La Turchia il 15 luglio arriverà al primo anniversario dal colpo di stato fallito. Le immagini sono ancora fortemente impresse nella memoria con i carri armati che sfilano sui ponti del Bosforo. In questi dodici mesi il paese ha affrontato grandi cambiamenti: la riforma costituzionale presidenziale, la nuova intensità di intervento in Siria e la spaccatura tra partito di governo e il resto del paese. Mentre numerosi analisti definiscono la Turchia in grande difficoltà, Erdogan continua a sostenere che il paese è all’apice della sua grandezza con grandi prospettive per il futuro. Cerchiamo di analizzare la situazione.
La lotta alle opposizioni
A partire dal 15 luglio 2016 l’approccio di Erdogan verso le opposizioni è cambiato in modo radicale. Fetullah Gulen, indicato come ispiratore del putsch fallito, è stato decretato come nemico numero uno del sistema ed è stata lanciata un’epurazione su larga scala sull’intero sistema paese, per allontanare i suoi seguaci (chiunque si sia formato all’interno delle tante università islamiche guleniste) dai luoghi del potere. In pochi mesi sono stati licenziati più di 12.000 insegnanti, diverse migliaia di dipendenti pubblici e moltissimi funzionari governativi, giudici e alti generali sono stati arrestati o sostituiti.
L’atteggiamento verso i nemici politici moderati è passato dall’essere passivo all’essere pro-attivo e aggressivo, anche grazie allo stato di emergenza che tuttora è in vigore nel paese. I curdi, il partito filocurdo (HDP) e la società civile progressista sono nel mirino del governo da molto tempo, anche prima del tentato colpo di stato, ma la novità è la pressione governativa che ha incominciato a colpire anche il partito kemalista CHP.
La riforma presidenziale, criticata ampiamente dai kemalisti, ha portato il focus della repressione proprio su di loro e sulle organizzazioni internazionali. Dopo l’arresto del presidente di Amnesty International Turkey, Taner Kilic, nei giorni scorsi, molti altri politici di primo piano della CHP sono stati arrestati, con l’accusa di avere relazioni con i nemici dello stato. Queste incarcerazioni hanno portato il leader del partito Kemal Kılıçdaroğlu a lanciare una marcia da Ankara a Istanbul per denunciare il sistema giudiziario che ormai è diventato uno strumento di controllo nelle mani del governo.
Il paese e in particolare le masse anatoliche, che si sono arricchite sotto la presidenza di Erdogan, sono ancora fortemente schierate con il presidente, come si può vedere dalle forti proteste che hanno accompagnato la marcia del CHP. Il nuovo Sultano, come viene chiamato dai dissidenti, non ha ancora assunto i nuovi poteri che gli ha dato la modifica costituzionale, ma ha già cambiato il suo rapporto con le minoranze e le opposizioni nel paese. Il suo stile di governo dall’essere velatamente autoritario è diventato marcatamente repressivo.
L’impatto sull’economia
In questo clima di grande pressione va tenuto sotto controllo il sistema economico turco nell’anno del fallito golpe. In questo periodo l’economia turca si è trasformata da una delle stelle fulgenti del Medio Oriente ad una delle più fragili, per poi ritornare sulla linea di galleggiamento negli ultimi mesi.
Nei giorni immediatamente successivi al colpo di stato i crediti di Ankara sono stati duramente declassati dalle agenzie di rating al livello “junk”, immondizia, per la grande instabilità vigente nel paese. Questo ha quasi azzerato gli investimenti esteri, che a Ottobre hanno toccato il punto più basso degli ultimi dieci anni. L’innalzamento dei tassi di interesse e la scomparsa di capitale estero ha messo in ginocchio moltissime aziende e ha fatto aumentare in modo esponenziale il debito turco, riportando nella memoria la terribile crisi del debito sofferta nel 1994.
Il rilancio dell’economia è passato da una controversa misura creata dal nuovo governo di Ankara verso Dicembre. Nelle settimane successive al tentativo di colpo di stato, Erdogan ha creato un nuovo fondo sovrano con funzioni simili a quelle del Tesoro di Stato e quelle della Banca Centrale. Il fondo è stato finanziato attraverso vari metodi, come ad esempio le entrate del gioco d’azzardo. Una volta raggiunto un certo livello di liquidità, il governo, con decreti legislativi, ha concesso ad esso numerose aziende nazionali, potendole così finanziare direttamente, attuando una sorta di nazionalizzazione.
Questo processo è stato grandemente criticato dal Parlamento dato di fatto il passaggio ad un’economia dirigista e alla riduzione della concorrenza nei confronti delle aziende non “commissariate”. Il parlamentare Faik Oztrak, del CHP, ha ampiamente criticato questa decisione, facendo numerose interrogazioni parlamentari, senza avere alcun risultato dato che il potere del Parlamento è stato totalmente eroso dallo stato di emergenza. Questo prepotente intervento statale ha permesso al governo di aumentare la stabilità di queste aziende attirando nuovi investimenti dal mercato estero e ridando respiro ad un economia sull’orlo del baratro.
In questo processo il governo ha dovuto usare, attraverso il fondo, molte delle proprie riserve di moneta estera, che erano state accumulate negli anni di grande boom economico. Questo fatto va tenuto sotto controllo per il futuro. Se, infatti, la Turchia si dovesse ritrovare in una nuova crisi, creata ad esempio dallo scontro con un altro paese mediorientale, alcuni degli analisti credono che si potrebbe trovare priva di una forte riserva di moneta estera, condannandosi al crollo economico.
La repressione che uccide lo spirito imprenditoriale
Drogando il sistema economico del paese Erdogan è riuscito a riportare in crescita il PIL della Turchia, ma allo stesso tempo la lotta alle opposizioni e ai gulenisti sta costituendo un vero e proprio danno al paese.
La parte di stato legata a Gulen è chiamata dalle forze di sicurezza FETO (Fetullah Gulen Terror Organization) . Alla FETO sono stati accostati moltissimi nomi tra cui numerosi capitani di industria e dirigenti di aziende centrali nel mercato turco, in particolare del Nord e della costa. Quando i proprietari sono stati arrestati e le industrie sono state confiscate, è stato creato un fondo controllato dal governo, il Saving Deposit Insurance Fund, per gestire questi beni durante i processi dei dissidenti. Il valore complessivo del fondo è di circa 40 miliardi di dollari e tutte le decisioni interne a queste attività sono adesso affidate al responsabile governativo, che è attualmente il vice primo ministro Nurettin Canikli, uomo di fiducia di Erdogan. Questo evento ha di fatto congelato una parte di economia che prima era vivace e florida.

Nurettin Canikli – Fonte: Wikimedia commons
Questi beni confiscati hanno danneggiato l’economia turca, ma solamente in parte, dato che in totale il valore del mercato del paese è di circa 800 miliardi di dollari, di cui quei 40 sono una parte in fondo minore. Il vero rischio risiede nel clima di paura che si è creato tra gli imprenditori.
Molti degli uomini arrestati non avevano avuto mai rapporti con Gulen, la loro unica colpa era stata quella di criticare il Presidente da posizioni economiche di peso nell’economia del paese. Questa repressione porterà inevitabilmente alcuni imprenditori a chiedersi se è sensato cercare di arricchirsi e di emergere in questo momento. Alcuni preferiranno evitare di guadagnare peso nell’economia del paese, magari rallentando le proprie industrie, per cercare di non di essere troppo in vista, con il rischio di finire mal visti da un presidente protagonista che non vuole voci fuori dal coro.
Lo spirito imprenditoriale è stato alla base dell’esplosione delle Tigri dell’Anatolia, le industrie turche che negli anni 90 hanno rilanciato il paese, ma in questo momento è messo a rischio dall’atteggiamento oppressivo del presidente. Erdogan sta vincendo la sua battaglia interna azzerando i suoi avversari politici, ma allo stesso tempo sta togliendo al paese la società civile e la classe imprenditoriale che sono stati la vera forza propulsiva della Turchia.
Fonti e Approfondimenti:
http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2017/07/turkey-how-coup-attempt-affect-economy.html