L’oro blu del Medio Oriente: il bacino del Giordano

Giordano
@David Bjorgen - Wikipedia Commons - Licenza: Attribution-ShareAlike 2.5 Generic (CC BY-SA 2.5)

di Francesco Tosone

Il bacino del Giordano è uno dei più importanti bacini fluviali del Medio Oriente, da cui dipende la vita di più di sette milioni di persone. È anche uno dei più contesi a livello geopolitico. In una regione in cui le risorse idriche sono un bene scarso, la nascita di Israele nel 1948 è stata un fattore determinante nel favorire la competizione per l’approvvigionamento dell’acqua da parte degli Stati che condividono le sue risorse. Il mancato riconoscimento di Israele da parte dei Paesi arabi e il conseguente conflitto hanno infatti dato seguito a una serie di dispute per il controllo delle acque del bacino.

Geografia del bacino

L’area del bacino del Giordano è condivisa da cinque Paesi: Giordania per il 40%, Siria per il 37%, Israele 10%, Palestina 9% e Libano 4%. Il fiume Giordano è il corso d’acqua che forma l’asse principale del bacino. Lungo circa 250 km, nasce alle pendici del Monte Hermon dall’unione dei fiumi Hasbani, Banias e Dan – che sorgono rispettivamente in Libano, nelle Alture del Golan e in Israele – per poi sfociare a sud, nel Mar Morto.

Il bacino si può suddividere in cinque parti principali: l’Alto Giordano; il Lago Tiberiade, situato interamente in Israele; il Basso Giordano, in cui confluiscono diversi wadi – corsi d’acqua a carattere non perenne – e l’affluente giordano Zarqa; lo Yarmouk, il principale affluente del Giordano che ha origine da sorgenti in Siria e in Giordania; e il Mar Morto.

La regione dell’Alto Giordano, a nord del lago Tiberiade, presenta dei rilievi montuosi e gode di un clima continentale. La parte del Basso Giordano, invece, è caratterizzata da un clima mediterraneo secco e arido. Le precipitazioni atmosferiche variano dai 1000mm/anno nell’area del Monte Hermon fino ai 100mm/anno nell’area del Mar Morto.

La contesa per le acque

Dagli anni Cinquanta in poi, Israele, Siria e Giordania iniziarono a implementare unilateralmente una serie di progetti idrici in modo da sviluppare e sostenere le proprie economie. La gestione delle risorse del bacino divenne quindi un ulteriore fronte di scontro tra questi Paesi.

Le prime tensioni tra Israele e gli Stati limitrofi cominciarono nel 1951, quando la Giordania annunciò un piano per deviare le acque dello Yarmouk verso la valle del Giordano. In risposta, nello stesso anno, Israele lanciò un progetto per la bonifica delle paludi dell’Hula, situate nella zona demilitarizzata stabilita nel 1949 tra Siria e Israele, provocando scontri militari tra questi due Paesi. Inoltre, nel 1953 Israele iniziò a costruire il National Water Carrier (NWC), inaugurato poi nel 1964. Originariamente, il primo sito di costruzione venne individuato nella zona demilitarizzata del 1949. Tuttavia, in seguito ad attacchi militari siriani, Israele decise di spostare il sito nell’area a nord-ovest del Lago di Tiberiade.

Oggi il NWC è lungo 120 km ed è la più importante infrastruttura israeliana per il trasferimento delle risorse idriche dal Lago di Tiberiade verso le zone costiere del Dan, la regione del Negev e Gerusalemme. Con la realizzazione di questo progetto, Israele è stato in grado di deviare una buona parte delle acque del bacino, con conseguenze sulla portata del Basso Giordano.

Seppure su piccola scala e a un livello di intensità minore, conflitti per l’allocazione delle acque si sono verificati anche tra Stati arabi. Un esempio è il conflitto tra Siria e Giordania per la condivisione delle acque dello Yarmouk. Si risolse nel 1953, quando venne raggiunto un accordo per la costruzione della diga di Wahdad, l’uso condiviso delle acque e la formazione di un Comitato siro-giordano per lo Yarmouk.

Nel 1955 gli Stati Uniti tentarono di promuovere un piano per la ripartizione delle risorse, il Johnston Plan. Nonostante la sua validità dal punto di vista tecnico, il piano non fu mai ratificato per ragioni di tipo politico, anche se divenne un punto di partenza per le negoziazioni successive. Esso prevedeva l’allocazione dell’acqua in base all’area delle terre irrigabili. Alla Giordania sarebbe spettato il 55% delle risorse disponibili, a Israele il 36% e a Siria e Libano il 9%. La Lega Araba lo respinse, poiché la ratifica avrebbe comportato l’effettivo riconoscimento dello Stato ebraico. Israele invece lo rifiutò per non creare un precedente che incoraggiasse altre rivendicazioni da parte degli Stati arabi sulle acque dell’Alto Giordano.

In seguito all’apertura del NWC nel 1964, la Lega Araba lanciò un progetto per deviare le acque dell’Alto Giordano verso lo Yarmouk per rifornire Siria e Giordania. Nel 1965 Israele rispose attaccando i siti di costruzione presenti in Siria: il progetto arabo avrebbe impedito alle acque dell’Hasbani e del Banias di confluire nel Lago di Tiberiade, andando a incidere sui piani di Israele per l’utilizzo di quelle acque nell’ambito del progetto del NWC. Questi eventi sono stati tra i fattori scatenanti la guerra dei Sei Giorni del 1967, a seguito della quale Israele prese il controllo delle acque dell’Alto Giordano e distrusse il progetto di deviazione siriano già in costruzione.

Nel 1969, dopo aver accusato la Giordania di deviare in maniera eccessiva le acque del bacino, Israele attaccò l’area del King Abdullah Canal (KAC). Ultimato pochi anni prima, nel 1966, il KAC attinge dalle acque dello Yarmouk, dalle sorgenti di Mukheibeh, da diversi wadi e dallo Zarqa e rappresenta la più importante infrastruttura giordana per il trasferimento delle acque.

Gli accordi

A partire dal 1967, con l’occupazione della Cisgiordania e delle Alture del Golan, l’equilibrio di potere tra i Paesi rivieraschi è stato profondamente alterato in favore di Israele, che riuscì a rafforzare in maniera considerevole la propria posizione idro-strategica nel bacino. A causa di questa situazione di squilibrio e della forte instabilità politica, non è ancora stato trovato un accordo per una gestione condivisa delle acque. La Conferenza di Madrid del 1991 è stato l’ultimo tentativo di trovare una soluzione multilaterale al conflitto arabo-israeliano e conseguentemente un accordo per la gestione delle acque.

Fino ad oggi, pertanto, Israele ha siglato solamente accordi bilaterali:

  • Gli Accordi ad interim del 1995 (Oslo II) tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina trattano, anche se parzialmente, della questione delle risorse idriche. Il trattato è considerato un punto di svolta per la progressiva responsabilità che deve essere attribuita all’Autorità palestinese nella gestione dell’acqua. Tuttavia, ad oggi Israele non permette ai palestinesi una gestione autonoma delle risorse presenti in Cisgiordania né tantomeno l’accesso al Giordano.
  • Nel 1994 è stato stipulato il Trattato di Pace tra Giordania e Israele, ma questo non specifica l’esatta quantità di acqua che deve essere garantita alla Giordania e diverse disposizioni contenute nel testo non sono state implementate. È stato poi istituito l’IsraeliJordanian Joint Water Committee, che però presenta vari limiti tra cui un debole potere di monitoraggio e un sistema poco efficiente di risoluzione delle dispute. Inoltre, nel 2013 i due Paesi hanno siglato un accordo per la costruzione di un impianto di dissalazione ad Aqaba, sul Mar Rosso, e di un condotto che da lì immetterebbe acqua nel Mar Morto per contrastarne l’abbassamento del livello delle acque.
  • Nel 2007, Siria e Israele hanno siglato un accordo relativo alla condivisione delle acque dello Yarmouk. Le infrastrutture siriane deviano una buona parte delle acque dello Yarmouk e anche queste incidono considerevolmente sulla portata del Basso Giordano. Sono poi iniziate le negoziazioni per risolvere la questione dell’occupazione delle Alture del Golan; tuttavia, con l’inizio della guerra in Siria questo processo è stato interrotto.

Infine, il Libano ha iniziato a sviluppare progetti idrici solo dopo la ritirata di Israele dal sud del Paese, nel 2000. I due non hanno ancora siglato alcun tipo di accordo e diversi progetti sono stati interrotti a causa delle continue tensioni.

Conclusione

Al momento Israele è in grado di sfruttare perlopiù le risorse idriche qualitativamente migliori del bacino: ha infatti accesso alle sorgenti del Giordano ed è l’unico Paese a usufruire delle acque del lago di Tiberiade. Le risorse del bacino assicurano allo Stato ebraico circa un terzo del proprio approvvigionamento di acqua. Questo è un elemento cruciale da tenere in considerazione quando si analizzano gli equilibri politici e strategici della regione.

Come abbiamo visto, l’intervento dell’uomo ha modificato enormemente l’ambiente del bacino. La deviazione dei corsi d’acqua, la costruzione di dighe e sbarramenti artificiali e lo sfruttamento massiccio delle risorse da parte di tutti gli Stati rivieraschi hanno inciso drasticamente sulla portata del Giordano. E negli anni non solo è diminuita la quantità di acqua disponibile, ma anche la qualità della stessa. La parte del bacino che più ne risente è quella del Basso Giordano. Oltre a una portata decisamente ridotta rispetto agli anni ’50, qui si sono rilevati un aumento progressivo nel livello di salinità delle acque e dei livelli di inquinamento, che minacciano sia la biodiversità sia la salute dell’uomo.

Il fattore ambientale, in primis il cambiamento climatico, è un catalizzatore che potrebbe favorire un dialogo costruttivo sulla gestione sostenibile delle risorse idriche. Ma finora la costante instabilità della regione, legata alle complesse dinamiche del conflitto arabo-israeliano, ha impedito il raggiungimento di un accordo condiviso sulla gestione dell’acqua. Il mancato accordo di pace tra lo Stato ebraico e la maggior parte dei Paesi coinvolti era e rimane allo stesso tempo causa e conseguenza della contesa su queste risorse.

 

Fonti e approfondimenti

UN-ESCWA and BGR (United Nations Economic and Social Commission for Western Asia; Bundesanstalt für Geowissenschaften und Rohstoffe), Inventory of Shared Water Resources in Western Asia, Beirut, 2013

FAO AQUASTAT Reports, Transboundary River Basins – Jordan River Basin, Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), Rome, 2009

C. J. Fröhlich, « Water : Reason for Conflict or Catalyst for Peace ? The Case of the Middle East », L’Europe en Formation, 2012/3 (n° 365), p. 139-161

M. Diaz Escudero, Jordan river Basin: hydropolitics as an arena for regional cooperation,  Global Affairs and Strategic Studies – Universidad de Navarra, 17/07/18

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*