Quanto conta negli USA la mobilitazione degli elettori?

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La creazione di un movimento politico è considerata uno dei presupposti fondamentali per una campagna elettorale di successo. Una maggiore mobilitazione, infatti, getta le basi per la creazione di una struttura molto forte, aumentando i fondi a disposizione della campagna (tramite le donazioni), la presenza sui territori (attraverso i volontari e la creazione di comitati territoriali) e, in generale, la visibilità di un candidato.

Ovviamente, l’abbondanza di questi fattori – soldi, volontari, visibilità – sono ciò che, generalmente, fa la differenza tra una campagna elettorale vittoriosa e una perdente.

Come si mobilitano gli elettori

La campagna elettorale negli USA tende a giocarsi su diversi livelli, sia sfruttando i media in modo massiccio – tramite pubblicità, social network, dibattiti presidenziali in tv – sia lavorando sui territori, in particolare attraverso la creazione di comitati elettorali e l’organizzazione di eventi (i cosiddetti rallies) in cui il candidato tiene un discorso pubblico.

Ovviamente, i differenti canali di comunicazione tendono a lavorare in modo diverso, raggiungendo pubblici che variano in base a quale medium si sta utilizzando. Questo è importante nel momento in cui si deve decidere quali fasce della popolazione è più conveniente mobilitare per massimizzare l’outcome. Mentre pubblicità in tv e dibattiti presidenziali tendono a raggiungere un pubblico più adulto, i social network hanno una maggiore capacità di creare visibilità nel pubblico più giovane, soprattutto con Instagram.

La mobilitazione, quindi, tende a essere differenziata, tramite il canale che si usa, in base a fattori sociali o economici. Se dell’età abbiamo già parlato, altri fattori come etnia, reddito, legami sociali tendono a influenzare il livello di mobilitazione. I dati, infatti, ci dicono che neri e latinos tendono a votare meno. Lo stesso vale per le persone con un reddito basso, che tendono a essere più disilluse, ad avere meno fiducia nelle istituzioni e a essere inserite in reti sociali meno forti, il che le allontana dalla possibilità di essere inserite in network di mobilitazione politica.

Infine, i legami sociali influenzano la mobilitazione attraverso il cosiddetto “effetto bolla”, ben visibile in queste mappe del New York Times, che tende a creare comunità che pensano, votano e si mobilitano in modo omogeneo.

 

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Mappa delle elezioni 2016. Fonte: Wikimedia Commons

Dove si mobilitano gli elettori

Un altro fattore, molto importante quando si parla di mobilitazione nelle elezioni presidenziali statunitensi, è dove investire di più per creare movimenti politici.

Tradizionalmente, gli Stati che vedono il maggior livello di mobilitazione e di turnout sono i cosiddetti battleground o swing States, ovvero quelli in cui nessun partito ha la certezza di avere la maggioranza assoluta (come invece accade in altri che sono tradizionali roccaforti, o del GOP o dei Democratici) e che sono la chiave per vincere le elezioni. Inoltre, anche lo urban-rural divide tende a essere un fattore chiave: la maggior parte delle mobilitazioni, infatti, avviene nei maggiori centri urbani, penalizzando le aree rurali che spesso sono lasciate ai margini.

Visto il come e il dove si crea il movimento politico di base per una campagna elettorale, però, resta da chiarire quanto la mobilitazione sia realmente importante per determinare la vittoria di un candidato. In sostanza, quanti voti sposta, e come influenza gli elettori indipendenti o gli indecisi?

Diversi studi di scienza politica hanno provato a rispondere a questa domanda, non senza difficoltà. Infatti, risulta difficile quantificare il numero di elettori che sono stati effettivamente influenzati da una campagna elettorale e che grazie alla mobilitazione prodotta da questa sono stati indotti a votare un candidato. Per questo, il dato utilizzato per capire se il movimento politico ci sia stato o meno – e se sia stato influente – è quello del turnout. Inoltre, si introduce la distinzione concettuale tra elettori cosiddetti partisans e independents.

Turnout, partisans, independents

Il turnout è semplice da analizzare, perché si presuppone che negli Stati dove il movimento politico è più forte e radicato ci siano più votanti. In effetti, i dati lo confermano: come detto prima, la maggiore mobilitazione degli elettori di solito avviene negli Stati in bilico, in cui nessun candidato ha un sostegno predominante sull’altro.

I livelli di turnout sono più elevati rispetto agli Stati con risultato già in cassaforte, grazie al fatto che gli investimenti della campagna elettorale sono più sostenuti. Pubblicità, comizi, attività sul territorio tendono infatti a essere concentrati in questi territori, in quanto decisivi per la vittoria.

La distinzione tra partisans (ovvero gli elettori storici del partito) e independents (indecisi e swing voters), invece, ci aiuta a comprendere quali elettori vengono maggiormente mobilitati dalla campagna elettorale. A dispetto di quel che si potrebbe credere, i dati ci dicono che sono gli elettori storici, non gli indecisi, a mobilitarsi in maggior numero. Sono loro, quindi, che vanno a creare poi il capitale umano per aumentare le fila del movimento politico che andrà a sostenere il candidato sul territorio.

Quindi, anche non ci sono prove che confermino l’importanza della mobilitazione per conquistare gli indecisi, questa rimane comunque importante perché permette al Partito di mobilitare il core del suo elettorato. A sua volta, la mobilitazione dei partisans tende ad aumentare il turnout, il che può avvantaggiare i democratici (se, ad esempio, la mobilitazione è soprattutto tra i giovani) o i repubblicani (se invece sono soprattutto le persone più anziane, quindi conservatrici, a essere toccate dalla campagna elettorale). In questo senso, è importante il già citato effetto bolla, che lavora in questo senso aumentando la riproduzione del consenso in comunità di pensiero tendenzialmente chiuse.

Conclusioni

Si è detto, quindi, che la mobilitazione tende a differenziarsi principalmente per fattori socioeconomici (reddito, etnia, luogo in cui si vive, etc.) e per tipo di elettorato, distinto nelle categorie partisans e independents.

Nonostante le ricerche dicano che le campagne elettorali non spostano i voti degli indipendenti, questo non significa che la mobilitazione politica abbia un effetto nullo, o che soldi, risorse e volontariato siano sforzi infruttuosi a risultato già deciso. Il punto, infatti, è che diventa cruciale il movimento che si forma attorno agli elettori storici del partito, che sono anche quelli più disposti a investire denaro e tempo per portare il proprio candidato alla vittoria.

Il movimento politico, quindi, diventa fondamentale perché crea le basi per una struttura organizzativa solida sui territori. Inoltre, il movimento politico probabilmente è cruciale perché, grazie all’effetto bolla, permette di aumentare i canali interpersonali lungo i quali si riproducono comportamenti di voto simili.

Questo andrà quindi a vantaggio del candidato che avrà prodotto la mobilitazione più efficiente e numericamente più consistente. In questo senso, le sopracitate mappe del New York Times fanno ben vedere come alcune comunità siano bolle estremamente omogenee, in cui il pensiero maggioritario influenza il comportamento di percentuali estremamente elevate di elettori.

In conclusione, quindi, possiamo dire che la mobilitazione, tra tutti i fattori che determinano il successo di una campagna elettorale, potrebbe essere quello più rilevante. È questa, infatti, che può accrescere il capitale sociale e umano di un candidato sul territorio, permettendogli di penetrare le comunità e influenzarle con le proprie idee.

Fonti e approfondimenti:

Donald P. Green, Michael Schwarm-Baird, “Mobilization, participation and American democracy: a retrospective and postscript”, Party Politics, 2015

Thomas M. Holbrook, Scott D. McClurg, “The Mobilization of Core Supporters: Campaigns, Turnout, and Electoral Composition in United States Presidential Elections”, American Journal of Political Science, 2005

Albert R. Hunt, “Both Sides in Campaign Try to Mobilize Their Base”, The New York Times, 19/08/2012

Amanda Taub, “The Real Story About Fake News Is Partisanship”, The New York Times, 11/01/2017

Lynn Vavreck, “Unable to Excite the Base? Moderate Candidates Still Tend to Outdo Extreme Ones”, The New York Times, 08/05/2018

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