La Libia è una priorità nell’agenda internazionale da anni ormai, e negli ultimi mesi è avvenuto un cambio di strategia di uno degli attori coinvolti nel complesso scenario libico: la Turchia di Erdogan. Di fatto, nell’ultimo periodo, la Turchia ha aumentato il suo peso politico nel Paese siglando con il governo di al-Serraj due accordi di fondamentale importanza sul piano economico-militare. L’azione in Libia giunge tra l’altro poche settimane dopo l’intervento in Siria, evidenziando una volontà più ampia di influenzare gli equilibri regionali a proprio vantaggio.
La Zona Economica Esclusiva tra Libia e Turchia
Lo scorso 27 novembre, con un discusso accordo preliminare, Erdogan e Serraj hanno stabilito un confine marittimo di 35 km per delimitare le rispettive Zone Economiche Esclusive (ZEE). Il concetto di ZEE è stato introdotto negli anni ’80 dalla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e identifica la zona marittima adiacente alle acque territoriali con un’estensione massima di 200 miglia dalle linee base da cui è misurata l’ampiezza del mare territoriale. Le ZEE sono state concepite come strumento legale per stabilire la sovranità sulle risorse marittime e sulla loro estrazione. Tuttavia, nel caso di Turchia e Libia, la nuova ZEE avrebbe effetti sull’intero Mediterraneo orientale e rappresenterebbe un serio ostacolo per ogni progetto infrastrutturale nell’area compresa tra Turchia, Libano, Libia, Cipro e Israele.
Immediatamente dopo la ratifica del trattato, la Grecia ha espulso l’ambasciatore libico da Atene e avviato procedure legali in sede internazionale. Cipro ha protestato formalmente in sede europea, dove gli interessi potenzialmente lesi dal memorandum turco-libico coinvolgono anche Francia e Italia.
Di fatto, la ZEE stabilita da Turchia e Libia andrebbe a interrompere diverse iniziative energetiche avviate da Stati membri dell’UE e Paesi partner. In particolare, Grecia, Cipro e Israele hanno firmato il 2 gennaio 2020 un accordo ufficiale riguardante la “EastMed pipeline”, un gasdotto di quasi 1.900 km che dovrebbe trasportare 10 miliardi di metri cubi annui di gas dai bacini del Levante all’Europa. Il progetto iniziale prevedeva di collegare la “EastMed pipline” a quelli già esistenti diretti in Europa. Di fatto, il Mediterraneo è ricco di gasdotti passanti per l’Italia tramite l’utilizzo dell’area tra Cipro, Creta e Israele. L’idea era realizzabile, però, solo perché le ZEE dell’area non erano state ancora tracciate e ufficializzate per evitare tensioni tra Atene e Ankara.
Quella di Erdogan è una mossa pensata in modo da mandare un segnale all’UE, ai Paesi vicini e alla Libia. Infatti, se da un lato Erdogan si sta dimostrando agli occhi di Serraj come l’alleato principale su cui contare nel presente e nel futuro, dall’altro, Erdogan ha anche reso chiaro all’Europa che le risorse energetiche della zona non verranno sfruttate senza la partecipazione di Ankara. Inoltre, il trattato si inserisce in un contesto più ampio di provocazioni e militarizzazione di un’area come quella del Mediterraneo Orientale, tutt’altro che tranquilla. Negli ultimi anni, le tensioni tra Ankara, Cipro e Grecia sono aumentate a causa di una serie di esercitazioni militari congiunte tra Atene e Nicosia ed Egitto e Israele, entrambe rivali regionali della Turchia.
L’asse Ankara-Tripoli e la presenza militare turca
Ad aumentare l’allarmismo in sede internazionale c’è stata anche la decisione di Erdogan di inviare militari a difesa di Tripoli. Il 2 gennaio 2020, il Parlamento di Ankara si è riunito per ratificare il memorandum siglato tra Erdogan e Serraj negli ultimi mesi del 2019. La funzione dichiarata del contingente è quella di limitarsi all’addestramento dei militari libici e di proteggere Tripoli, roccaforte del governo di Serraj. Dall’aprile del 2019, infatti, la città è assediata dalle milizie di Haftar, e se dovesse cadere segnerebbe un punto di svolta nel conflitto.
Da un punto di vista strategico, l’invio di soldati turchi potrebbe dare speranze all’esercito di Serraj: in inferiorità numerica e di mezzi da quasi otto mesi, le truppe di Serraj hanno subito le perdite più gravi. L’avanzata di Haftar in diverse zone della città, soprattutto nella periferia, ha costretto le milizie del GNA a ripiegare verso il centro, dove si trovano sotto costante attacco. Inoltre, quello di Erdogan è il primo supporto militare diretto in favore di Serraj, mentre gli altri sostenitori internazionali del governo di Tripoli si sono sempre dichiarati contrari a inviare truppe a sostegno del GNA, limitandosi a fornire fondi e supporto logistico. Haftar, invece, ha di recente potuto contare sull’invio di mercenari russi da parte di Putin, oltre al materiale bellico fornito da Egitto ed Emirati Arabi Uniti.
In quest’ottica, l’invio di truppe turche potrebbe servire da contrappeso ai mercenari russi, e concedere tempo prezioso al GNA. Nelle speranze di Serraj, gli uomini di Erdogan potrebbero essere decisivi per spezzare l’assedio e iniziare un contrattacco sul piano militare e/o politico. Dal punto di vista turco, invece, l’obiettivo è quello di cambiare il corso della guerra e di conseguenza gli equilibri della regione. Di fatto, Erdogan spera in una conclusione del conflitto in cui il GNA sia abbastanza stabile da garantirgli una posizione di forza nei confronti di Egitto ed Emirati Arabi Uniti, rivali regionali della Turchia.
Infatti, se da un lato Erdogan ha mostrato i muscoli in Siria, aumentando la sua influenza nel Paese e indebolendo i curdi, dall’altro spera di trovare nella Libia una pedina importante in Nord Africa, da utilizzare per limitare le ambizioni dell’Egitto di al-Sisi. Inoltre, la vittoria in Libia comporterebbe la possibilità di compattare il fronte interno turco a favore di Erdogan e di ottenere un ruolo importante nella ricostruzione del Paese, con accordi economici che, stretti prima dello scoppio della guerra, per la Turchia valgono fino a 20 miliardi di euro.
La mossa di Erdogan, tuttavia, non è stata priva di ripercussioni. In seguito all’arrivo delle truppe turche, Haftar ha fatto sapere che non verrà tollerata la presenza di forze internazionali ostili e il 10 gennaio si è registrata un’ulteriore intensificazione dei combattimenti intorno a Tripoli. Inoltre, sul piano economico, dal 19 gennaio le forze fedeli ad Haftar hanno chiuso alcuni dei più importanti porti e pozzi petroliferi dell’est e del sud, causando una perdita di capitali pari a 256 milioni di dollari, secondo la compagnia petrolifera nazionale libica.
Sebbene inizialmente il contingente sarà di 2.000 uomini, gli altri attori internazionali coinvolti in Libia hanno palesato le proprie preoccupazioni. L’Alto Rappresentante per la politica estera dell’UE, Borrell, ha fermamente condannato l’iniziativa turca, in quanto potrebbe comportare un’ulteriore escalation di violenze. Anche il Ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio ha mostrato il proprio disappunto e ribadito che la soluzione alla crisi libica può essere solo diplomatica. Lo stesso Guterres, Segretario delle Nazioni Unite, ha denunciato il pericolo derivante da una chiara violazione dell’embargo militare applicato in Libia.
In conclusione, l’asse tra Tripoli e Ankara potrebbe esacerbare la violenza del conflitto e, come effetto a lungo termine, portare all’esclusione di Italia ed Europa dal processo di pacificazione, come dimostrato dall’incontro che si è tenuto a Mosca con i due leader rivali lo scorso 13 gennaio, pochi giorni prima della conferenza a Berlino convocata da Angela Merkel.
Fonti e approfondimenti
Baker L., Kambas M., “Turkey – Libya maritime deal rattles East Mediterranean“, REUTERS, 25 dicembre 2019.
Caffio F., “Oltre l’intesa turco-libica: il problema delle ZEE nel Mediterraneo“, Analisi Difesa, 17 dicembre 2019.
Caffio F., “Libia/Turchia: concordata limitazione rispettive ZEE“, Affari Internazionali, 2 dicembre 2019.
Chiariatti A., “Turchia/Libia: truppe, Mediterraneo e ombre russe“, Affari Internazionale, 25 dicembre 2019.
Meloni M., “Accordo Libia-Turchia: è caos diplomatico“, EASTWEST.eu, 10 dicembre 2019.
Sham N. M., “The Geopolitics of a Latent International Conflict in Eastern Mediterranean“, Al-Jazeera (Centre for Studies), 23 dicembre 2019.
Talbot V., “Perchè la Turchia interviene in Libia?”, ISPI, 10 gennaio 2020.