Oltre l’Est: gli altri conflitti nella Repubblica Democratica del Congo

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il potenziale economico, sociale e politico della Repubblica Democratica del Congo (RDC) è enorme. Oltre a essere il Paese più vasto dell’Africa subsahariana – con una superficie di 2,3 milioni di chilometri quadrati – e il terzo più popolato – dati i suoi 100 milioni di abitanti – la RDC possiede considerevoli risorse naturali e si trova in una regione strategica, quella dei Grandi Laghi. Avrebbe tutto per essere un attore politico ed economico di rilievo nell’area e nel continente, ma il persistere di conflitti sull’intero territorio ne limita il potenziale, oltre ad avere un impatto drammatico sui civili.

Gli scontri nelle province orientali (Ituri, Nord e Sud Kivu) sono i più conosciuti, visto che si protraggono da ormai tre decenni, in un alternarsi di fasi più e meno violente. Ma focolai di conflitto – scatenati da motivazioni differenti – sono presenti anche in altre aree del Paese e, in un circolo vizioso, sono alimentati da e contribuiscono ad alimentare la fragilità dello Stato congolese.

Ingerenze straniere come motore di conflitto

Nell’Est operano circa 120 movimenti armati di origine congolese e straniera, con diversi obiettivi sociali, politici ed economici e le interferenze dei Paesi vicini giocano un ruolo cruciale. Da tempo, Ruanda, Uganda e Burundi mirano a estendere la propria influenza sulle province orientali della RDC, data la loro posizione strategica nel cuore dell’Africa e la ricchezza di risorse minerarie.

Ma anche le violenze nelle province settentrionali (Haut-Uélé e Bas-Uélé) sono strettamente legate alle vicende degli Stati confinanti: Repubblica Centrafricana (RCA) e Sud Sudan.

I ribelli Seleka, una delle fazioni in conflitto con il governo della RCA, approfittano spesso della porosità del confine tra i due Paesi e dell’assenza delle istituzioni centrali di Kinshasa nelle regioni settentrionali per nascondersi tra i rifugiati centrafricani che fuggono nella RDC. Giunti sul suolo congolese, saccheggiano i villaggi di confine, appropriandosi di armi e rifornimenti necessari per la prosecuzione del conflitto nella RCA.

Ugualmente, i guerriglieri sud sudanesi del Fronte di salvezza nazionale (che vogliono deporre il presidente Salva Kiir, al potere dall’indipendenza del 2011) effettuano incursioni oltre confine per rifornirsi. Nella sua lotta contro i ribelli, l’esercito del Sud Sudan ha più volte fatto irruzione nella RDC, senza aver chiesto a Kinshasa di poter entrare all’interno dei suoi confini.

Non è una novità che eserciti stranieri facciano ingresso nella RDC, giustificandosi con ragioni di sicurezza nazionale. Durante le due guerre del Congo, soldati ugandesi, ruandesi e burundesi invasero l’Est e, ancora oggi, militari di questi Paesi sono spesso presenti nell’area, e non sempre di concerto con le autorità congolesi. È una dimostrazione dell’incapacità del governo di Kinshasa di esercitare il controllo su tutto il territorio nazionale.

Istinti secessionisti mai del tutto sopiti

Gli effetti dell’assenza delle istituzioni centrali nelle regioni più lontane sono evidenti anche nella provincia meridionale dell’Haut-Katanga. Qui, la distanza da Kinshasa è sempre stata molto marcata: a livello geografico, per giungere a Lubumbashi, capitale provinciale, bisogna percorrere 2.300 chilometri di strade principalmente sterrate; sul piano politico invece, durante la colonizzazione belga, la regione era un’entità autonoma che rispondeva direttamente a Bruxelles.

Repubblica Democratica del Congo | Lo Spiegone

Fattori che, uniti all’abbondanza di risorse (tra cui rame e cobalto, spesso esportati attraverso i porti tanzaniani, piuttosto che quelli congolesi) e all’assenza di politiche per crescita economica e integrazione nazionale, hanno facilitato l’emergere e il consolidarsi di un sentimento secessionista.

Il primo tentativo di creare uno Stato autonomo del Katanga avvenne subito dopo l’indipendenza. Nel luglio 1960, i leader della regione ne proclamarono la secessione, sostenendo che, prima della colonizzazione, la RDC come entità politica non esistesse e fosse necessario ripristinare le suddivisioni geografiche e politiche precedenti all’arrivo degli europei. Il tentativo però ebbe vita breve: nel 1963, i katanghesi si arresero ai caschi blu dell’Operazione delle Nazioni Unite per il Congo.

Dopo quegli eventi, il desiderio secessionista non scomparve, facendo piuttosto da sfondo costante alle relazioni tra il Katanga e Kinshasa. Nacquero diversi movimenti, i cui membri furono spesso arrestati con l’accusa di pianificare atti sovversivi. Tra essi, il Fronte nazionale per la liberazione del Congo, che tentò due volte (1977 e 1978), senza successo, di invadere la regione partendo dall’Angola.

Nessun gruppo è stato però in grado di far rivivere gli anni dello Stato secessionista tanto quanto i Maï Maï Kata Katanga, movimento fondato nel 2011 da Gédéon Kyungu Mutanga. Signore della guerra, Gédéon era appena fuggito dalla prigione di Lubumbashi, dove era incarcerato per crimini contro l’umanità commessi durante le due guerre del Congo.

Il 23 marzo 2013, i Maï Maï Kata Katanga sono riusciti a issare la bandiera secessionista su Lubumbashi, anche se per poco. L’intervento dei peacekeeper delle Nazioni Unite li ha infatti rapidamente costretti alla ritirata e nel 2016 Gédéon e, con lui, altri cento combattenti si sono arresi.

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Scontri in Katanga, una storia decennale | Lo Spiegone

Dal 2020, il movimento si è ricompattato. Alcuni miliziani hanno attaccato le forze di sicurezza che tenevano Gédéon agli arresti domiciliari, permettendone la fuga. Da allora, la violenza dei Maï Maï Kata Katanga si concentra al confine settentrionale col Tanganyika, nel “Triangolo della morte”, dove continuano brutalità nei confronti dei civili, spesso costretti a fuggire altrove, e reclutamento forzato di bambini-soldato.

Comunità marginalizzate

I conflitti che interessano il Tanganyika, confinante a nord col Sud Kivu e a sud con l’Haut-Katanga, sono strettamente legati a queste due aree. Da un lato, alcuni movimenti armati dell’Est conducono incursioni più a sud, saccheggiando i villaggi; dall’altro, gli scontri che coinvolgono le due maggiori comunità del Tanganyika, twa e bantu, sono parzialmente legati al conflitto in Katanga.

I rapporti tra twa e bantu sono sempre stati tesi, ma dal 2012 sono degenerati in scontri armati. Cacciatori, raccoglitori e tra i primi abitanti dell’Africa centrale, in epoca precoloniale i twa furono costretti dall’arrivo degli agricoltori bantu a spostarsi nel profondo della foresta del bacino del Congo. Nel mentre, nelle chefferie (entità politiche tradizionali), veniva creata una struttura politica e sociale profondamente diseguale, per cui il potere e le terre erano nelle mani dei bantu.

In epoca coloniale, ampie porzioni di foresta furono disboscate e destinate ad agricoltura, allevamento ed estrazione mineraria. L’ambiente naturale dei twa e le loro principali fonti di sussistenza vennero meno e povertà e marginalizzazione si acuirono. In cambio del pagamento di tasse elevate, i twa iniziarono dunque a coltivare le terre dei bantu, ma, date le tecniche agricole arretrate, gli elevati tassi di malnutrizione non si ridussero e ciò intensificò il malcontento della comunità.

Un sentimento di rabbia che è esploso quando i twa – che avevano appoggiato le Forze armate della RDC contro i Maï Maï Kata Katanga – non sono stati ricompensati con politiche per miglioramenti socioeconomici e maggiori tutele dei loro diritti. Dal 2012, quindi, i giovani twa hanno formato milizie e iniziato ad attaccare i bantu, i quali, a loro volta, hanno costituito gruppi di autodifesa, sancendo l’escalation del conflitto. Oggi, i twa controllano le aree rurali e i bantu i centri urbani ed entrambe le comunità sono responsabili di numerose violenze sui civili.

I Mobondo: da milizia locale a destabilizzatore regionale

Fino a pochi anni fa, parlare di instabilità e conflitti nella RDC equivaleva a concentrarsi quasi esclusivamente sull’Est. Dal 2022, però, anche la stabilità delle province occidentali è venuta meno, rendendole la seconda area più preoccupante per la sicurezza nazionale dopo Ituri, Nord e Sud Kivu.

Nell’Ovest, si registrano tensioni da febbraio 2022, quando a Kwamouth (provincia di Maï-Ndombe) un capo locale, appartenente alla comunità teke, ha annunciato un consistente incremento della tassa che gli agricoltori, soprattutto yaka, gli dovevano. La repressione violenta delle proteste pacifiche dei coltivatori ha spinto gli yaka a fondare una milizia, i Mobondo. Armati di machete, lance, fucili da caccia e assalto, i miliziani attaccano i teke, distruggendo le abitazioni, abusando di donne e ragazze e costringendo i civili ad allontanarsi.

Quello che era iniziato come conflitto locale si è poi rapidamente esteso. A settembre 2022, la violenza dei Mobondo è arrivata nel Kwilu, mentre a ottobre ha raggiunto il comune di Maluku, nella provincia di Kinshasa. Nel corso del 2023, i miliziani hanno attaccato villaggi nelle province di Kwango e Kongo-Central, accerchiando la capitale.

Conflitti per la terra

Le tensioni legate alla terra (un bene essenziale in una società dipendente dall’ambiente naturale e dalle sue risorse) sono trasversali a tutto il Paese e affondano le radici nell’epoca coloniale.

Tra il 1885 e il 1960, molte terre divennero proprietà dello Stato belga o furono concesse a compagnie straniere. Infatti, non riconoscendo l’esistenza di altre forme di proprietà se non quella privata – tipicamente occidentale -, i colonizzatori garantirono agli indigeni diritti consuetudinari solo sulle terre abitate o coltivate, in quanto realmente occupate. Fu quindi ignorata l’esistenza di comunità nomadi o seminomadi, la cui sopravvivenza e cultura sono strettamente legate all’ambiente naturale in cui si trovano.

Una situazione che perdura ancora oggi (con buona parte delle terre ancora di proprietà statale) e che crea le condizioni per rivendicazioni di diritti sulla terra, che sfociano in tensioni e conflitti. In alcuni casi, come nel Tshopo, le comunità locali rivendicano diritti consuetudinari su aree che lo Stato ha concesso a compagnie private. In altri, come nel Kasaï, la scarsità di terre a disposizione degli indigeni acuisce le tensioni tra comunità per accedervi.

Un Paese fragile

Secondo l’UNHCR, sei milioni di congolesi sono sfollati nel loro Paese, un altro milione è fuggito negli Stati vicini e 26 milioni soffrono di insicurezza alimentare acuta. Cifre tra le più alte dell’Africa subsahariana e del mondo e che fotografano la perenne crisi umanitaria causata dal persistere dei conflitti armati.

La fragilità dello Stato congolese si manifesta su tutti i livelli – politico, sociale, economico e militare – e non solo crea le condizioni per lo scoppio di violenze, ma rende anche difficile porvi fine e intervenire a supporto dei civili. Cattiva governance, corruzione, retaggi coloniali e scarsità di risorse sono tutti fattori che, intersecandosi a un contesto socioeconomico estremamente fragile, accendono la miccia di tensioni e conflitti, i quali non fanno altro che rafforzare la fragilità del Paese.

Fonti e approfondimenti 

Diama, Monge J., “Conflit Mbole et Lengola: l’armée fustige le recrutement des jeunes dans l’espace Anamongo et l’appui des tribus Kumu et Mituku”, Politico.CD, 23/08/2023.

Fessy, Thomas, “Intercommunal Violence in Western Congo Kills Scores”, Human Rights Watch, 29/06/2023.

Groleau, Geoffroy, “Conflict Spotlight. A Silent Crisis in Congo: The Bantu and the Twa in Tanganyika”, International Rescue Committee, 2017.

Harris, Harmish, “Mai-Mai Kata Katanga”, The Modern Insurgent, 27/11/2022. 

Integrated Food Security Phase Classification. 2023. “Democratic Republic of the Congo: Acute Food Insecurity Situation for July – December 2023 and Projection for January – June 2024”.

Kamulete, Laurianne, “Bantous-Twa: ces conflits identitaires qui déchirent le Tanganyika-Enquête”, Actualité.CD, 10/06/2021.

Helliker, Kirk, Murisa, Tendai. 2011. Land Struggles and Civil Society in Southern Africa, Africa World Press.

Lorgerie, Paul, “RDC: montée de la violence dans la province de la Tshopo”, DW, 06/11/2023.

Radio France Internationale. 26/05/2023. “Dans le nord de la RDC, les incursions de miliciens centrafricains redoublent”.

Radio Okapi. 29/07/2022. “RDC: activisme des groupes au Haut-Uélé, le gouvernement interpellé”.

Schlein, Lisa, “UN Fears Resurging Violence in DRC’s Kasai Region Will Spark Mass Displacement”, VOA, 17/04/2021.

Thill, Michel. 2011. Secessionism in Katanga. Birth, Legacy and Ways Forward. SOAS, University of London. Londra.

Editing a cura di Beatrice Cupitò

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