Brexit: Cosa ci dicono le previsioni?

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Continuiamo i nostri approfondimenti sulla Brexit, approfondendo i possibili scenari economici di un’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. E’ bene sottolineare fin da subito che le previsioni di economisti e organizzazioni specializzate si basano su simulazioni che non hanno un grado di attendibilità certo al 100%, ma sono necessari per poter effettuare delle valutazioni su eventi futuri.

 

Le ragioni economiche per il NO

Il Fondo Monetario Internazionale nel suo rapporto annuale sull’economia inglese, pubblicato il 17 giugno scorso, sostiene senza alcun ombra di dubbio l’inesistenza di vantaggi economici derivanti dalla vittoria del “SI”. E’ la stessa Christine Lagarde, direttore operativo, a dichiarare che dopo aver valutato tutti gli scenari (“dopo aver fatto i compiti a casa”), il Fondo Monetario non ha nulla di positivo da dire sull’uscita della Gran Bretagna.

Parlando di cifre, gli studi del Fondo mostrano come una vittoria del “NO” non muterebbe l’attuale situazione: il PIL britannico crescerebbe attorno al 2,2% nel 2017 continuando la crescita positiva degli ultimi anni. Nel caso di una vittoria del “SI”, il Fondo pone l’attenzione sulla forte incertezza che si instaurerebbe nei mercati (sia reali che finanziari). Inoltre la Gb si troverebbe a dover rinegoziare oltre 50 trattati commerciali che ad oggi sono in capo all’UE. Due sono i possibili scenari:

  • Il primo, più contenuto, nel caso in cui la Gran Bretagna assumesse uno status nei negoziati simile a quella che la Norvegia possiede nei confronti dell’Europa (pur non facendo parte dell’Unione, la Norvegia, con la ratifica dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo, fa parte a pieno titolo del mercato dell’Unione come tutti gli altri Stati membri). In questo caso le proiezioni, basandosi su dati del 2018, prevedono una riduzione del PIL dell’ 1,4% nel 2019, rispetto al caso in cui la GB rimanesse nell’UE.
  • Il secondo scenario, decisamente più drastico, prevede un crollo del PIL del 5,6% nel 2019 (ancora confrontato con il caso della non uscita).

In entrambi i casi l’impatto sull’occupazione sarebbe negativo.

Fortemente schierato a favore del “NO” è il governo britannico che attraverso uno studio del Ministero del Tesoro argomenta la propria posizione: l’UE è il maggior partner commerciale del Regno Unito: il 44% delle esportazioni britanniche è rappresentato da scambi verso Paesi dell’UE. Rimanere nell’Unione garantirebbe l’accesso ad ogni singolo mercato, mentre un’uscita provocherebbe incertezza e rischio. Inoltre essere nel mercato dell’UE favorirebbe gli investimenti di imprese estere in Gb, accrescendo il numero di posti di lavoro.

Anche le proiezioni del Ministero sono negative. Sono stati analizzati diversi scenari:

  • quello intermedio prevede una riduzione del Pil del 3,6% nei due anni successivi all’uscita dall’Unione e la perdita di 520mila posti di lavoro.
  • L’ipotesi peggiore stima un calo del Pil del 6% e 820mila occupati in meno.

Ulteriori pareri contro il “leave” sono forniti dalle analisi di due tra le più grandi banche di affari del pianeta: Goldman Sachs e Morgan Stanley. Queste pongono l’attenzione sulle possibili ricadute che un’uscita provocherebbe sulla sterlina. Rispetto all’attuale svalutazione dettata dai timori del mercato per una possibile vittoria della Brexit, qualora dovesse vincere il “SI” si prevede un’ulteriore e più consistente svalutazione verso le altre valute.

Da sottolineare che l’uscita della GB provocherebbe conseguenze negative anche per gli altri Paesi: l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha creato un indice di sensibilità per i Paesi europei in uno scenario di Brexit: Irlanda, Lussemburgo, Malta e Cipro sono in prima linea per quanto riguarda le ricadute; l’Italia, invece, si sistema in fondo alla classifica con l’Ungheria e l’Austria.

 

Le ragioni economiche del SI

A contrastare i timori appena descritti c’è in prima battuta un gruppo di accademici che si è riunito sotto il nome di “Economists for Brexit”. Nel loro pamphlet, si sostiene come un’uscita del Regno Unito comporterebbe un risultato economico decisamente migliore. Le previsioni economiche, sviluppate secondo il modello finanziario di Patrick Minford (professore di economia applicata alla Cardiff Business School), prevedono rispetto ad una permanenza nell’UE:

  • Un aumento della produzione di circa il 2%;
  • Un aumento della competitività con l’estero del 5%;
  • Un aumento dei salari reali (ossia depurati dell’inflazione) dell’1.5%;
  • Una caduta del tasso di cambio del 6% (dato decisamente favorevole perché permetterebbe di aumentare la competitività verso l’estero e, quindi, di aumentare le esportazioni che sono una componente positiva nel calcolo del PIL);
  • Una riduzione del tasso di disoccupazione dello 0,2%.

Ai timori di una rinegoziazione degli accordi commerciali, il “team” risponde che la Gran Bretagna intrattiene già estesi rapporti commerciali con molti Paesi del globo sotto le regole del WTO (World Trade Organization): le stesse regole (a cui aderiscono anche tutti i Paesi europei) potrebbero essere utilizzate per gli scambi con l’Unione. Ancora, si sostiene che la City (centro finanziario del Regno Unito) conserverebbe la sua posizione di centro della finanza globale.

Altro punto fondamentale posto al centro delle ragioni del SI sono i contributi (monetari) che il Regno Unito deve versare nelle casse dell’Unione Europea: la GB è il terzo Paese, dietro Francia e Germania, a contribuire alle casse dell’Unione e costituisce uno dei 9 Stati denominati “contributori netti” (contribuiscono più di quanto ricevono). Nel 2015 il Regno Unito ha contribuito per un valore di 17,8 miliardi di sterline. Secondo i sostenitori del “SI”, l’uscita permetterebbe al governo di utilizzare quei soldi e reinvestirli secondo la propria discrezionalità all’interno del Paese.

Infine si pone l’attenzione sulle normative e le regolamentazioni che l’Unione Europea impone sotto l’aspetto finanziario ambientale e sociale, definiti troppo stringenti rispetto ai Paesi extraeuropei: tali vincoli, secondo i pro Brexit, hanno comportato una minor competitività e hanno precluso profitti alle imprese.

 

Conclusioni

Potrebbe risultare singolare che il Paese meno stretto dai vincoli dell’UE sia il primo ad indire un referendum per decidere se uscire o meno. Tuttavia questo, dopo i fatti avvenuti in Grecia, è un altro segnale di come l’astrazione dell’Unione Europea dalle condizioni reali dei propri cittadini stia facendo vacillare la fiducia della gente comune. E’ giunta l’ora di chiarire che l’Unione Europea, così come appare oggi, è solo una delle possibili architetture che può rappresentare il continente Europa: l’Unione Europea non deve essere per forza questa. Una costruzione che rappresenta (e vuole rappresentare) solo gli aspetti economici, tralasciando quelli economico sociali dei lavoratori, dei giovani e dei più poveri, in nome della stabilità e della competitività non può essere un’istituzione che mira ad unire i popoli europei.

La vittoria del “SI” potrebbe provocare un effetto domino per gli altri Paesi con conseguenze molto gravi dal punto di vista economico: questo scenario ci proietterebbe in un futuro del tutto incerto, ma con prospettive di lavorare per il cambiamento.

La vittoria del “NO” manterrebbe inalterati gli equilibri e i vantaggi che l’Unione Europea garantisce ai Paesi Membri: tuttavia se la vittoria del “NO” è un punto di arrivo e non un punto di partenza, l’Unione Europea persevererà nel suo fallimento. 

 

 

Fonti e Approfondimenti

http://www.imf.org/external/pubs/ft/survey/so/2016/CAR061716A.htm

https://www.gov.uk/government/publications/why-the-government-believes-that-voting-to-remain-in-the-european-union-is-the-best-decision-for-the-uk/why-the-government-believes-that-voting-to-remain-in-the-european-union-is-the-best-decision-for-the-uk#fn:1

http://www.economistsforbrexit.co.uk/

Goldman Sachs, scenario crac Lehman: fuga da sterlina. E l’euro?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06/19/brexit-gli-economisti-tifano-remain-tutti-gli-effetti-del-leave-dal-crollo-della-sterlina-alla-perdita-di-posti-di-lavoro/2839118/

https://www.theguardian.com/business/2016/jun/18/imf-says-brexit-would-trigger-uk-recession-eu-referendum

https://www.theguardian.com/business/2016/mar/31/uk-economy-growth-record-trade-deficit

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