Pochi giorni separano la Libia dalle tanto attese elezioni presidenziali. Nonostante la prossimità della storica tornata elettorale, i dubbi sullo svolgimento sono ancora molti. Negli ultimi mesi, infatti, le istituzioni e i centri di potere del Paese si sono rivelati divisi su svariate questioni di ordine legale ed elettorale e lo spettro di un’altra guerra civile ha accompagnato il processo di candidatura dei pretendenti alla carica di presidente.
Libia: “un” Paese, molti centri di potere
Dopo la cosiddetta Primavera araba scoppiata nel 2011, la conseguente guerra civile e la caduta del rais Mu’ammar Gheddafi, la Libia ha assistito a un secondo conflitto caratterizzato da forti ingerenze straniere e dall’opportunismo e brutalità delle milizie locali. La ri-costruzione delle istituzioni in Libia è stato un processo lungo e difficile che si è sviluppato nel corso degli anni. Dal momento che gli attori politici coinvolti si sono alternati nelle posizioni di forza durante il precedente conflitto, il processo e lo sforzo internazionale (a intermittenza) hanno prodotto un Paese comunque diviso, a livello politico così come istituzionale, erede diretto del fazionalismo disegnato con le armi.
L’attuale processo di pace e transizione democratica è frutto del Libyan political dialogue forum (LPDF), la serie di iniziative diplomatiche iniziate nell’ottobre del 2020 con l’obiettivo di porre fine definitivamente alla guerra civile e dotare il Paese di un’autorità condivisa e riconosciuta da tutte le fazioni (tribù e i due governi che per quasi sette anni si sono contesi il controllo della Libia su tutti). Implementando gli sforzi e i pochi risultati raggiunti dalla comunità internazionale nella conferenza di Palermo del 2018 e in quella di Berlino del 2020, il LPDF, con l’aiuto della Missione delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), si è rivelato la piattaforma politica principale per il dialogo intra-libico. Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, i 75 rappresentanti delle fazioni libiche, selezionati con un criterio di rappresentatività in grado di riflettere i rapporti di forza nazionali, stabilirono la data delle elezioni presidenziali. La scelta ricadde sull’anniversario dell’indipendenza libica – il 24 dicembre.
Un altro obiettivo del LPDF era l’elezione di un governo transitorio e di un organismo con autorità presidenziale che guidassero il Paese alle urne, integrando tra di loro le varie iniziative del processo di transizione garantendone la messa in atto. Con le votazioni del 18 gennaio 2021, furono eletti il Primo ministro del Governo di unità nazionale (Gun), Abdul Hamid Dbeibah, e il capo del Consiglio presidenziale, Mohamed al Menfi (vertice dell’organo che ricopre le funzioni del presidente).
Tuttavia, come ampiamente dimostrato negli ultimi mesi, le autorità emerse dal LPDF godono del pieno appoggio della comunità internazionale ma non del popolo e delle fazioni libiche. L’architettura istituzionale del Paese, infatti, si basa su accordi precedenti al LPDF ed è costruita su organismi che, in teoria, dovrebbero bilanciarsi tra di loro ma che, in pratica, sono in perenne scontro. Il Paese, quindi, è guidato e rappresentato da istituzioni precedenti al LPDF e, di conseguenza, rappresentative di rapporti di forza e situazioni già mutate da tempo. La Camera dei rappresentanti (organo legislativo con sede a Tobruk, descritto dai più come influenzato dal generale Khalifa Haftar) e l’Alto consiglio di Stato libico (organo consultativo con sede a Tripoli, a maggioranza islamista) sono infatti istituzioni formatesi in seguito agli accordi di Shikrat del 2015. Come tali, rappresentano fazioni che si sono combattute nel precedente conflitto civile e sono apparse divise e poco collaborative negli ultimi mesi.
Il Paese si trova quindi spaccato in due aree di influenza e due autorità, con la Camera dei rappresentanti forte in Cirenaica e l’Alto consiglio di Stato nella Tripolitania. Molto spesso, l’obiettivo dei due organismi è quello di favorire gli interessi delle tribù e fazioni rappresentate a scapito del processo democratico condiviso.
L’ultimo pomo della discordia: la contestata legge elettorale
A settembre, le divergenze tra le due Camere hanno generato un’impasse politica che ancora oggi sta ostacolando il processo democratico. Infatti, il 21 settembre, la Camera dei rappresentanti ha sfiduciato Dbeibah. A guidare la scelta, la preoccupazione che l’atteggiamento ambiguo dell’attuale premier si tramutasse, come poi è stato, nella sua candidatura, in violazione della promessa fatta a inizio mandato: portare il Paese alle urne e poi defilarsi dalla scena politica. Secondo diverse fonti, infatti, Dbeibah sarebbe vicino ai Fratelli musulmani, organizzazione islamista con legami con diverse sigle terroristiche, oltre che membro di un establishment imprenditoriale e corrotto. L’organismo con sede a Tobruk vede la possibile carica presidenziale nelle mani di Dbeibah come una minaccia per i propri interessi. Pochi giorni dopo la sfiducia al governo, la Camera dei rappresentanti ha emesso una legge elettorale contestata da gran parte delle istituzioni del Paese.
A dividere i diversi attori libici, sarebbe l’articolo 12 della legge elettorale emessa da Tobruk. L’articolo, di fatto, sancisce che i funzionari militari e civili possono candidarsi alle presidenziali se si dimettono dall’incarico che stanno svolgendo almeno tre mesi prima la data delle elezioni. La legge, per diversi analisti, è un tentativo da parte del Parlamento di Tobruk e del suo presidente, Aguila Saleh, di spianare la strada ad Haftar, fino a quel momento parzialmente fuori dai giochi visto le generali intenzioni di non far partecipare i leader militari al processo democratico in qualità di candidati.
In questo modo, da un lato, si è rischiato (e si rischia ancora) lo slittamento delle elezioni, dall’altro, si è data ad Haftar la possibilità di candidarsi, complicando invece la situazione di altri papabili, tra cui Dbeibah. La mancanza di una legge elettorale condivisa rischia di far rimandare le elezioni, o di farle svolgere con la legge elettorale attuale (quella emessa dal Parlamento di Tobruk), mai approvata dalla Camera alta di Tripoli ma l’unica disponibile, oltre a essere stata appoggiata dall’inviato speciale dell’Onu dimissionario, Jan Kubis.
Infine, l’idea iniziale emersa dal LPDF era di svolgere le elezioni presidenziali in concomitanza con quelle parlamentari. Tuttavia, il dibattito sulla legge elettorale valida per il Parlamento – con la Camera dei rappresentanti che ne vorrebbe uno monocamerale e l’Alto consiglio di Stato uno bicamerale, come stabilito a Shikrat nel 2015 – sembra ancora lontano da una conclusione. La scadenza per svolgere le elezioni parlamentari, è stata stabilita a massimo un mese dopo quelle presidenziali (entro il 24 gennaio quindi), vista la condivisa necessità di eleggere quasi contemporaneamente l’organo legislativo e quello presidenziale al fine di evitare colpi di mano.
Le paure e gli sforzi delle Nazioni Unite nell’arena geopolitica
Quest’ultima eventualità, quella di elezioni svolte a un’eccessiva distanza temporale, preoccupa particolarmente l’Onu. Infatti, la missione UNSMIL è stata rinnovata solo fino al 31 gennaio, e attualmente si trova senza capo. A inizio dicembre, il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è giocato la carta “Stephanie Williams”, diplomatica statunitense con esperienza pregressa nel Paese nordafricano, per sopperire alle dimissioni di Kubis.
La Williams, al momento, ricopre la carica di consigliere speciale per la Libia, ruolo che non le permette di esercitare lo stesso potere decisionale dell’inviato speciale delle missioni Onu, ma le ha permesso di evitare il voto al Palazzo di vetro di New York, dove la Russia avrebbe probabilmente imposto il veto contro la diplomatica statunitense. Infatti, un eventuale spostamento delle elezioni danneggerebbe principalmente i Paesi occidentali e la Turchia, che vede in Dbeibah un potenziale alleato. Nonostante tutta la comunità internazionale condivida, almeno a parole, la visione di una Libia riunificata e democratica, allo stato attuale delle cose le urne potrebbero sentenziare un ridimensionamento di Mosca, legata principalmente ad Haftar.
Infine, tra le paure delle Nazioni Unite figura un nuovo conflitto civile: la partecipazione di personaggi divisivi e coinvolti nei precedenti scontri armati come Haftar, rischia di rappresentare un futuro casus belli dal momento che svariate fazioni politiche e militari potrebbero avanzare dubbi sulla trasparenza del processo elettorale e rifiutare i risultati.
I principali candidati alle presidenziali: una Libia che non cambia mai
L’Alta commissione elettorale della Libia ha registrato più di 90 candidature. Tuttavia, a contendersi il ruolo di capo dello Stato sono principalmente in tre. L’attuale premier Dbeibah rimane il principale favorito. Nonostante i presunti legami con il precedente regime di Gheddafi, la doppia cittadinanza canadese (che in teoria avrebbe dovuto escludere l’attuale Primo ministro libico) e la promessa fatta al LPDF di limitarsi al ruolo ad interim, sarà lui, con ogni probabilità, il prossimo presidente della Libia. Come tutti i candidati, però, Dbeibah appare divisivo agli occhi dei quasi tre milioni di libici che si sono registrati per recarsi alle urne: il premier ad interim rimane il candidato degli islamisti e dei Paesi occidentali. I suoi legami con i Fratelli musulmani potrebbero valergli la maggioranza dei voti nella regione di Tripoli, la più popolosa, ma l’avversità della Cirenaica. Inoltre, i sospetti di corruzione che hanno aleggiato intorno alla sua nomina a Primo ministro ne hanno intaccato la reputazione, già fortemente compromessa in quanto membro dell’establishment industriale della Libia, considerato una casta di affaristi filo-stranieri.
Il candidato che gode di maggiore appoggio in Cirenaica, invece, è il generale Haftar. Il suo successo elettorale passa dalle promesse fatte alle tribù cirenaiche, ovvero allontanare gli islamisti dal potere e dividere le cariche istituzionali tra i suoi fedeli. Tuttavia, Haftar è ricordato nel resto della Libia per i crimini perpetrati dalle sue forze durante la seconda guerra civile. Proprio per questa ragione, una valida alternativa capace di andare oltre i confini della Cirenaica, potrebbe essere Aguila Saleh Issa, figura di spicco nel Parlamento di Tobruk e anti-islamista della prima ora. Il suo ruolo politico negli ultimi anni potrebbe farlo apparire più affabile agli occhi dei libici in Fezzan e Tripolitania non intenzionati a votare gli altri candidati di spicco.
Infine, anche Sayf al Islam Gheddafi, figlio del rais Mu’ammar, si è candidato dopo settimane di tensione che hanno rischiato di trascinare il Paese in un’altra guerra civile. Infatti, la candidatura di Gheddafi era stata bocciata dall’Alta commissione elettorale, vista la sua appartenenza al regime. Tuttavia, il ricorso del figlio del rais è stato accolto dalla corte di Sebha, nel Fezzan (dove Gheddafi gode dell’appoggio popolare), che gli ha permesso di candidarsi. A preoccupare l’Onu e gran parte della Libia, le interferenza di Haftar negli affari giuridici della corte di Sebha: per giorni, le milizie della zona affiliate al generale hanno circondato l’edificio istituzionale di Sebha, impedendo l’accesso a giudici e avvocati. L’evento – che si è concluso con la ritirata delle forze di Haftar, il proseguimento dell’analisi giudiziaria della Corte (e la conseguente ammissione di Gheddafi alle elezioni) e nessuno spargimento di sangue – è simbolico del clima di tensione che sta accompagnando la Libia alle elezioni. Tensioni che potrebbero sfociare in combattimenti armati nel caso i risultati elettorali si rivelassero un casus belli valido.
Fonti e approfondimenti
Fasanotti F., “Libia: il processo di pace ha perso la rotta?”, ISPI, 28 settembre 2021.
ISPI, “Libia: elezioni a rischio”, 22 settembre 2021.
ISPI, “Libia: tutti i candidati”, 22 novembre 2021.
Pretto L., “LIBIA LA SFIDUCIA AL GOVERNO DI DBEIBEH MOSTRA LA DEBOLEZZA DELLA TRANSIZIONE A 90 GIORNI DALLE ELEZIONI”, CeSI, 22 settembre 2021.
Pretto L., “La Libia alle urne in un clima di profonda incertezza”, CeSI, 7 dicembre 2021.
Editing a cura di Carolina Venco
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