Antagonismo e dialogo al 38° parallelo: la presidenza di Moon Jae-in e il futuro delle relazioni inter-coreane

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Remix dalle immagini di Darwinek - OpenClipArt-Vectors - Pixabay - CC BY-SA 3.0 e Uwe Brodrecht - Flickr - CC BY SA 3.0

Dopo un decennio di politiche conservatrici che avevano contribuito al riaccendersi dell’antagonismo tra Corea del Nord (DPRK) e Corea del Sud (ROK), l’elezione di Moon Jae-in nel 2017 fece pensare a un possibile miglioramento delle relazioni inter-coreane. Esponente del partito liberale e già membro dell’amministrazione Roh Moo-hyun, in campagna elettorale Moon aveva dichiarato di voler mettere l’engagement di nuovo al centro del dialogo inter-coreano, abbandonando l’atteggiamento conflittuale dei suoi predecessori. Sebbene nel corso della sua presidenza le relazioni inter-coreane abbiano registrato numerosi progressi, in particolare sul piano della diplomazia pubblica e culturale, il dialogo al 38° parallelo rimane ancora oggi complesso e travagliato. 

La visione di Moon tra engagement flessibile e dialogo condizionato

La visione di Moon sulle relazioni inter-coreane prende il nome di “Nuovo regime per la penisola coreana”. Questa strategia ha come obiettivo principale il reciproco riconoscimento diplomatico dei due Paesi e la denuclearizzazione della penisola. Il nodo centrale della proposta di Moon è quello di riprendere l’iniziativa nel dialogo con la DPRK, consapevole che la mancanza di proattività sia stata una delle cause del fallimento dell’approccio dei predecessori Lee Myung-bak e Park Geun-hye. Riportando in auge lo spirito collaborativo della Sunshine Policy di Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun, Moon propone una forma di engagement flessibile e di dialogo condizionato con Pyongyang, basato su azioni reciproche, graduali e simultanee da parte di entrambi i Paesi. Tuttavia, non si tratta di una “Sunshine Policy 2.0”: l’obiettivo di lungo periodo è l’apertura con il regime, ma non si prevedono concessioni preventive a Pyongyang senza prima vedere un cambiamento tangibile.

Alta tensione e pragmatismo

La distanza dell’approccio di Moon dai “padri fondatori” dell’engagement è emersa chiaramente fin dal suo insediamento, avvenuto in un momento di altissima tensione tra DPRK e Stati Uniti. Nel giro di pochi mesi, l’ormai ex presidente Trump aveva posto fine alla “Pazienza Strategica” – la dottrina Obama per la DPRK, che sostanzialmente attendeva il collasso interno del regime – inaugurando la stagione della “Maximum pressure”. Dall’altra parte, Kim Jong Un aveva condotto  ben tre lanci missilistici, il sesto test nucleare sotterraneo e il primo test di un Missile Balistico Intercontinentale (ICBM), dichiarando che una testata nucleare nordcoreana sarebbe stata in grado di raggiungere gli Stati Uniti.

Consapevole di aver bisogno di supporto a livello internazionale – e soprattutto dell’appoggio di Washington – perché la propria visione di dialogo con Pyongyang avesse almeno una possibilità di funzionare, Moon non cercò di distanziarsi in maniera troppo netta dalla posizione statunitense. Nonostante in campagna elettorale avesse dichiarato che avrebbe visitato prima Pyongyang che Washington, la sua prima visita ufficiale all’estero fu proprio alla Casa Bianca. Nel corso del 2017, Moon appoggiò l’idea di mettere la DPRK in condizione di “massima pressione” attraverso l’imposizione di pesanti sanzioni economiche da parte della comunità internazionale, in risposta alle provocazioni militari. Ciò non significava che Moon avesse cambiato idea sulla politica di engagement, ma dimostrava la sua consapevolezza che ogni tentativo di riavvicinarsi alla DPRK in un momento di tale ostilità con gli Stati Uniti sarebbe stato vano.

L’anno della diplomazia pubblica e culturale

Se la presidenza Moon era cominciata nel segno della conflittualità tra Washington e Pyongyang, il suo secondo anno di mandato ha rappresentato una svolta nel dialogo inter-coreano, con forti segnali di apertura politica. Da un lato, è vero che se Kim Jong Un non avesse voluto riaprire un canale di dialogo con la comunità internazionale niente di quanto successo nel 2018 sarebbe stato possibile. Allo stesso tempo però, possiamo dire che Moon sia stato il vero artefice del riavvicinamento tra i due Paesi nel 2018. L’attuale presidente della ROK passerà alla storia non soltanto per essere uno dei tre presidenti – a oggi – ad aver incontrato un leader nordcoreano, ma anche per aver organizzato ben tre incontri nello stesso anno.

Le Olimpiadi di Pyeongchang

Il 2018 si aprì con il tradizionale discorso di inizio anno del leader nordcoreano Kim, in cui accettava l’invito esteso da Seoul a partecipare alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang organizzate nel febbraio dello stesso anno. La partecipazione della DPRK non era affatto scontata poiché, nel 1988, aveva boicottato i Giochi Olimpici di Seoul. Pertanto, la sfilata delle squadre olimpiche dei due Paesi sotto la bandiera della penisola coreana unificata durante la cerimonia di apertura è stato un passo importante verso il riavvicinamento tra Nord e Sud. Inoltre, al termine della cerimonia di apertura, Kim Yo Jong – sorella di Kim – incontrò personalmente il presidente sudcoreano, invitandolo a Pyongyang.

La diplomazia dei summit

Il primo storico incontro tra i due leader – il terzo summit inter-coreano – avvenne nell’aprile dello stesso anno a Panmunjom. Villaggio di confine, situato sulla Zona Demilitarizzata (DMZ), Panmunjom è stata una scelta dal valore simbolico perché lì venne firmato l’armistizio della guerra di Corea (1950-1953). Inoltre, scegliendo Panmunjom, Moon voleva distanziarsi dai suoi predecessori progressisti, che avevano concesso ai leader nordcoreani una vittoria negoziale incontrandoli a Pyongyang.

In quest’occasione, Kim e Moon siglarono la “Dichiarazione di Panmunjom per la pace, la prosperità e la riunificazione della penisola coreana”. Come i documenti firmati nei precedenti summit inter-coreani del 2000 e del 2007, la Dichiarazione ribadiva l’indipendenza della penisola dalle interferenze esterne e l’importanza della cooperazione economica e degli scambi commerciali per il processo di riunificazione. Ciò dimostra che, a distanza di vent’anni dal primo summit inter-coreano, i principi cardine della riunificazione non sono mutati: tale processo deve dipendere in primo luogo dagli attori interni e non dalle potenze esterne, che hanno condizionato il destino della penisola sin dalla Guerra Fredda.

La stagione di distensione tra i due Paesi è continuata con un secondo incontro a sorpresa a maggio sulla Zona Demilitarizzata (DMZ) e con un terzo a Pyongyang, nel settembre 2018. In parallelo, anche il dialogo tra Stati Uniti e DPRK ha subito un’accelerazione, con lo storico vertice tra Donald Trump e Kim Jong Un nel giugno 2018 a Singapore e il secondo a Hanoi (Vietnam) nel febbraio del 2019. Il picco si è raggiunto poi con un meeting trilaterale sulla DMZ tra Kim, Trump e Moon, nel settembre del 2019.

Segnali di peggioramento

Tuttavia, questo momento di dialogo – come altri progressi registrati nella penisola coreana nel corso degli anni – è stato di breve durata. La storia della penisola insegna come un punto di equilibrio sia estremamente difficile da trovare e da mantenere; una singola azione – che all’esterno potrebbe apparire di poca rilevanza – ha la capacità di scatenare una spirale negativa di avvenimenti.

Il primo segnale di peggioramento è stato il rifiuto da parte di Pyongyang di 50mila tonnellate di riso, inviate dalla ROK come forma di aiuto umanitario. Successivamente, nel giugno 2020, si è verificato un episodio di lancio di volantini oltre la DMZ da parte di disertori del regime. Si tratta di ex cittadini nordcoreani che – sin dalla fine della guerra di Corea – si sono rifugiati a Sud per motivazioni politiche e/o di disperazione economica.

Quello dei circa 30mila disertori che vivono nella ROK è un tema che influenza le relazioni inter-coreane sin dalla Guerra Fredda, poiché portano avanti delle campagne di sensibilizzazione sul mancato rispetto dei diritti umani da parte di Pyongyang, lanciando materiale informativo oltre la DMZ, e per questo vengono dipinti come traditori dai media del regime. Pyongyang – tramite Kim Yo-jong – ha condannato fermamente il gesto, definendolo un fattore che avrebbe rapidamente fatto peggiorare il dialogo sulla penisola. Nondimeno, a pochi giorni dalla ricorrenza dei settant’anni dallo scoppio della guerra di Corea, il regime ha fatto esplodere l’Ufficio per le relazioni inter-coreane, situato al confine e costruito nel 2018.

Il futuro delle relazioni inter-coreane

Con la vittoria del Partito Democratico di Moon alle elezioni parlamentari di metà 2020, il presidente ha la possibilità di tentare un ultimo approccio al regime e ravvivare quella che gli esperti hanno definito “Moonshine Policy”. Non ci saranno nuove elezioni prima del 2022 – scadenza naturale del mandato di Moon – e questo rimuove un ostacolo politico a una possibile nuova apertura a Pyongyang. In questo senso, dopo la vittoria del Partito Democratico, il ministro per l’Unificazione ha dichiarato la volontà di allentare le cosiddette “misure del 24 maggio”. Si tratta di un importante segnale di collaborazione, in quanto tali misure – volute da Lee Myung-bak a seguito dell’affondamento della nave Cheonan nel 2010 –  hanno limitato la cooperazione inter-coreana sul piano economico per un decennio.

Al tempo stesso, iniziative portate avanti esclusivamente sul piano politico non riusciranno da sole a far progredire le relazioni inter-coreane in modo profondo e duraturo. Infatti, un cambiamento sostanziale dovrebbe avvenire anche al livello della società civile: la maggior parte dei giovani cittadini sudcoreani sono indifferenti – o ignorano e a tratti rifiutano deliberatamente – la questione della riunificazione. Pertanto, per garantire che un accordo inter-coreano funzioni, oltre a una decisione dei vertici governativi, sarebbe necessario un lavoro di sensibilizzazione della società civile, per educare i cittadini a una possibile coesistenza pacifica sulla penisola coreana.

 

Fonti e approfondimenti

Fiori, Antonio, “The Third Inter-Korean Meeting: Is the “Moonshine Policy” Beginning?”, ISPI, 26 aprile 2018.

Frassineti, Francesca, Ambivalence vs Indifference: What Keeps Koreans Apart, ISPI, 26 aprile 2018.

Graham, Euan, Good Moon Rising – What South Korea’s New President Means for Asia”, Foreign Affairs, 14 giugno 2017.

Lee, Sean, Moon Jae-in Holds on to His Dream of North Korea Diplomacy, The Diplomat, 2 giugno 2020.

Sang, Hyun Lee, Inter-Korean Relations at Moon Jae-in Government’s Half Term: A Glass Half Empty, 38 North, 16 gennaio 2020.

Wertz, Daniel, “Inter-Korean Relations”, The National Committee on North Korea, gennaio 2017.

 

Editing a cura di Emanuele Monterotti

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