Il mondo vedrà importanti cambiamenti, parola di Kim Jong-un

Kim Trump
@Trump White House Archived-Flickr-CC0

“Non è stato facile arrivare qui. Il passato ci ha tenuto con mani e piedi legati, e i vecchi pregiudizi e abitudini sono stati come ostacoli sul nostro futuro. Ma abbiamo superato tutto questo, e siamo qui oggi”, così Kim Jong-un ha descritto il primo storico summit tra un Presidente in carica USA e il leader della Corea del Nord.

La città-Stato di Singapore ha accolto i due leader, le delegazioni dei due Paesi e più di 2500 giornalisti da 44 nazioni. Già definito nei giorni precedenti come “l’incontro del secolo”, Kim Jong-un e Donald Trump sono riusciti inevitabilmente ad entrare nei prossimi libri di storia. Il processo diplomatico che ha portato a questo evento può essere definito come “non-convenzionale” e il suo strano sviluppo è possibile solo ed unicamente grazie alle caratteristiche dei leaders che ne sono coinvolti.

L’anti-establishment e il nuovo establishment

Donald Trump rappresenta esattamente l’anti-establishment statunitense, opposto alla carriera politica (o militare) di moltissimi suoi predecessori e con un approccio imprenditoriale alla politica internazionale. Anche Kim Jong-un rappresenta una discontinuità importante, se confrontato a suo padre Kim Jong-il e a suo nonno Kim il-Sung, educato in Europa, senza nessuna esperienza diretta di cosa significasse guidare un Paese e così giovane quando prese il potere nel 2012.

Dopo la dichiarazione di Panmunjom del 27 aprile 2018 a seguito del terzo summit inter-coreano tra Moon Jae-in e Kim Jong-un, lo sviluppo diplomatico tra Corea del Nord e Stati Uniti aveva vissuto un’accelerazione, giunta al culmine quando Donald Trump accettò di incontrare il leader nordcoreano su richiesta di quest’ultimo. Poche settimane dopo, l’annuale esercitazione militare nelle acque del pacifico tra Stati Uniti e Corea del Sud portò all’annullamento di un incontro tra due delegazioni provenienti da Pyongyang e Seoul sul 38° parallelo, in risposta al comportamento “ostile” dei due alleati. L’oscillazione dell’asticella della tensione sulla penisola coreana è sempre stata molto labile e la necessità di impiegare allo stesso tempo pazienza, strategia e pragmatismo hanno spesso fatto fallire il dialogo tra le Coree e, soprattutto, con Washington. Anche questa volta gli USA hanno reagito attaccando il comportamento di Pyongyang e annullando, con una lettera molto aggressiva (e a tratti confusa) scritta da Trump,  l’incontro che era stato fissato pochi giorni prima tra USA e Corea del Nord.

Quella stessa lettera scritta con apparente rabbia si è rivelata essere una carta utilizzata dal presidente USA per ottenere, quantomeno, più attenzione sul suo personaggio e non sulla storicità intrinseca dell’evento. Il suo è comunque stato un bluff, un conteggio premeditato di un imprenditore che ha sempre avuto la necessità di scrivere a grandi lettere il suo nome su ogni edifico costruito dal suo business (la Trump Tower è solo l’esempio più eclatante).

Una volta reimpostata la data al 12 giugno 2018 per lo storico incontro, le due delegazioni incaricate di portare avanti i velocissimi negoziati si sono incontrate due volte per avere una definizione dell’agenda. La prima quando il 27 maggio la delegazione USA ha valicato il confine del 38° parallelo dalla Corea del Sud per raggiungere Pyongyang; la seconda il 31 maggio, quando il Vice-Chairman della Corea del Nord Kim Yong Chol ha ricevuto un visto speciale per atterrare negli USA per discutere degli ultimi dettagli con Donald Trump e Mike Pompeo.

Il summit

Il summit tra Kim e Trump si è diviso in due parti: un colloquio privato tra i due durato 45 minuti e successivamente un dibattito allargato con le due delegazioni di circa un’ora. E’ normale però che la risultante di questo incontro non potesse essere un accordo, né una firma di un trattato (come alcuni avevano vociferato) ma una semplice dichiarazione congiunta. Essa non ha nessun vincolo tra le due parti ed è utilizzata come dichiarazione di intenti di un progetto che però non potrà reggersi su questo semplice documento.

La dichiarazione congiunta

Le firme di Donald Trump e Kim Jong-un sono servite a sottoscrivere la realizzazione di quattro punti:

  1. Gli Stati Uniti e la Repubblica Democratica Popolare della Corea si impegnano a stabilire nuove relazioni tra i due Stati per la pace e la prosperità, tenendo in considerazione il desiderio dei popoli dei due Paesi
  2. Gli Stati Uniti e la Repubblica Democratica Popolare della Corea uniranno le forze nel costruire un lungo e stabile regime di pace nella Penisola coreana
  3. Riaffermando la Dichiarazione di Panmunjom del 27 aprile 2018, la Repubblica Democratica Popolare della Corea si impegna a lavorare verso la completa denuclearizzazione della Penisola coreana
  4. Gli Stati Uniti e la Repubblica Democratica Popolare della Corea si impegnano a recuperare i prigionieri di guerra e i dispersi, includendo il rimpatrio immediato di quelli già identificati

Nonostante Trump abbia accolto questo documento come “abbastanza completo”, sembra essere, al contrario, abbastanza vuoto. Infatti, come prima cosa c’è da affermare come una situazione così complicata non può essere risolta né con una dichiarazione né con quattro punti poco dettagliati. Tutti i punti sono molto generali e permettono un’interpretazione così vasta da risultare anche difficile da applicare.

Lo sviluppo delle relazioni US-Corea del Nord sono già all’interno di un nuovo modo di approcciarsi. L’incontro tra i due leader è già di per se “nuovo”. In che modo queste relazioni dovrebbero svilupparsi ulteriormente? Tutto può essere pensato a oggi. Si possono stabilire degli uffici distaccati dei due Paesi, si possono creare dei tavoli di dialogo sulla sicurezza a livello militare (entrambi specificati nella dichiarazione tra le due Coree un mese e mezzo fa); oppure ci possono essere nuovi incontri tra i due leaders (come ha detto a voce Trump ma, senza scriverlo, vige la regola “verba volant, scripta manent“).

Il secondo punto sembra essere il meno concreto dei quattro. La Penisola coreana non è un luogo geografico e basta, è un luogo politico e strategico in cui la Cina, la Russia, il Giappone, oltre alla Corea del Sud, hanno avuto e avranno voce in capitolo. Non si può pensare a un impegno bilaterale tra USA e Corea del Nord per mantenere la pace. Nonostante ciò, è fondamentale la cooperazione tra i due Paesi ma solo se coordinata anche con gli altri attori regionali.

Il terzo punto ha un significato. Moon Jae-in ha vinto, Mike Pompeo e John Bolton hanno perso. I due massimi esponenti dell’amministrazione Trump sono stati inflessibili sull’impossibilità di sedersi al tavolo (e tantomeno sottoscrivere una dichiarazione) senza prima aver sentito e letto la volontà di Pyongyang nella Denuclearizzazione Completa, Verificabile, Irreversibile (CVID). Il punto tre non sottoscrive nulla di questo e anzi, rimanda alla Dichiarazione elaborata anche da Moon.

Il quarto punto è stato già superato per alcuni versi. Alcuni dei detenuti statunitensi a Pyongyang sono stati già rimpatriati durante il secondo viaggio di Mike Pompeo (primo come Segretario di Stato) in Corea del Nord. E’ però sicuramente il punto più concreto di tutti.

L’importanza del summit

Kim Jong-un ha affermato durante la firma della dichiarazione che “Il mondo vedrà dei grandi cambiamenti”. Sicuramente quello che è successo il 12 giugno 2018 a Singapore presso il Capella Hotel di Sentosa verrà ricordato da tutto il mondo. Gli occhi puntati su un evento storico non per il suo risultato pratico abbastanza deludente, ma per la realizzazione di un simbolo, quello della stretta di mano tra i leader di due potenze che si sono odiate sin dal 1948, che hanno combattuto l’una contro l’altra per tre anni lasciando sul campo circa 2,5 milioni di morti, che si sono incattivite l’un l’altra senza mai riuscire a trovare la pazienza, la strategia e il pragmatismo necessari.

 

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