Percorrendo la storia di Etiopia ed Eritrea

Etiopia e Eritrea_LoSpiegone

Quando si parla di storia africana l’Etiopia, l’entità statale più antica del continente, non può essere dimenticata. La cultura millenaria di questo Paese, unica per certi aspetti, lo rende una realtà a sè stante rispetto agli altri stati africani. La nostra analisi mira a delineare i tratti storici dell’Etiopia, ponendo l’attenzione sul rapporto che ha avuto con l’Eritrea. Le loro relazioni travagliate sono dunque finite sotto la nostra lente d’ingrandimento e, in questo articolo, le analizzeremo partendo dall’età coloniale fino ad arrivare all’indipendenza dell’Eritrea, avvenuta nel 1993.

L’Etiopia del colonialismo

Nella metà del 1800 il regno etiope era sicuramente una delle rare realtà statali di un’ Africa che suscitava l’interesse delle potenze  europee dell’epoca, quali Gran Bretagna, Francia e Germania. L’interesse verso l’Etiopia, sopratutto britannico, era motivato dall’apertura del canale di Suez del 1869, una rivoluzione che avrebbe stravolto le classiche rotte commerciali e aperto una nuova era per il commercio marittimo della zona. Per le potenze europee il Corno d’Africa diventava una zona di primaria importanza.

La penetrazione europea nel continente africano ebbe un’ accelerazione con la Conferenza di Berlino del 1884, orchestrata dal Cancelliere tedesco Bismark, che  apriva l’epoca del colonialismo. A quei tempi il regno d’Etiopia era governato da Giovanni IV che regnò dal 1879 al 1889. Il regno  di Giovanni dovette fare i conti con la prima avventura coloniale italiana, che occupò proprio l’Africa Orientale; in particolare, l’interesse italiano si focalizzò sui porti eritrei di Massaua e Assab, fondamentali per il controllo della nuova rotta di Suez. Nel 1885 iniziò dunque la guerra d’Eritrea, che fu la prima esperienza bellica del neonato stato italiano in Africa; l’Italia riuscì a conquistare i porti e le zone limitrofe, ma pagò la poca esperienza in fatto di guerra: gli italiani furono  duramente sconfitti a Dogali nel 1887, dal più numeroso e ben addestrato esercito etiope. Questa debacle decretò la momentanea fine degli scontri.

Nel 1889 a Giovanni IV succedette Menelik II. Fu il nuovo re etiope che firmò il trattato di Uccialli (2 maggio 1889) con l’Italia, allora governata da Francesco Crispi, fortemente interessato a riprendere l’intervento in Africa: l’Etiopia riconosceva all’Italia le sue conquiste in Eritrea, che il 5 gennaio 1890 veniva proclamata colonia e sottoposta all’autorità di un governatore. Tuttavia, la differente interpretazione delle clausole del trattato, causata dalla non corrispondenza tra le due versioni in italiano e in amarico, comportò l’insorgere di contrasti tra i due governi. In base alla versione in italiano,  Menelik delegava al governo italiano tutte le sue attività di politica estera, rendendo di fatto l’Etiopia un protettorato dell’Italia; in base alla versione in amarico, invece, la delega era solo facoltativa, e il re etiope vi poteva ricorrere solo quando ciò gli fosse convenuto. Non venne mai chiarito se la differenza fosse dovuta ad un semplice errore di traduzione, o ad una deliberata mossa di una delle parti per indurre l’altra a firmare.

I rapporti fra l’Etiopia e l’Italia si fecero quindi sempre più tesi sino alla denuncia formale da parte etiopica del trattato di Uccialli nel febbraio 1893 e all’inizio delle ostilità nel 1895 con la guerra d’Abissinia. Gli Italiani invasero la regione del Tigrè, limitrofo all’Eritrea; questo atto portò alla pronta risposta del re Menelik, che arrivò a schierare quasi 100.000 uomini. L’esercito italiano venne sconfitto ad Amba Alagi e ad Adua nel 1896, e Crispi dovette rinunciare, con il trattato di Addis Abeba del 26 ottobre 1896, al protettorato sull’Etiopia, ottenendo il riconoscimento del possesso della sola Eritrea. Sul piano internazionale l’Etiopia di Menelik acquisì in questo modo un notevole prestigio. L’Italia d’altro canto, uscì notevolmente ridimensionata, poiché fu la prima “potenza” europea duramente sconfitta da un regno africano, nonostante riuscì a mantenere i territori conquistati in Eritrea, la quale divenne la colonia primogenita italiana.

Il regno di Selassiè e l’invasione italiana

Dopo la morte di Menelik II salì al trono d’Etiopia Hailé Selassié. Durante il suo regno si profilò nuovamente la minaccia dell’espansionismo coloniale. Negli anni Trenta infatti, nonostante nel 1928 fosse stato firmato un trattato italo-etiopico di amicizia e di cooperazione, il governo fascista si decise per la conquista militare del regno. Nel 1934, l’Etiopia fu messa sotto accusa da Mussolini davanti alla Società delle Nazioni, per l’incidente di Uàl-Uà, un piccolo scontro armato tra le truppe italiane e quelle africane per il possesso di pozzi d’acqua. Questo incidente, di lieve portata paragonato ad altri, fu  ingigantito dalla propaganda fascista che ormai da anni stava preparando l’invasione dell’Etiopia, e divenne ufficialmente il casus belli che serviva al governo italiano per giustificare l’attacco. L’Italia attacò l’Etiopia senza dichiarazione di guerra il 3 ottobre 1935. La resistenza abissina, che poteva contare su forze e mezzi enormemente inferiori rispetto a quelli messi in campo dal regime fascista, fu piegata nel giro di sette mesi dalle truppe guidate da Pietro Badoglio e da Rodolfo Graziani, che fecero ricorso a massicci bombardamenti e all’uso di gas asfissianti. La guerra di conquista si concluse nel maggio 1936 con l’entrata di Badoglio ad Addis Abeba. Selassiè fuggi in Europa e Vittorio Emanuele III fu proclamato imperatore d’Etiopia.

Nel 1936 l’Etiopia entrò a far parte dell’Africa orientale italiana (che già comprendeva Eritrea e Somalia). Fra il 1936 e il 1941 l’amministrazione coloniale si sforzò di incidere sulla struttura socioeconomica del paese avviando opere pubbliche, abolendo la schiavitù e rafforzando l’autorità centrale. I risultati furono tuttavia inadeguati rispetto alle esigenze di una reale modernizzazione e risposero piuttosto alla logica di uno sfruttamento incapace di cogliere le peculiarità delle culture locali. Nel 1941, nel pieno della seconda guerra mondiale, il Paese fu liberato dalle truppe anglo-francesi e fu riposto sul trono Hailé Selassié. Nel 1947, con il trattato di Parigi, l’Italia rinunciò definitivamente ad ogni pretesa su Etiopia, Eritrea e Somalia.

L’indipendenza dell’Eritrea

Tornato al governo del Regno, Selassiè intraprese una campagna di riforme volte alla modernizzazione e democratizzazione del regno etiope, pur mantenendo i classici tratti autoritari e autocratici. Sul fronte internazionale, e in particolare nel continente africano, Hailé Sélassié riuscì a imporre la propria figura come quella di uno dei principali interpreti del panafricanismo riuscendo a conseguire importanti successi diplomatici: dal 1963 Addis Abeba fu sede dell’OAU, l’Organizzazione per l’Unità Africana, che pose le basi dell’odierna Unione AfricanaIn politica interna si evidenziarono invece fin da subito gravi difficoltà, dovute principalmente alla pesante situazione economica, non risolta nemmeno dagli interventi finanziari degli Stati Uniti, che vedevano nell’Etiopia un buon alleato nello schacchiere del Corno d’Africa, sopratutto in chiave anti-somala.

Un ulteriore problema furono i vari contrasti etnici, che assunsero progressivamente la connotazione di movimenti indipendentisti in Tigré, nell’Ogaden e soprattutto in Eritrea. Il problema politico di gestione dell’Eritrea si delineò fin da subito. Con il trattato di Parigi si profilavano tre possibilità per il futuro dell’ex colonia italiana, ovvero:

  • lo smembramento della colonia, in favore di Etiopia e Sudan
  • la totale annessione all’Etiopia, come regione autonoma del regno, che era vista di buon occhio dalla comunità copta, molto forte nella zona
  • l’indipendenza dall’Etiopia, che invece era sostenuta dai musulmani e sopratutto dagli italo-eritrei, che vedevano nell’Italia il mezzo per conseguire l’autonomia, tramite un periodo di amministrazione fiduciaria

Dapprima la possibilità più concreta fu appunto quest’ultima, grazie al lavoro del Ministro degli Esteri Carlo Sforza che, appoggiato dal governo britannico, portò la questione davanti all’Assemblea dell’Onu nel 1949. Per un solo voto sfavorevole, il compromesso non ebbe la maggioranza in Assemblea.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU infine decise che l’Eritrea sarebbe stata federata al Regno d’Etiopia, mantenedo comunque un certo grado di autonomia. L’unione di tipo federale tra Etiopia ed Eritrea, formalizzata sin dal 1950, nascondeva in realtà l’intento di predominio della prima sulla seconda, come risultò chiaro nel 1960 quando l’Eritrea fu ridotta a provincia etiopica nella riorganizzazione dei rapporti centro-periferia da parte di Selassiè. La svolta autoritaria contro le autonomie regionali portò alla creazione del Fronte di Liberazione Eritreo (FLE) al Cairo nel 1960, al fine di combattere per l’indipendenza dall’Etiopia, sotto la guida di Hamid Idris Awate. Gli scontri armati iniziarono nel 1961, sopratutto sotto forma di guerriglia, ma non scalfirono il potere di Selassiè, sostenuto economicamente dagli Stati Uniti. L’FLE, d’altra parte, non era sostenuto da tutta la popolazione eritrea; infatti negli anni Settanta si formò il Fronte Popolare per la Liberazione dell’Eritrea (FPLE), che si scontrò fin da subito con l’FLE. Le ragioni dello scontro erano etniche, religiose e politiche: l‘FLE rappresentava la popolazione di fede musulmana; l’FLPE era invece sostenuta da popoli di etnia tigrina, che sposarono un ideologia di stampo marxista-leninista. Lo scontro si risolse in favore dell’FLPE, con l’FLE che ebbe sempre di più un ruolo marginale.

Tra gli anni Sessanta/Settanta la situazione in Etiopia si fece sempre più instabile. Lo Stato all’epoca versava in condizioni economiche critiche e l’incapacità del Governo di far fronte alla drammatica carestia del 1973, connessa alla crisi energetica mondiale dello stesso anno, portò all’esasperazione popolare. Nel febbraio 1974 iniziarono i primi scioperi contro il governo di Selassiè, che si trasformarono ben presto in una guerra civile. Il 12 Settembre 1974 fu quindi costituito, in un clima di gravissima conflittualità, un Comitato di coordinamento delle forze armate, il DERG, che prese di fatto il potere, destituendo e arrestando il vecchio imperatore, che invano aveva promesso un’ulteriore revisione della costituzione. La giunta militare di stampo marxista-leninista epurò il governo imperiale e instaurò un regime di stampo comunista. Negli anni seguenti scoppiarono forti contrasti tra gli esponenti del DERG per il governo del Paese; nella lotta interna tra le diverse fazioni, prevalse nel 1977 quella più radicale guidata dal maggiore Menghistu Hailè Mariàm, che divenne il leader incontrastato eliminando tutti gli oppositori e instaurando il cosiddetto Terrore Rosso, durante il quale persero la vita almeno 500.000 persone. Quando gli Stati Uniti sospesero le forniture militari al regime etiopico, questi si allineò completamente all’Unione Sovietica, di cui divenne un caposaldo nella regione del Corno d’Africa.

La causa del FPLE poté contare in un primo momento sull’appoggio diplomatico cubano e sovietico. Il rovescio di alleanze che nel 1977 sancì il passaggio al regime socialista etiope nella sfera sovietica minacciò per alcuni anni il progetto di liberazione nazionale del FPLE. Negli anni Ottanta il regime di Menghistu rivelò sempre più chiaramente la propria incapacità di far fronte ai bisogni di una popolazione con un altissimo tasso di crescita demografica e con un reddito pro capite fra i più bassi del mondo, soggetta a ripetute e gravissime calamità naturali, come siccità e carestie. In questa situazione di crisi, vi fu un forte ritorno del FLPE e di altri fronti di liberazione (come quello del Tigrè e degli Oromo) che cominciarono a manifestare contro il regime.

Il 1991 fu l’anno di svolta per l’Eritrea e per tutta l’Etiopia. A causa della fine dei blocchi della guerra fredda e con il connesso scioglimento del potente alleato sovietico, il regime di Menghistu si indebolì; l’FLPE sferrò l’attacco decisivo e liberò l’Eritrea dalle truppe etiopi, mentre la dittatura del DERG veniva rovesciata ad Addis Adeba. Due anni dopo, in Eritrea, venne indetto un referendum, con la supervisione della missione delle Nazioni Unite denominata UNOVER. Al voto, a suffragio universale, parteciparono sia le popolazioni residenti in Eritrea che quelle rifugiate in altre nazioni africane dopo la diaspora, e con esso si decise che l’Eritrea dovesse essere un paese indipendente. Oltre il 97% degli Eritrei votò per l’indipendenza, che venne dichiarata ufficialmente il 24 maggio 1993. Il leader dell’EPLF, Isaias Afewerki, divenne il Primo Presidente provvisorio dell’Eritrea.

 

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.ethiopia.gov.et/history?p_p_id=56_INSTANCE_eglYuFCcMdKJ&p_p_lifecycle=0&p_p_state=normal&p_p_mode=view&p_p_col_id=column-1&p_p_col_count=1&_56_INSTANCE_eglYuFCcMdKJ_page=4

Bahru Zewde, A History Of A Modern Ethiopia, 1855-1991, Eastern African Studies

http://www.bbc.com/news/world-africa-13349398

http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.374.313&rep=rep1&type=pdf

William Leo Hansberry ,Pillars in Ethiopian History , African History Notebook, edited by Joseph E. Harrys

Fai clic per accedere a Pillars_in_Ethiopian_History_William_Leo_Hansberry.pdf

http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-13349078

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