Le migrazioni sono un fenomeno molto importante in America centrale. Anche qui sono il risultato di una scelta estrema e di una realtà complessa, in cui diversi fattori si alimentano a vicenda. Le analisi su tale fenomeno si concentrano sulle cause più evidenti: la mancanza di opportunità, la povertà, l’assenteismo statale e l’insicurezza.
Tuttavia, vi è un altro fattore fondamentale che si nasconde spesso dietro a quelli più manifesti, sia per mancanza di studi e di dati a riguardo o semplicemente perché non è preso sufficientemente in considerazione. Si tratta del fattore ambientale, e nello specifico degli effetti dell’attuale cambiamento climatico sulla regione.
In questo caso, non si parla solo di disastri naturali puntuali che generano spostamenti di massa improvvisi. Solo nel 2020, tra le oltre 30 tormente tropicali che si sono abbattute sul continente americano, due di esse da sole, Eta e Iota, hanno provocato lo spostamento di 1,7 milioni di persone in America centrale. Questi fenomeni estremi si sono accentuati nell’ultimo decennio, ma il manifestarsi del cambio climatico non si limita a essi.
Un tropico che cambia
L’America centrale è una regione la cui storia è segnata da un forte determinismo geografico e climatico. Le sue vicissitudini sono intrecciate con la sua posizione e con la sua forma di istmo, con la ricchezza dei suoi suoli, con il suo clima tropicale e con fattori geofisici quali i terremoti e gli uragani. In realtà, l’immagine del tropico con copiose piogge per metà dell’anno e di terreni vulcanici fertilissimi si contrappongono ormai a una regione che soffre da decenni di una gravissima siccità. Le precipitazioni iniziano più tardi, sono diventate irregolari e sempre più estreme.
Le caratteristiche della regione
Questo assetto preoccupante è legato al riscaldamento globale e più in particolare a un fenomeno che ha preso il nome di El Niño. Si tratta di un evento climatico ciclico, che si produce di media ogni 5 anni e si protrae tra i 6 e i 18 mesi. È causato da cambiamenti nella circolazione di venti e correnti nell’Oceano Pacifico, che provocano una diminuzione nelle circolazioni oceaniche e di conseguenza il riscaldamento delle acque superficiali della sua parte orientale tropicale. Questo fenomeno si ripercuote dunque sull’America centrale, in particolare sul cosiddetto Corredor Seco, ma anche sui territori a Nord e Sud delle Americhe e dall’altra parte del Pacifico.
Il Corredor Seco
Il Corredor Seco (Corridoio Arido) è una zona estesa 1600 km in parallelo alle coste pacifiche, dalla regione messicana del Chiapas fino a Panama, passando da Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua e Costa Rica. Comprende più del quinto della popolazione centroamericana, circa 10,5 milioni persone. Nel 2016, le Nazioni Unite stimavano che un terzo di queste necessitasse di assistenza umanitaria. All’interno di questa fascia, la siccità è un fenomeno endemico e ciclico, a cui si aggiunge l’innalzamento del livello del mare ma anche episodi sempre più frequenti di incendi, alluvioni, tempeste, tifoni, frane e gelo. Questa elevata vulnerabilità all’attuale cambiamento climatico è aggravata dalle caratteristiche socioeconomiche della regione.
Un’economia basata sull’agricoltura
Questo assetto climatico interessa un’area in cui il 60% della popolazione vive in condizioni di povertà. Tuttavia, quel che è ancor più rilevante è che l’economia e la sussistenza sono soprattutto legate all’agricoltura e alla pesca. Tali attività sono svolte su piccola scala e operano con poche infrastrutture e politiche di sostegno. Ciò è vero soprattutto in Nicaragua, Honduras, El Salvador e Guatemala. Inoltre, la costante crescita demografica esercita una pressione ulteriore sui suoli tramite l’aumento dei terreni agricoli a discapito delle foreste e la crescita della produttività non accompagnata dall’applicazione di pratiche sostenibili.
La vulnerabilità delle comunità che abitano tale striscia di terra è dunque direttamente aggravata dal fatto che le coltivazioni sono periodicamente minacciate o distrutte da eventi climatici estremi, ma anche da una degradazione costante e lenta dei suoli.
Il cambiamento climatico aggrava dunque il circolo vizioso che mantiene tali Paesi e in special modo i loro settori più vulnerabili, quelli contadini e indigeni, in una condizione di sottosviluppo. Inoltre, la mancanza di interventi statali rende le capacità di reazioni sempre più deboli e le situazioni emergenziali sempre più comuni. Di conseguenza, aumentano le persone costrette a spostarsi.
Le coltivazioni cicliche
Il contesto agrario del Corridoio Arido è composto quasi esclusivamente da piccoli agricoltori che coltivano soprattutto mais e fagioli neri, che sono la base della dieta centroamericana oltre che piante il cui ciclo di vita è annuale. Per i contadini, la perdita di parte di un raccolto genera criticità che si protraggono nel tempo. Infatti, quel che si produce in un determinato anno è la base materiale di quello che si semina per l’anno successivo. Si tratta dunque di un processo ciclico in cui la scarsità perpetua se stessa. Nelle annate climatiche più critiche, sempre più nuclei familiari si vedono forzati a vendere le loro attrezzature e il loro bestiame per potersi alimentare. In tal modo, rinunciano ai loro mezzi di sussistenza futuri.
Le perdite diminuiscono le capacità di stoccaggio, oltre che la quantità e la diversità nelle diete. Pertanto, aumentano i problemi legati all’alimentazione. Questa conseguenza è specialmente forte in Guatemala, il Paese con i più alti tassi di denutrizione infantile cronica del continente, sesto a livello mondiale.
L’insicurezza alimentare
L’insicurezza alimentare è dunque aggravata dagli effetti logoranti del cambiamento climatico e spinge per necessità molti abitanti delle zone rurali a migrare. Ma più diventa acuta e meno chi ne soffre ha le risorse per andarsene. La maggior parte di chi riesce a farlo rimane all’interno dei confini nazionali e va verso zone meno affette dal degrado ambientale. Tuttavia, i migranti climatici stanno diventando un fenomeno transfrontaliero anche in America centrale.
Inoltre, in tali migrazioni rurali vi è anche un divario di genere. Infatti, le donne hanno meno accesso alle risorse e sono più esposte ai rischi in quanto tendono a rimanere indietro e a migrare solo come ultima possibilità. Per quel che riguarda le altre categorie vulnerabili, in concomitanza con la gravissima siccità avvenuta tra il 2014 e il 2016 a causa di un episodio di El Niño, durante la quale gran parte degli agricoltori del Corridoio ha perso tra il 75 e il 100% dei raccolti, è apparso un nuovo fenomeno migratorio massivo: quello dei minori non accompagnati. Agli altissimi tassi di violenza in quegli anni, si è aggiunta la crisi alimentare dovuta agli effetti ambientali come fattore d’impulso.
Le azioni dai vertici
Le migrazioni legate al cambiamento climatico sono un fenomeno che è stato preso in considerazione solo di recente dalla comunità internazionale. È citato in dichiarazioni ampie e generiche, non vincolanti, in cui manca un approccio profondo e dettagliato al problema oltre che soluzioni effettive. Inoltre, i riferimenti agli impatti del cambiamento climatico si riducono troppo spesso agli eventi estremi, tralasciando quelli che avvengono gradualmente, come nel Corredor Seco.
In America centrale, i governi hanno messo in marcia misure puntuali che si concentrano sul momento dell’emergenza climatica. Tuttavia, risultano essere anch’esse spesso carenti. Mancano politiche di preservazione dell’ambiente e di prevenzione, oltre che una pianificazione degli spostamenti. Infatti, tra le comunità ricollocate dai rispettivi governi altrove perché esposte alla distruzione dei loro ecosistemi di sussistenza, alcune si sono ritrovate soggette al medesimo pericolo.
Ad oggi, il bilancio delle azioni svolte dai vertici è deludente. Le manovre effettive per arginare gli effetti del cambiamento climatico nella regione provengono invece perlopiù dalle municipalità, in collaborazione con organismi internazionali e regionali.
Il contenimento del fenomeno
Le agenzie internazionali competenti in materia di sicurezza alimentare e di ambiente raccomandano per l’America centrale di lavorare alla preservazione dei suoli e alla capacità di resilienza delle comunità rurali, così da incrementare le opportunità in loco e arginare le migrazioni. Tuttavia, questi obiettivi dipendono da un insieme di pratiche quali l’adozione di metodi di coltivazione e di allevamento sostenibili, l’abbandono dell’attività agraria tramite la diversificazione dell’economia e la riforestazione. Dall’altro lato, vi è il bisogno di assistere chi si sposta e di pianificare e rifornire le zone di accoglienza.
Nel frattempo, il numero di persone che motiva la propria migrazione per questioni legate a effetti avversi del clima è sempre più alto in America centrale. In linea con questa tendenza, le proiezioni della Banca Mondiale indicano che entro il 2050 vi potrebbero essere quasi 4 milioni di migranti climatici interni tra Messico e America centrale.
Davanti a tali numeri, la necessità primaria per agire su tale emergenza passa dal riconoscimento del fenomeno dei migranti climatici, dal suo studio e da azioni concertate e pianificate a livello internazionale e locale.
Fonti e approfondimenti
“#ClimateOfChange: volti del cambiamento climatico” WeWorld, 2020.
“Informe: “Mojados” por la sequía”, Oxfam, 2018.
“La movilidad humana derivada de desastres y el cambio climática en Centroamérica”, OIM, 2021.
Blanco, “El trasfondo ambiental de las migraciones de Centroamérica a Estados Unidos”, The Conversation, 21/06/2020.
Orgaz “¿Qué es el Corredor Seco y por qué está ligado a la pobreza extrema en casi toda Centroamérica?”, BBC MUNDO, 15/05/2019.
Editing a cura di Elena Noventa
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