*Per garantire la sicurezza dell’intervistato, in questo testo non ne viene citato il nome e sono stati eliminati tutti i dettagli che possano permetterne l’identificazione.
I conflitti che da tempo interessano l’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC) hanno un impatto profondo sui civili, che sono oggetto di vessazioni e sfruttamento. In questa seconda intervista, abbiamo chiesto a un cooperante congolese, analista dei processi di cambiamento di lungo periodo nella regione dei Grandi Laghi, di aiutarci a capire l’impatto dei conflitti sulla popolazione e come nella RDC sia possibile conciliare lo sviluppo di lungo periodo con le urgenze create dal persistere degli scontri.
Quale è l’impatto del conflitto sulla popolazione?
La guerra ha creato un incredibile disastro umanitario. Più di 6 milioni di persone sono sfollate. I mesi di marzo e aprile sono tra i più piovosi dell’anno e molti sfollati non hanno teli per coprirsi, cibo e beni essenziali. Difficilmente accedono ai servizi sanitari e sono quotidianamente esposti alle intemperie.
Le popolazioni vivono ogni giorno le afflizioni della guerra, tra cui vessazioni, stupri, saccheggi e furti di proprietà, trasporto d’armi e munizioni, lavori forzati, prostituzione, traumi legati ai rumori delle bombe e delle armi di piccolo calibro.
I gruppi armati portano via tutto quello che i locali possiedono: cibo, argento, bestiame, coltivazioni, attrezzature domestiche, abbigliamento. I bambini non vanno più a scuola, gli agricoltori non lavorano più i campi, le attività economiche sono paralizzate.
Le truppe governative sono impotenti nel fermare l’avanzata dei ribelli e la MONUSCO non è presente per combattere. Naturalmente, come esercito dell’ONU, la MONUSCO a volte salva le persone creando zone di rifugio per le popolazioni in fuga. Il suo ruolo però è limitato alla protezione civile, in quelle aree dove riesce ad accedere.
La popolazione come convive quotidianamente con i gruppi armati?
In questo modo: quando un gruppo controlla una zona, instaura il suo potere e la sua amministrazione politico-militare, che comprende esazione delle tasse, acquisizione di cibo per i militari, lavoro manuale nella costruzione di campi per i soldati e nella manutenzione delle piantagioni dei capi. Si crea una sorta di armonia apparente, un accordo, malgrado la sofferenza delle popolazioni per le fatiche e le torture morali inflitte dai combattenti.
Quando c’è lo scoppio di un conflitto tra due gruppi e un nuovo raggruppamento riesce a sloggiare il vecchio, la situazione cambia. Coloro che si erano avvicinati al vecchio gruppo vengono braccati e spesso giustiziati. Per paura di rappresaglie dei combattenti dei gruppi rivali, molti continuano a lasciare i villaggi per insediarsi a Goma o in altre città come Bukavu.
I gruppi armati stranieri, che operano nella RDC, come sono percepiti dalla popolazione?
La percezione delle popolazioni in riferimento ai gruppi armati stranieri è che siano lì per sfruttare le loro risorse. In effetti, i combattenti affermano che quando sarà il momento ritorneranno a casa loro. Non costruiscono e non investono in niente di durevole nella zona.
Invece, i gruppi armati locali organizzano spesso azioni di sviluppo, come costruzione di scuole, creazione e mantenimento di strade di servizio agricolo e di sentieri tra i villaggi, sostegno alla realizzazione di centri sanitari e mercati, organizzazione di attività sportive per i giovani.
I minerali giocano un ruolo cruciale nel conflitto.
I minerali hanno un ruolo preponderante. Attualmente, le miniere di coltan di Rubaya nel territorio di Masisi, quelle di coltan e tormalina di Numbi nel territorio di Kalehe e l’oro di Walikale attirano l’appetito dei gruppi armati.
Certi gruppi sfruttano direttamente o fanno sfruttare per loro le cave, mentre i minerali ottenuti sono venduti attraverso negozianti che li portano oltre confine in Ruanda e Uganda.
Il caso più famoso è quello della Société Minière Bisunzu (SMB), con concessione a Rubaya e il cui presidente, Édouard Mwangachuchu Hizi, è oggi perseguito dalla giustizia congolese a Kinshasa. Deputato nazionale, è presidente del CNDP, l’ex movimento ribelle di Nkunda, poi trasformatosi in partito politico.
Ricordiamo che gli accordi alla base della nascita dell’M23 sono stati siglati a Nairobi tra il CNDP e il governo congolese. Ora, nella concessione mineraria di SMB e nella residenza di Mwangachuchu a Kinshasa sono stati recentemente scoperti dei depositi di armi. Perciò, è importante comprendere la correlazione tra lo sfruttamento minerario di SMB e le ribellioni dell’M23 per affermare che le miniere congolesi contribuiscono a finanziare i gruppi armati.
Sostenendo questi movimenti, molti deputati dei territori teatro di scontri prendono in ostaggio le loro basi, silenziando il dissenso e intimidendo gli altri candidati.
Nel frattempo, i minatori locali vivono in condizioni molto pesanti.
I minatori artigianali rimangono nella povertà e muoiono ogni giorno a causa di malattie respiratorie e frane che li bloccano nelle gallerie. Molti soffrono di disabilità fisiche. Nei luoghi minerari, molti bambini non vanno a scuola e il loro futuro è veramente incerto.
Coloro che traggono profitto da queste miniere sono i negozianti, le imprese di Kigali e Kampala e le multinazionali nel resto del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, dove questi minerali vengono sfruttati. Le tasse prelevate sui minerali e i servizi connessi si volatilizzano nelle tasche delle autorità.
Non esiste un piano valido per valorizzare e ricompensare i considerevoli sforzi compiuti dai minatori artigianali, esposti ogni giorno a rischi mortali.
Tu sei tra i fondatori di un’associazione congolese di cooperazione allo sviluppo, quali sono i suoi obiettivi e come lavorate per raggiungerli?
La nostra associazione è nata su iniziativa dei responsabili dei gruppi agricoli per creare uno spazio di riflessione e analisi della nostra situazione e sviluppare azioni capaci di migliorare le nostre condizioni di vita.
Interveniamo nel settore educativo con la scolarizzazione di studenti indigenti e la costruzione di scuole rurali. Realizziamo progetti agricoli – coltivazione di legumi, colture alimentari e coltivazioni d’utilità nel contesto agro-forestale – con donne vulnerabili, soprattutto sfollate, e famiglie agricole.
Agiamo nel settore sanitario, in particolare negli ambiti dell’educazione all’igiene, della sanità familiare e della sensibilizzazione contro Ebola e Covid-19. Infine, stiamo lavorando sull’elettrificazione rurale con un progetto di produzione e distribuzione dell’elettricità nella nostra piccola città.
La nostra preoccupazione è quella di stare ogni giorno dalla parte dei più deboli, in particolare delle popolazioni rurali impegnate nell’agricoltura di sussistenza, spesso marginalizzate da coloro che, ai livelli più alti, gestiscono le immense risorse del nostro Paese.
Abbiamo bisogno di sostegno per fornire assistenza significativa alle numerose famiglie di agricoltori che vivono e lavorano nelle zone nelle quali interveniamo, ovvero nei territori dove si sviluppano i pesanti combattimenti tra M23 e truppe governative, sostenute da gruppi armati locali.
Secondo te, quali sono le principali necessità per lo sviluppo della RDC?
Per lo sviluppo della RDC, è necessario insediare alla guida del Paese un potere legittimo, frutto di elezioni ben organizzate e supervisionate, espressione della scelta del popolo e non di un potere ottenuto attraverso compromessi politici [l’elezione di Tshisekedi nel 2018 è considerata il frutto di un accordo politico tra Kabila e lo stesso Tshisekedi affinché Kabila potesse continuare a influenzare il governo, N.d.R.].
Bisogna organizzare dei forum, suddivisi in sette macro-aree geografiche (Grand Kivu, Région Orientale, Grand Equateur, Kasai, Katanga, Kinshasa e Bandundu, Congo Central) e facilitati da esperti internazionali per affrontare le questioni irrisolte nella RDC e che sono alla base dell’abbandono dello Stato e delle ricorrenti guerre. Alla fine dei forum, i partecipanti possono fornire una “diagnosi” per ogni regione e proporre soluzioni e progetti di lungo periodo, che dovrebbero poi essere oggetto di una richiesta collettiva di investimenti per la RDC, tenendo conto delle specificità territoriali.
È fondamentale riformare giustizia, polizia ed esercito per instaurare un’autorità statale in grado di punire coloro che violano le leggi nazionali e dissuadere coloro che complottano contro la RDC, in particolare i Paesi vicini.
I meccanismi di controllo dei servizi statali devono essere rafforzati per assicurare la tracciabilità delle risorse prodotte e consumate, la loro qualità e un numero sufficiente di uomini in ciascun servizio.
Infine, il tenore di vita dei politici deve essere ridotto a garanzia di una giustizia redistributiva e di un nuovo modello di solidarietà tra i cittadini congolesi. Il livello di vita dei politici della RDC è uno scandalo nel mondo per un Paese eroso da difficoltà economiche.
In che modo la RDC può conciliare la necessità di uno sviluppo di lungo periodo con le urgenze provocate dal conflitto?
Per conciliare lo sviluppo di lungo periodo con le urgenze, dobbiamo innanzitutto avere un governo legittimo, frutto di elezioni credibili, e che garantisca la fiducia della popolazione e dei donatori internazionali. La sua legittimità gli permetterà di negoziare con i donatori internazionali un piano nazionale di rilancio economico ben elaborato.
Gran parte dei fondi dovrà essere erogata sotto forma di investimenti rimborsabili in un lasso di tempo concordato, in quanto contribuiranno alla produzione di ricchezza nazionale. Un’altra categoria sarà invece negoziata per il recupero sociale, al fine di assicurare un’assistenza temporanea ai più vulnerabili (studenti in difficoltà, giovani disoccupati, società in fallimento) per trasferirli nei settori produttivi. Stimiamo che questi fondi per la RDC debbano essere pari a circa 100 miliardi di dollari.
È importante anche mettere ordine nella cooperazione. Bisogna realizzare una cartografia di tutte le Ong nazionali e internazionali che operano sul suolo congolese e fornire loro un modello operativo obbligatorio sull’orientamento delle attività verso uno sviluppo durevole. Le Ong dovranno suddividere i loro interventi in due parti: una diretta al contrasto delle urgenze, con un pacchetto finanziario che dovrà diminuire gradualmente nel tempo a vantaggio della seconda parte, consacrata a una transizione verso uno sviluppo durevole.
Per tutte le istituzioni, i servizi e le organizzazioni nazionali e internazionali, che operano nella RDC, deve essere obbligatoria la costituzione di un’entità indipendente formata da esperti nazionali e internazionali che realizzino missioni regolari di audit finanziaria e controllo amministrativo e tecnico per dare al governo pareri sulla mobilitazione e sull’utilizzo delle risorse finanziarie su tutto il territorio congolese e nelle diverse cancellerie.
Secondo te, quale sarà l’influenza del conflitto sulle elezioni fissate per dicembre 2023?
Secondo me, non ci sarà un’elezione a dicembre 2023, per diversi motivi.
Innanzitutto, Tshisekedi, conoscendo le condizioni nelle quali è arrivato al potere, non può prendersi il rischio di organizzare le elezioni, quando tutte le sue promesse – in particolare quelle securitarie, che aveva reso suo cavallo di battaglia – non sono state mantenute.
In secondo luogo, Tshisekedi ha preso il potere dopo uno slittamento di due anni, provocato volontariamente dal suo predecessore, Kabila. Non è una lezione per lui? D’altra parte, la guerra d’aggressione e la conseguente possibile mancanza di finanziamenti per le elezioni potrebbero giustificare un ulteriore rinvio. Ci sono anche dubbi sul fatto che, alla data delle elezioni, tutti gli elettori saranno registrati, poiché, sia nelle zone di guerra che no, il processo è molto lento e soffre di problemi tecnici.
Infine, per sfuggire alle elezioni nel 2023 e prepararsi allo slittamento, Tshisekedi si sta circondando di grandi tenori politici storici come Jean Pierre Bemba, Vital Karhé e Mbusa Nyamwisi per ingrandire la famiglia dell’Union Sacrée. Questo indebolirà l’opposizione e isolerà ulteriormente l’ex presidente Kabila, il cui clan politico giura di tornare al potere [l’alleanza formata da Kabila e Tshisekedi, dopo le elezioni del 2018, si è rotta a fine 2020 e Tshisekedi ha provveduto a nominare un nuovo Primo ministro, in sostituzione del precedente vicino a Kabila, N.d.R.].