La politica italiana in Africa: è il nostro partner del futuro?

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Guardare oltre il Sahara: è il compito che l’Italia deve perseguire per rinnovare la propria azione in Africa, il continente con la più alta percentuale di crescita del Mondo. La cooperazione tra Italia e Africa subsahariana, storicamente altalenante, potrebbe essere considerata con maggiore attenzione, riscrivendo così una nuova pagina dei rapporti tra il Bel Paese e il Continente Nero.

Le vicende storiche hanno nei fatti limitato le relazioni più significative tra l’Italia e l’Africa subsahariana alla sola area del Corno d’Africa. La perdita delle colonie dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale e il successivo disinteresse verso la creazione di un sistema di controllo politico, economico e militare alla francese, furono i motivi per cui l’Italia postbellica ha deciso di fermarsi alle sponde meridionali e orientali del Mediterraneo, favorendo relazioni con i paesi arabi volte a garantire anzitutto le forniture energetiche. Dalle ex-colonie – con l’eccezione forse della Somalia – non sono rimasti all’Italia lasciti significativi. A differenza delle altre potenze coloniali, l’Italia non aveva impegnato le truppe africane sui fronti europei durante le due guerre mondiali, né aveva accolto quote d’immigrati provenienti dai possedimenti africani.

Al di là del Corno, anche alcuni ex-possedimenti portoghesi hanno costituito un’area privilegiata dell’influenza italiana in Africa. Negli anni Settanta, il governo di Roma incoraggiò iniziative “terzomondiste” della società civile a favore delle lotte di liberazione di Angola, Guinea-Bissau e Mozambico. La mediazione che pose fine alla guerra civile tra FRELIMO (Fronte Liberazione Nazionale Mozambico) e RENAMO (Esercito di Liberazione Comunista) in Mozambico, con l’accordo di pace firmato a Roma nel 1992, vide all’opera un ampio spettro di persone e istituzioni facenti capo al Ministero degli Esteri. Per la più ostica soluzione della guerra civile in Angola, l’Italia ha dovuto aspettare che agisse la diplomazia internazionale, agendo senza avere un ruolo rilevante, ma senza mai perdere d’occhio l’ambito partner. L’interesse per Angola e Mozambico ha avuto seguito nello spazio ricavatosi dalle imprese italiane nei ricchi settori estrattivi dei due paesi, in particolare con petrolio, carbone e gas.

L’Africa occidentale è invece un terreno meno battuto dalla politica italiana, mentre cresce l’attenzione per la zona critica del Sahel, dove i già difficili processi di state-building sono aggravati dai riflessi di fenomeni globali, da quelli ambientali al terrorismo internazionale. La politica estera italiana è caratterizzata dall’intenzione costante di ricondurre le proprie azioni e posizioni al quadro multilaterale. In Africa subsahariana, l’Italia partecipa alle operazioni anti-pirateria nell’Oceano Indiano, ha appoggiato la missione del 2013 in Mali, e svolge un ruolo di primo piano nella mediazione in Somalia. Roma contribuisce anche ai dispositivi Frontex/Eurosur per il monitoraggio delle frontiere europee, di cui ha chiesto recentemente il rafforzamento.

L’Africa è stata sempre un’area di evidente priorità per la cooperazione italiana. Dopo aver raggiunto livelli molto elevati durante gli anni ottanta, tuttavia, gli aiuti italiani allo sviluppo hanno attraversato un lungo periodo di declino, sostanzialmente ininterrotto. Comparati agli altri Stati occidentali, a sud del Sahara l’Italia ha una rappresentanza diplomatica limitata. Le sue 19 ambasciate sono lontane non solo dalle 44 della Francia (molto presente in Africa per ragioni storico-sociali) , le 39 della Germania (che copre tutti gli stati del continente, ad eccezione di alcuni molto piccoli o instabili) e le 33 del Regno Unito (che mantiene una distribuzione più tradizionale, molto più consolidata per quello che riguarda gli stati del Commonwealth); ma anche da quelle di paesi emergenti come Brasile (32), Turchia (30) o India (26). La copertura territoriale di Roma tende a privilegiare i paesi maggiori, dai quali la competenza delle sedi d’ambasciata è spesso estesa a più stati (Abidjan, ad esempio, ne copre ben cinque: Costa d’Avorio, Burkina Faso, Liberia, Niger e Sierra Leone). L’Italia ha così un’ambasciata in tredici dei quattordici paesi con 20 milioni o più di abitanti, tre ambasciate nei paesi economicamente più importanti tra quelli con popolazione tra 10 e 20 milioni (Zambia, Senegal e Zimbabwe), e altre tre in stati minori (l’Eritrea, ex colonia italiana, il Congo-Brazzaville e il Gabon, paesi in cui storicamente opera l’Eni).

Benché l’intenzione  costante della politica estera italiana sia ricondurre le proprie azioni e posizioni al quadro multilaterale, il contributo italiano alle organizzazioni internazionali negli ultimi anni è stato di diversa intensità, efficacia e coerenza a seconda dei temi e delle circostanze, dando l’impressione che l’Italia abbia agito cogliendo di volta in volta le opportunità che si presentavano più che nel quadro di una strategia chiara e di medio termine. Specialmente nel campo della sicurezza e della mediazione dei conflitti, l’Italia è intervenuta al fianco di altri Paesi in azioni concertate. Relativamente alle politiche africane, la proiezione italiana nelle organizzazioni internazionali si articola in un panorama composto da una varietà di interventi, scopi e modalità, e allo stesso tempo mancante di una coesione di fondo. Attraverso le agenzie internazionali delle Nazioni Unite e l’Unione Europea, l’Italia interviene prevalentemente nei campi della difesa e sicurezza, della stabilità e  del peacekeeping, e con un aiuto allo sviluppo nelle sue diverse componenti.

Nel 2016 si è tenuta a Roma la prima conferenza ministeriale tra Italia e Africa.  I lavori, sostenuti anche in collaborazione con l’istituto ISPI, sono stati svolti su quattro panel tematici:

  • Sostenibilità economica
  • Sostenibilità socio-ambientale
  • Sostenibilità del fenomeno migratorio
  • Peace keeping, peace building e ownership in Africa

La Conferenza è la prova concreta del ruolo di ponte tra l’Europa e l’Africa  che l’Italia vuole e deve svolgere, ed ha avuto  l’obiettivo di costruire una partnership paritaria, strategica e sostenibile con l’intero Continente. L’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha dichiarato che “l’Africa costituisce un interesse nazionale e una priorità strategica, nonchè una grande occasione di crescita e sviluppo economico”

Ripartendo dalle parole di Gentiloni, l’Italia deve trovare una propria via distinguendosi per la “qualità” della cooperazione invece che per la “quantità”.  L’Africa subsahariana è un’area geopolitica ed economica rispetto alla quale l’Italia ha crescenti ragioni di interesse. Si tratta di una regione relativamente vicina, e questo rende le opportunità che essa offre e i rischi che da essa si promanano particolarmente rilevanti. Oggi sono cambiati gli interessi dell’Italia ed è cambiata l’Africa: la politica estera italiana ha necessità di rinnovarsi seguendo tre cardini tematici.

Il primo è quello di una “diplomazia della crescita” che, se valido come principio più ampio attorno a cui ridisegnare le relazioni estere dell’Italia, assume particolare rilevanza nei confronti della regione. L’Africa subsahariana, con economie e mercati in rapido progresso, è un’area che merita centralità nell’applicazione della diplomazia della crescita e, dunque, una regione verso cui orientare e promuovere l’internazionalizzazione delle imprese italiane.

La seconda direttrice è quella della stabilizzazione politica e della sicurezza nel continente. L’evoluzione politica recente in diversi punti della fascia territoriale che va dal Sahel al Centrafrica e fino alla Somalia ha messo in luce una situazione nella quale conflitti e focolai hanno crescentemente messo a rischio la sicurezza degli africani e quella internazionale. Sia le ragioni umanitarie che quelle degli interessi nazionali o occidentali concorrono quindi a giustificare l’attenzione italiana all’area subsahariana anche in chiave geopolitica, e su questo fronte l’Italia deve pensare a un ruolo da sviluppare soprattutto in chiave multilaterale (in particolare attraverso l’Unione Europea e l’ONU) con un forte contributo di leadership solo su questioni limitate.

La terza direttrice è quella della cooperazione e del sostegno allo sviluppo. Evidentemente l’idea stessa di relazioni economiche rafforzate dalla promozione di una diplomazia della crescita va a toccare direttamente quella del sostegno allo sviluppo economico e sociale della regione. Viceversa esistono spazi da esplorare per un rapporto proficuo fra cooperazione e internazionalizzazione delle imprese. Ma l’attenzione dell’Italia ai progressi del continente africano deve mantenere anche una componente più autonoma, incentrata da un lato sulle più tradizionali esigenze di aiuto e di lotta alla povertà e dall’altro sulla promozione di uno sviluppo che abbracci, accanto alla dimensione economica, anche quella sociale, ambientale e culturale e che sia inclusivo, equo e stabile. Uno sviluppo sostenibile è del resto un obiettivo esplicito della partnership che Africa e Europa si sono impegnate a portare avanti congiuntamente.

Rafforzare la posizione italiana in Africa significa anche, in un certo senso, focalizzare le proprie forze e i propri scopi verso alcuni Paesi-Target; questi Paesi devono essere scelti sulla base delle opportunità (relativamente elevate) e dei rischi (sufficientemente circoscritti) che li caratterizzano. Seguendo questi criteri di valutazione, vengono individuati 8 Paesi-Target, ovvero Angola, Mozambico, Ghana, Nigeria e Kenya, come punto di partenza, ai quali si possono aggiungere:

  • il Sudafrica, un paese di straordinaria rilevanza economica nel continente e, specificamente, per l’accesso alle altre economie della regione, grazie ad esempio al suo ruolo nella logistica, nella distribuzione, nei trasporti e nella finanza a livello continentale
  • il Senegal, in virtù della presenza di un numero già relativamente nutrito di imprese italiane e di un certo sviluppo dell’attività manifatturiera.
  • l’Etiopia merita di essere tenuta in considerazione, nonostante i rischi elevati, per l’enorme dimensione demografica combinata ai legami privilegiati con l’Italia.

 

In conclusione, avere la capacità di comprendere lo sviluppo dell’Africa subsahariana è una condizione fondamentale per il rinnovamento della politica estera italiana. In quella zona si sta giocando una partita importante, in cui tutte le potenze mondiali vogliono far sentire la propria voce. L’Italia non deve essere da meno.

 

Fonti e Approfondimenti:

https://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/aree_geografiche/africa/iniziativa_italia_africa.html

Italia-Africa: verso la “normalità” del nuovo corso?

file:///C:/Users/User/Desktop/rapporto_ispi-mae_litalia_in_africa_0.pdf

Fai clic per accedere a 6377.pdf

https://www.unric.org/it/agenda-2030

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