà alla madrepatria e al partito.

Stato di diritto con caratteristiche cinesi

Con questo tipo di mosse, la Cina non ha intenzione di rinunciare al suo ruolo nelle organizzazioni internazionali. Semplicemente quando si tratta di scegliere tra diritto internazionale e politica interna, predilige inevitabilmente la seconda, trovando escamotage per giustificare le sue decisioni a livello internazionale.

Non per niente, la legalizzazione di questi campi  è avvenuta dopo una crescente pressione di Stati Uniti, Europa, ONU che hanno accusato la Cina di detenzioni extralegali di minoranze musulmane, di repressione, condanne infondate, sparizioni forzate (留滞, liú zhì) di persone trattenute nei campi per tempi indefiniti al fine della loro “rieducazione”. Due dei più recenti ed eclatanti casi sono stati la sparizione di Meng Hongwei, ex viceministro della pubblica sicurezza cinese nonché ex presidente dell’Interpol, accusato di corruzione e di Fan Bingbing, una delle attrici più famose della Cina, scomparsa per mesi per uno scandalo fiscale in corso da maggio.

La parola chiave è “Stato di diritto” (依法治国,yīfǎzhìguó), tradotto malamente in “rule of law” ma che corrisponde piuttosto a una concezione di legge di matrice confuciana, in cui la legge (法, fǎ) rappresenta lo strumento politico per ricreare stabilità, non un insieme di regole a cui lo stesso potere è sottoposto. Lo stato di diritto con caratteristiche cinesi, quindi meglio tradotto “rule by law”, è diventato espediente privilegiato con cui giustificare nuove forme coercitive per garantire una società armoniosa.

Fonti e approfondimenti

BO Xiang, “Full transcript: Interview with Xinjiang government chief on counterterrorism, vocational education and training in Xinjiang”, Xinhua, 16 ottobre 2018, http://www.xinhuanet.com/english/2018-10/16/c_137535821.htm

BATTAGLIA Gabriele, “Rieducazione e sparizioni, lo stato di diritto secondo Pechino”, Internazionale, 16 ottobre 2018, https://www.internazionale.it/notizie/gabriele-battaglia/2018/10/16/pechino-rieducazione-sparizioni

BATTAGLIA Gabriele, “I campi di detenzione cinesi raccontati da chi ci ha lavorato”, Internazionale, 27 agosto 2018, https://www.internazionale.it/notizie/gabriele-battaglia/2018/08/27/xinjiang-uiguri-campi-detenzione

NIEWENHUIS Lucas, “Re-Education Camps In China’s ‘No-Rights Zone’ For Muslims: What Everyone Needs To Know”, SupChina, 22 agosto 2018, https://supchina.com/2018/08/22/xinjiang-explainer-chinas-reeducation-camps-for-a-million-muslims/#Why%20now

CHIN Josh e BURGE Clément, “Twelve Days in Xinjiang: How China’s Surveillance State Overwhelms Daily Life”,Wall Street Journal, 19 dicembre 2018,  https://www.wsj.com/articles/twelve-days-in-xinjiang-how-chinas-surveillance-state-overwhelms-daily-life-1513700355

WONG Edward e J. RUBIN Alissa, “Interpol Chief Meng Hongwei Quits and Is Detained by China”, The New York Times, 7 ottobre 2018, https://www.nytimes.com/2018/10/07/world/asia/china-interpol-men-hongwei.html

Leave a comment

Your email address will not be published.


*