Ricorda 1989: la strage di Piazza Tian’anmen

1989
Lo Spiegone

Il 4 giugno sono ricorsi i trent’anni della fine delle proteste di piazza Tian’anmen a Pechino. Iniziate a metà aprile del 1989 in seguito alla morte del leader comunista riformista Hu Yaobang, vennero represse dall’Esercito di Liberazione Popolare su ordine del governo comunista che mal sopportava le richieste di maggiore libertà e democrazia.

Nella notte tra il 3 e il 4 giugno le forze armate fecero irruzione nella piazza della capitale con i carri armati e spararono indistintamente sulla folla. Secondo le stime più attendibili, in quei tragici giorni fra duecento e duemila persone persero la vita in quella che venne definita “Primavera democratica cinese”. Decina di migliaia arrestati nei giorni seguenti e condannati come “controrivoluzionari” perché attentavano all’egemonia del partito. Sin dal giorno successivo del massacro, le alte sfere del Partito comunista cinese (PCC) hanno sostenuto la legittimità dell’intervento ed escluso ogni forma di commemorazione ufficiale.

La diffusione dei disordini

Le proteste di piazza Tiananmen furono il frutto di una ricerca d’identità politica della Cina uscita dalla “rivoluzione culturale” degli anni ‘60. All’epoca l’opinione pubblica e l’élite politica volevano introdurre un sistema di equilibrio dei poteri, evitando il ripetersi dei problemi che avevano mandato il paese in rovina. Esisteva un dibattito, all’interno del partito e dell’intellighenzia, su una migliore gestione dell’organizzazione di governo e sulla separazione tra le sue funzioni politiche e quelle esecutive.

Allo stesso tempo, dal 1981, con l’ascesa al governo di Deng Xiaoping, la Cina ha vissuto un decennio di notevole crescita economica e liberalizzazione. Erano state avviate delle trasformazioni economiche che avevano fatto affluire in Cina investimenti stranieri e avevano permesso la nascita di imprese private. Il paese aveva raggiunto un certo grado di ricchezza ma le disuguaglianze e corruzione erano aumentate poiché, all’inizio, era stato permesso di arricchirsi ad una piccola parte della popolazione.

Questo contesto di nuove prospettive, vide dimostrazioni guidate dagli studenti che chiedevano maggiori diritti e libertà individuali alla fine del 1986 e all’inizio del 1987 che. La reazione del Partito Comunista Cinese (PCC) per reprimere quello che chiamavano “liberalismo borghese“, fu dura. Una vittima fu Hu Yaobang, ex- segretario di stato del PCC dal 1980, che aveva incoraggiato le riforme democratiche.

Le proteste

Il catalizzatore delle proteste nella primavera del 1989 fu la morte di Hu Yaobang a metà aprile. Allora Hu era già stato esautorato perché considerato troppo riformista ma studenti e operai volevano che il partito comunista seguisse la sua linea di inclusione. Alla sua morte, fu trasformato in un martire per questa causa e il giorno del suo funerale, il 22 aprile, decine di migliaia di studenti si riunirono in Piazza Tiananmen per commemorare il leader ed esprimere la loro insoddisfazione verso il governo di Pechino.

Studenti provenienti da più di 40 università marciarono sulla piazza il 27 Aprile, dove operai, intellettuali e altri funzionari pubblici li raggiunsero. A maggio più di un milione di persone riempì la piazza, luogo in cui nel 1949 Mao Zedong aveva dichiarato la nascita della Repubblica Popolare Cinese.

Studenti universitari manifestano in piazza Tiananmen a Pechino durante il movimento per la democrazia del 1989. Foto: Reuters.

Manifestazioni simili sono sorte in diverse altre città cinesi, in particolare Shanghai, Nanchino, Xi’an, Changsha e Chengdu. Tuttavia, la principale copertura mediatica esterna era a Pechino, in parte perché un gran numero di giornalisti occidentali vi si erano recati per riferire sulla visita in Cina del leader sovietico Mikhail Gorbachev a metà maggio.

Nel frattempo, seguiva un intenso dibattito tra i funzionari di governo e di partito su come gestire le crescenti proteste. La risposta iniziale del governo fu quella di emettere severi avvertimenti, ma di non intervenire contro la folla. Moderati, come Zhao Ziyang (successore di Hu Yaobang come segretario generale del partito), appoggiarono la negoziazione con i manifestanti e l’offerta di concessioni. Tuttavia, ebbero la meglio i sostenitori della linea dura guidati dal premier cinese Li Peng (recentemente deceduto all’età di 90 anni) e supportati da Deng Xiaoping, che, temendo l’anarchia, insistette per reprimere con forza le proteste. Durante le ultime due settimane di maggio, a Pechino fu dichiarata la legge marziale e truppe corazzate furono inviate per sgombrare la piazza.

La repressione

All’inizio di giugno 1989, il governo era pronto ad agire ma di fronte all’immensa folla presente si ritirarono. Deng Xiaoping, all’epoca capo della Commissione militare, uno dei maggiori leader del paese, diede ordine di fare fuoco.

La notte tra il 3 e il 4 giugno, i carri armati e le truppe dell’Esercito di Liberazione Popolare cinese avanzarono verso Piazza Tian’anmen, sparando o schiacciando quelli che tentarono di bloccare la loro strada. Il risultato fu un massacro il cui “bilancio ufficiale” riporta 241 vittime, ma che, secondo la Croce Rossa, le organizzazioni internazionali, i media stranieri e i testimoni furono molti di più. Il numero effettivo di morti per repressione rimane sconosciuto, ma un diplomatico dell’ambasciatore britannico a Pechino, Alan Donald, dichiarò nel 2017 che l’esercito cinese uccise almeno 10.000 persone.

La foto simbolo della protesta è quella di uno studente che da solo e completamente disarmato si para davanti a una colonna di carri armati per fermarli, passato alla storia come il “Rivoltoso sconosciuto”.

Nel nome della stabilità politica

All’indomani della repressione, i media occidentali hanno rapidamente etichettato gli eventi di quella notte come un “massacro”, denunciando l’azione disumana di Pechino. Parallelamente, il governo cinese arrestò migliaia di sospetti dissidenti, molti di loro ricevettero lunghe pene detentive e un alcuni addirittura giustiziati. I riformisti furono espulsi dal partito e la stabilità politica diventò la priorità. L’adozione di un sistema equilibrato lasciò il posto alla paura di sommosse.

Da allora, il partito ha mantenuto il suo potere autoritario e tenuto a debita distanza qualsiasi riforma politica. Venne sostenuto il nazionalismo e indebolito l’idea che la Cina dovesse trarre insegnamenti da altre forme di governo, tra cui la democrazia occidentale.

Cancellato il ricordo di Tian’anmen

Negli anni successivi, il governo ha tentato di sopprimere ogni riferimento dell’“incidente”, minimizzandone il significato e le azioni dei militari e arrestando i manifestanti.

Ogni anno, nonostante la legge non impedisca di organizzate manifestazioni per ricordare il 4 giugno 1989, il governo cinese si adopera affinché la ricorrenza non susciti troppo clamore. Attivisti e testimoni vengono tenuti ai domiciliari o spediti lontano da Pechino, gli eventi pubblici vietati, i controlli rafforzati, con un’attenzione ossessiva alla rete. Il governo ha infatti adottato sistemi per identificare in rete i contenuti contro il governo, impedendone la pubblicazione. Nello specifico, diversi strumenti automatici sono in grado di bloccare messaggi ma anche immagini e registrazioni vocali relativi alle proteste di piazza Tian’anmen. L’intelligenza artificiale non è il solo mezzo usato per cancellare la storia: il “4 giugno” rimane ampiamente cancellato dalla storia ufficiale ed è censurato dai libri di testo scolastici.

Se in Cina le commemorazioni della strage sono vietate, al di fuori dei confini molti ricordano le vittime della brutale repressione. Ad esempio, i residenti di Hong Kong, invece, tengono una veglia annuale in occasione dell’anniversario della repressione, anche dopo che il ritorno all’amministrazione cinese (1999).

Una scelta politica corretta

Negli ultimi 30 anni, le riforme, lo sviluppo e la stabilità, e i successi raggiunti in Cina rispondono da sé. Si trattò di una turbolenza politica, governo centrale prese delle misure per fermare le ribellioni, adottando così una scelta politica corretta. E’ la ragione per cui la stabilità del Paese è stata mantenuta”. Ha precisato il ministro della Difesa, il generale Wei Fenghe, lo scorso giugno, alla vigilia dei trent’anni da quel 4 giugno 1898.

In questi tre decenni, il regime di Pechino ha attivato le macchine statali per cancellare o distorcere qualsiasi ricordo del 4 giugno. La leadership post-Tian’anmen ha continuato a costruire una narrazione ufficiale che descriveva il movimento come una cospirazione occidentale per indebolire e dividere la Cina. In tal modo, giustifica la repressione militare come necessaria per la stabilità e la prosperità.

“Tiananmen rimane il classico esempio della superficialità e della parzialità della maggior parte dei comunicati dei media occidentali e della diffusione di informazioni false da parte dei governi che cercano di controllare quei media. La Cina è troppo importante per essere vittima di questa assurdità.” Questo è quello che viene espresso 2011 nell’articolo del China Daily “Il mito del massacro di Tian’anmen”.

Nei tre decenni trascorsi da Tian’anmen, il Partito comunista ha respinto le richieste di liberalizzazione politica, ha rafforzato il suo controllo sulla libertà di parola e intensificato la sua repressione del dissenso per mantenere la stabilità e sostenere la propria sopravvivenza. Il ripudio della trasparenza politica ha inaugurato un’era di corruzione dilagante, disuguaglianza e instabilità sociale. Da allora il governo cinese ha giustificato la repressione militare del movimento come necessaria per la stabilità politica e la prosperità economica del Paese e la sua ascesa.

Fonti e approfondimenti

Josephine Ma, Guo Rui, “The high price of denial: the cost to China of sweeping the Tiananmen crackdown under the carpet“, South China Morning Post, 21 maggio 2019.

Jun Mai, “30 years on from Tiananmen Square crackdown, why Beijing still thinks it got it right“, South China Morning Post, 19 maggio 2019.

Agence France-Presse, “China says Tiananmen crackdown was ‘correct’ policy“, The Guardian, 2 giugno 2019.

Rowena Xiaoqing He, “China continues to deny Tiananmen, but we won’t let the world forget“, The Guardian, 3 giugno 2019.

China Daily, “Tiananmen massacre a myth“, 14 luglio 2011.

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