Fin dalla campagna elettorale, Jair Bolsonaro aveva lasciato pochi dubbi su quali fossero le sue posizioni rispetto alla salvaguardia della foresta amazzonica. Lo scorso autunno, l’allora candidato alla presidenza del Brasile aveva proposto la sua idea di sviluppo di quest’area – idea che apre alle grandi infrastrutture e all’industrializzazione – e si era assicurato l’appoggio degli imprenditori del settore agricolo e minerario. Le dichiarazioni di Bolsonaro avevano provocato il grido d’allarme di numerosi ricercatori e attivisti per l’ambiente, posto che il patrimonio naturale e le comunità dell’Amazzonia sono già da tempo in pericolo. Metterne ulteriormente a repentaglio la conservazione significa incentivare una perdita gravissima per l’intero pianeta.
Dalle parole ai fatti
La propaganda di Bolsonaro si è fondata principalmente sui finanziamenti di tre gruppi di potere: quello religioso, quello minerario e quello favorevole alla liberalizzazione delle armi. Un’altra influenza importante sulle politiche amministrative del Brasile è da sempre esercitata dalla bancada ruralista, ovvero il fronte parlamentare che nel Congresso si schiera a favore degli interessi dei grandi agricoltori e dell’industria chimica destinata alle coltivazioni. Nel caso di questo governo, le elezioni di ottobre hanno assegnato a deputati ruralistas 99 seggi su 513.
Da tempo, queste grandi élite conservatrici fanno pressioni sull’esecutivo affinché vengano rivisti i riconoscimenti giuridici relativi alle riserve naturali e ai popoli originari, ancorandosi a concetti come ordine, sicurezza e diritto alla proprietà privata. Durante la campagna, Bolsonaro si è sempre mostrato bendisposto ad assecondare questo tipo di interessi e ha promesso che, con la sua elezione, avrebbe dato la priorità allo sviluppo e al profitto economico, invece che portare avanti le politiche ambientali in difesa delle aree protette. Del resto, nonostante i danni che il “polmone verde del mondo” ha subito già durante i governi precedenti, la candidatura di Bolsonaro non ha mai nemmeno contemplato l’implemento di programmi per contenere la deforestazione.
Come è logico pensare, l’inizio del mandato presidenziale ha portato con sé un grande carico di aspettative da parte dei gruppi di potere brasiliani e Bolsonaro non sembra affatto intenzionato a deluderli.
Mega-infrastrutture nel cuore della foresta
In questo senso, il mese di febbraio ha rappresentato un notevole avanzamento nella messa in atto dei progetti che incidono sul territorio. Il segretario speciale per gli affari strategici Maynard Marques de Santa Rosa (uno dei sette ex-militari diventati ministri di Bolsonaro), aveva annunciato già precedentemente un grande piano del governo per integrare nel sistema produttivo nazionale la zona degli affluenti a nord del Rio delle Amazzoni. Ora, l’amministrazione sta dando forma a tre grandi progetti infrastrutturali riguardanti la parte di foresta pluviale brasiliana che si spinge fino a Guyana e Suriname: si tratta di una diga idroelettrica, un ponte e un’estensione autostradale.
Il programma complessivo sarà intitolato al diplomatico del 19esimo secolo Barão do Rio Branco. La diga avrebbe la funzione di supplire alla mancanza di approvvigionamenti energetici delle aree di Manaus e Boa Vista, oltre a fornire elettricità per la lavorazione dell’alluminio. L’affluente di cui si servirebbe, però, scorre al limitare di una riserva biologica delle dimensioni di quasi 4000 km2. Inoltre, il progetto di ponte sul Rio delle Amazzoni in corrispondenza del centro di Óbidos creerebbe, proprio nel cuore della foresta, un’architettura lunga quasi un miglio. Fortemente invasivo è anche il piano per un ipotetico prolungamento dell’arteria stradale BR-163. La parte esistente di questa autostrada è già un crocevia di grandi interessi economici per il Brasile, in quanto ne collega le aree centrali, coltivate a cereali e soia, con le zone portuali. Secondo il disegno iniziale, un ulteriore tratto della BR-163 si troverebbe ad attraversare cinque aree protette dell’Amazzonia, compresa la Grão-Pará, una delle più grandi unità di conservazione forestale al mondo.
L’annuncio del segretario Santa Rosa è arrivato a pochi giorni dal catastrofico incidente della diga di Brumadinho. Il 25 gennaio di quest’anno, il collasso della diga che bloccava le acque residuali della miniera Córrego de Feijão (proprietà della multinazionale mineraria Vale S.A.) ha provocato un fiume di fango, in parte di natura tossica. Tra morti e dispersi, si calcolano circa trecento vittime. Eppure, nello stesso Stato di Minas Gerais, si era verificata una tragedia simile solo tre anni fa.
Inizialmente, il ministro del medio ambiente Ricardo Salles aveva reagito promettendo una regolamentazione più severa, con la finalità di prevenire questo tipo di disastri ambientali causati dagli abusi economici. Per contro, l’avanzamento del piano Barão do Rio Branco è la dimostrazione di come l’attuale governo brasiliano non abbia mai veramente abbandonato gli intenti iniziali. Il senso di allarme e indignazione si è diffuso anche per come il generale Santa Rosa ha giustificato il progetto: chiamando quest’area amazzonica “latifondo improduttivo” e sorvolando sul fatto che ospita sia insediamenti indigeni che comunità quilombolas, cioè formate dai discendenti afro-brasiliani di coloro che erano scappati dalle piantagioni prima dell’abolizione della schiavitù nel Paese.
L’impatto sulle comunità indigene
Come succede anche in molte altre aree dell’America latina, il conflitto territoriale che interessa il Brasile è strettamente legato alle rivendicazioni da parte delle comunità indigene. Attualmente, esistono 462 terre indigene pienamente regolarizzate, per un totale di 117 milioni di ettari, vale a dire il 12,2% del territorio nazionale (FUNAI).
La Costituzione che il Brasile ha adottato nel 1988, sancendo la fine del periodo dittatoriale, riconosce il rispetto verso l’identità culturale dei popoli indigeni e il diritto che questi esercitano sulle terre in cui risiedono tradizionalmente. In realtà, il dilagare del fenomeno del land grabbing e del logging (disboscamento) illegale dimostrano che lo Stato tutela i diritti popoli originari solo teoricamente. Molto più spesso, nel caso di territori contesi, sono le oligarchie del settore agricolo ad avere la meglio. Oltre a lasciare campo libero a questo tipo di interventi – grazie a una legislazione “blanda” – le amministrazioni brasiliane hanno per decenni finanziato opere invasive sia nel settore delle infrastrutture, che nel minerario. Questo è stato possibile anche grazie alla situazione di stallo in cui sono caduti molti processi di demarcação.
Viene indicata con questo termine una serie di pratiche che coinvolgeva il FUNAI (Fundação Nacional do Índio – la Fondazione Nazionale dell’Indio) e il Ministero della Giustizia e dell’Unione. Le diverse fasi (identificazione, delimitazione, dichiarazione e regolarizzazione) sono necessarie per ottenere il riconoscimento formale di “terra indígena” e quindi le garanzie di salvaguardia sia per i popoli che per l’ambiente. Il sistema, però, si è rivelato profondamente disfunzionale. Nonostante la Costituzione avesse stabilito che il processo dovesse essere portato a termine entro cinque anni, le tensioni con le comunità e la lentezza burocratica hanno frenato di molto le pratiche. Un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che molti indigeni erano stati espulsi dalle loro terre durante la dittatura, quindi prima ancora che la legge entrasse in vigore.
A gennaio, tra le prime decisioni rese esecutive dal nuovo presidente, c’è stato anche il trasferimento del compito delle demarcações dal FUNAI al Ministero dell’Agricoltura. A guidare questo Ministero è Tereza Cristina da Costa Dias, una ex deputata che è stata leader proprio della bancada ruralista. Questa riorganizzazione delle competenze avrà verosimilmente gravi conseguenze sulla flessibilizzazione delle licenze ambientali. La posizione storica di questo ministero, infatti, rende oggi ancora più semplice sdoganare gli investimenti e lo sfruttamento di centinaia di territori reclamati dagli indigeni, ma non ancora riconosciuti.
La firma del decreto è stata recepita come una dichiarazione di guerra da parte delle comunità indigene e delle organizzazioni che le rappresentano. Il 31 gennaio la Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (APIB – il Coordinamento dei Popoli Indigeni del Brasile) ha risposto convocando una grande manifestazione, che si è tenuta in diverse città del Paese a sostegno della causa ambientalista e indigena.
“Assegnare le demarcações al Ministero dell’Agricoltura è una dimostrazione chiara del fatto che questo governo non implementerà più nessun riconoscimento delle terre indigene” – ha affermato Sônia Guajajara, coordinatrice esecutiva APIB – “quel ministero è succube dell’industria agricola. Non si tratta di un semplice trasferimento, ma della decisione politica di negare il diritto alla terra”.
Fonti e approfondimenti
Mongabay “Brasil: este es el plan de Bolsonaro para desarrollar la “Amazonía improductiva” 15/02/2019
https://es.mongabay.com/2019/02/brasil-bolsonaro-amazonia-improductiva/
Nueva Sociedad “Biblia, buey y bala… recargados – Jair Bolsonaro, la ola conservadora en Brasil y América Latina” 12/2018
http://nuso.org/articulo/biblia-buey-y-bala-ola-conservadora-brasil-bolsonaro-stefanoni/#footnote-10
El Desconcierto “Bolsonaro firma decreto que abre las tierras indígenas de Brasil y la Amazonia a actividades comerciales de agricultura y minería” 11/01/2019
https://www.eldesconcierto.cl/2019/01/11/bolsonaro-firma-decreto-que-abre-las-tierras-indigenas-de-brasil-y-la-amazonia-a-actividades-comerciales-de-agricultura-y-mineria/
El País “Bolsonaro enfraquece Funai e joga sombra sobre futuro socioambiental do país”
03/01/2019
https://brasil.elpais.com/brasil/2018/12/28/politica/1546015511_662269.html
El País “A bomba-relógio das demarcações indígenas no Governo Bolsonaro”
21/11/2018
https://brasil.elpais.com/brasil/2018/11/09/politica/1541769904_001109.html
RT “Por qué Brasil es el país del mundo con mayor número de asesinatos por conflictos rurales” 14/02/2019
https://actualidad.rt.com/actualidad/305558-brasil-asesinatos-conflictos-rurales
The Guardian “The uncontacted tribes of Brazil face genocide under Jair Bolsonaro” 31/12/2018
https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/dec/31/tribes-brazil-genocide-jair-bolsonaro
Nodal “Brasil: indígenas protestan contra la política ambiental de Bolsonaro” 01/02/2019
https://www.nodal.am/2019/02/brasil-indigenas-protestan-contra-la-politica-ambiental-de-bolsonaro/