Canabis protectio: il modello portoghese

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Il modello portoghese prova che nella gestione delle sostanze stupefacenti, la criminalizzazione non è l’unica soluzione possibile. Il Portogallo è stato il primo Paese al mondo ad aver spostato il focus dell’intervento pubblico dalla “guerra alla droga” alla tutela della salute, decriminalizzando l’uso e il consumo di tutte le sostanze stupefacenti. Negli ultimi anni, altri Paesi hanno percorso strade simili, come il Canada e l’ Uruguay, che hanno completamente legalizzato la cannabis.

I pilastri della politica di depenalizzazione portoghese

Il modello portoghese si basa su tre pilastri fondamentali. Il primo è il rifiuto della distinzione tra droghe leggere e pesanti, e l’introduzione al suo posto della distinzione tra relazione positiva e negativa con le sostanze stupefacenti. Il secondo è l’idea che esistano sempre problematiche preesistenti alla base di un relazione negativa con le droghe, derivanti dalla natura dei rapporti tra gli individui e tra la società e l’individuo. Il terzo è il principio per cui l’eradicazione di tutte le droghe non può essere un obiettivo realizzabile.

Pur non prevedendo la legalizzazione delle sostanze stupefacenti, questo tipo di approccio si concentra sulla tutela della persona e non sulla punizione dei consumatori. Dal 2001, il modello portoghese ha dimostrato la sua efficienza nel garantire il diritto alla salute della cittadinanza e nel migliorarne le condizioni di vita. Per questo, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani l’ha indicato come esempio virtuoso, con cui sostituire le politiche di criminalizzazione.

Dalla fine della dittatura al primo Centro di Assistenza per Tossicodipendenti

Fino al 1974, il Portogallo fu governato da una dittatura militare, instaurata nel 1933 da Antonio de Oliveira Salazar. Dopo la Seconda guerra mondiale, il Paese restò completamente chiuso al mondo esterno e il regime si premurò di ridurre al minimo il sistema scolastico nazionale, diminuendo fondi e infrastrutture e abbassando l’età dell’obbligo scolastico, al fine di poter controllare meglio la popolazione. Anche per questo motivo, quando negli anni ‘80 le droghe cominciarono a circolare nel Paese, le persone erano totalmente impreparate e ignoranti rispetto al consumo di sostanze stupefacenti e ai rischi che ne derivavano. L’abuso di droghe, specialmente di quelle sintetiche come eroina e cocaina, era un problema trasversale a tutti gli strati sociali. Nel 1999 più di 100mila portoghesi erano dipendenti dall’eroina, circa 400 all’anno morivano di overdose e circa 1000 ogni anno contraevano l’HIV a causa dello scambio di aghi. Nel 2000, il Portogallo registrava il più alto tasso europeo di morti per overdose e di malati di HIV, nonché uno dei tassi più alti di crimini connessi all’uso e al traffico di sostanze stupefacenti.

All’inizio del nuovo millennio, a Lisbona, nel solo quartiere di Casal Ventoso si stimava la presenza di circa 5mila persone dipendenti da eroina e cocaina e, nello stesso quartiere, si trovava il più grande mercato di stupefacenti d’Europa. Dopo più di vent’anni di politiche repressive e discriminatorie, durante i quali dipendenza, morti e contagi continuarono a crescere, lo Stato decise di provare a risolvere il problema. Nel 2001 il possesso e il consumo di tutte le sostanze stupefacenti venne depenalizzato e furono creati centri statali di assistenza per la cura fisica e mentale dei consumatori. La dipendenza da droghe cominciò a essere trattata come una forma di malattia e non come un crimine.

Questo cambiamento di rotta fu possibile grazie all’esempio dato dalla società civile, attraverso il lavoro di persone come Eduino Lopes, Alvaro Pereira e Odette Ferreira. Lopes, specializzato in psichiatria, fu il primo medico dell’Europa continentale a introdurre l’utilizzo del metadone come terapia sostitutiva, al posto dell’astinenza. Pereira, medico di base, fu il primo a sperimentare un approccio basato sul coinvolgimento della comunità nella risoluzione del problema dell’eroina, creando associazioni locali di sostegno e supporto. Ferreira, farmacista e ricercatrice, avviò un programma non ufficiale di scambio di aghi per ridurre il contagio di HIV, proprio all’interno del mercato della droga di Casal Ventoso. Grazie alle donazioni raccolte da varie associazioni di quartiere, Ferreira cominciò a fornire aghi puliti e a smaltire quelli usati, a regalare vestiti, saponi, preservativi e cibo.

Queste esperienze portarono alla creazione del primo Centro di Assistenza per Tossicodipendenti (CAT), affidato a Pereira dal ministero della Salute nel 1988. Dopo pochi mesi, Pereira e Joao Gulao, il suo giovane assistente, aprirono un secondo CAT finanziato dal Ministero della Salute. In dieci anni, nelle aree di riferimento dei due CAT, il consumo di eroina e le morti per overdose diminuirono drasticamente e, nel 1997, Gulao fu invitato dal governo a preparare e dirigere una strategia nazionale di politiche sulle sostanze stupefacenti.

La legge

Con la legge sulla decriminalizzazione del 2001, la gestione delle politiche di contrasto alle sostanze stupefacenti è passata dal ministero della Giustizia a quello della Salute. Il possesso per uso personale resta illegale ma non costituisce reato. Quindi, invece di essere arrestato, il consumatore deve comparire davanti alla locale Commissione per la dissuasione delle dipendenze da droga, composta da un medico o uno psicologo, da un sociologo e da un un avvocato. Le quantità relative all’uso personale, calcolate in base al consumo medio individuale per dieci giorni, sono di un grammo di eroina, due di cocaina, venticinque grammi di cannabis e cinque di hashish.

Le pene detentive restano applicabili in caso di traffico e spaccio di sostanze, ma il modello portoghese pone come obiettivo la tutela della salute, la riduzione delle problematiche fisiche e psicologiche di chi è dipendente, il reinserimento sociale e il contrasto alla stigmatizzazione e alla discriminazione. Il servizio pubblico di assistenza è gratuito e accessibile a tutte e tutti. Infatti, sono previsti per legge dei servizi assistenziali ad hoc per i detenuti e le detenute, per i lavoratori e le lavoratrici del sesso, per le donne incinte, per migranti e rifugiati, per i minori e per le persone anziane, tramite i Centri di Risposta Integrata.

Il piano nazionale di assistenza prevede tre livelli di azione: assistenza sanitaria di base, assistenza specializzata e assistenza differenziata. Inoltre, sono inclusi programmi di formazione ed educazione alle sostanze stupefacenti nelle scuole, centri di prima accoglienza, programmi e aree adibite allo scambio di aghi e siringhe sul modello di Ferreira, unità mobili di assistenza e supervisione al consumo di droghe, dormitori, rifugi e centri di ascolto e assistenza psicologica.

Gli effetti del modello portoghese

Nei suoi diciannove anni di applicazione, il modello portoghese ha prodotto dei risultati estremamente positivi. Il Portogallo è oggi considerato il terzo Paese più sicuro al mondo secondo il Global Peace Index, mentre l’Italia, ad esempio, si trova al trentesimo posto. Il numero di morti per overdose è sceso da 400 a meno di 30 all’anno. I casi di HIV derivati dallo scambio di aghi sono scesi a 10 dai 1000 annui del 1999. La popolazione carceraria per reati collegati alle sostanze stupefacenti è crollata a circa 1000 individui dai circa 4000 del 1999. I 100 mila consumatori di eroina del 1999 sono scesi a meno di 25 mila. In generale, l’uso di tutte le sostanze stupefacenti si è ridotto drasticamente, in particolare quello di sostanze chimiche.

In ottica comparativa, il modello portoghese sta avendo più efficacia di qualunque altra politica di contrasto alle droghe, non basata sul principio della depenalizzazione e legalizzazione. Il Portogallo a oggi investe il 9% del PIL per la sanità e l’1,6 per l’ordine pubblico. L’Italia investe l’8,8% del PIL per la sanità e l’1,8 per l’ordine pubblico. La media europea di mortalità riconducibile all’uso di sostanze stupefacenti è di 20,3 morti per milione di abitante, in Portogallo è solo di 5. Volendo restringere il paragone, secondo il Consiglio d’Europa, la mortalità riconducibile alla droga nella sola Scozia è 30 volte superiore a quella del Portogallo, pur avendo circa la metà degli abitanti.

Come esempio diametralmente opposto possiamo considerare la guerra alla droga scatenata da Duterte nelle Filippine. Solo nell’ultimo anno, secondo le Nazioni unite, più di 10 mila persone sono state uccise dalle forze di polizia filippine, per spaccio o per consumo di sostanze stupefacenti. Le carceri sono sovraffollate e il capo della polizia Romero Caramat, dopo che 32 persone sono state uccise dalle forze dell’ordine in 24 ore, ha dichiarato che la repressione non sta funzionando e che il commercio e il consumo di droghe continuano a crescere.

Il modello portoghese, basato sull’attenzione alla salute e sull’investimento in personale e strutture sanitarie, si è rivelato una strategia sostenibile economicamente e socialmente. Le infrastrutture sanitarie e il personale formato per dare assistenza ai malati di dipendenza da droghe possono essere riconvertiti per dare assistenza ad altre patologie. Mentre le carceri o il personale penitenziario possono assolvere solo un tipo di funzione.

 

Fonti e approfondimenti

European Monitoring Center for Drugs and Drug Addiction (2011), Drug Policy Profiles

Eurostat (2017), Healthcare expenditure statistics

Council of Europe (2019), Drug policy and human rights in Europe: a baseline study

Council of Europe (2019), Human rights and perople who use drugs in the mediterrean region

Allard T. Lema K., (2020), Exclusive: “Shock and awe” has failed in Philippines drug war, enforcment chief says, Reuters

 

Editing a cura di Giada S Deregibus

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