Obama ha definitivamente concluso il suo percorso all’interno della Casa Bianca. Dopo tutti i discorsi di addio delle ultime settimane oggi, 20 gennaio 2017, lascia gli Stati Uniti d’America nelle mani del suo successore Donald J. Trump. Da oggi quindi può essere giudicato il neoeletto Presidente per il suo operato, dopo essere stato giudicato ampiamente da Presidente-eletto negli ultimi mesi.
Sono soprattutto tre i discorsi che possono far capire al pubblico le idee di un Presidente che sta lasciando definitivamente il suo posto al suo successore. Il primo è la Cena dei Corrispondenti alla Casa Bianca che è generalmente tenuta verso fine aprile, circa un anno prima della fine del mandato. Questo è il più informale dei tre ed è un discorso molto leggero, scherzoso, che il Presidente fa su se stesso e sul suo operato. Lo abbiamo raccontato con il titolo “la risata di Obama” proprio per questo motivo.
Gli altri due discorsi sono tenuti entrambi a gennaio, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro e a circa una decina di giorni dal giuramento del presidente successivo. I due discorsi sono indirizzati ai due rami più importanti degli USA: l’esercito e il popolo.
L’addio all’esercito degli Stati Uniti d’America
Il 4 gennaio, a due settimane dal giuramento di Donald Trump, Obama recita l’ultimo discorso all’esercito degli Stati Uniti d’America. Un discorso che dura poco più di venti minuti, ma che possiede un valore particolare per analizzare lo stato attuale delle politiche americane in politica estera. Questo discorso è stato importante per molti predecessori di Obama per poter far intendere sia all’esercito sia al pubblico che gli obiettivi militari della potenza militare più forte del mondo stavano cambiando.
Quello che viene affermato da Obama è che l’obiettivo dell’esercito è quello di “proteggere e difendere il Paese e la Costituzione”, con un’enfasi particolare sull’ultima parola. Questa prima frase del discorso è un primo indirizzo. Sembra infatti ripercorrere tutto il suo operato di disfacimento delle politiche che George W. Bush aveva messo in atto durante la sua presidenza e che avevano fatto scivolare, secondo l’idea di molti studiosi, gli USA all’interno di un regime quasi autoritario. Quello che è definito come esecutivo unitario forte. La chiusura di Guantanamo come prigione il 15 dicembre 2009, il ritiro della gran parte delle truppe dall’Iraq alla fine del dicembre 2011 sono solo alcuni esempi per spiegare l’enfasi sulla parola Costituzione.
La sicurezza nazionale ancora è improntata sulla distruzione del nemico all’estero, ancora prima che possano minacciare realmente il popolo americano. Le due grandi minacce sono ancora l’Afghanistan e l’ISIL (o ISIS o anche Daesh). In più Obama riporta un’affermazione fatta da una donna africana: “ringraziamo per primo Dio e in secondo luogo gli Stati Uniti d’America perché si prendono cura di noi”. Un’affermazione importante perché ci fa capire che gli obiettivi americani non sono più solo in Medio Oriente, ma che lo scenario sta sempre di più slittando verso il continente nero. Le risorse come il coltan, i diamanti e l’oro sono difficilmente reperibili e l’Africa ne è piena. Inoltre l’espansione cinese verso l’Africa può essere vista come una minaccia per gli USA.
Verso la fine del discorso poi Obama fa intravedere le sfide future dell’esercito degli USA affermando che il Paese più importante del pianeta deve essere preparato per combattere guerre convenzionali e non convenzionali, soprattutto le cyberwars. Il riferimento non è solo alle ultime minacce targate Russia alla democrazia americana, ma anche ai passati attacchi cinesi contro gli USA che hanno portato all’hackeraggio di alcuni progetti di aerei militari statunitensi. Inoltre in un mondo in cui la globalizzazione sta entrando in una nuova dimensione, quella sempre più tecnologica, il cyberspazio sarà sempre più utilizzato come spazio di battaglia. L’affermazione di Obama è che “non dobbiamo permettere [a queste minacce] di cambiare il nostro modo di vivere, la nostra libertà e il nostro sistema di leggi”. La frase di chiusura del discorso suona in qualche modo un po’ dissonante dai principi democratici e di libertà che ci si aspettano dal Paese che ha fatto della libertà il suo più grande stendardo. “viviamo una vita libera per merito vostro” guardando la platea, piena di alti rappresentanti dell’esercito, della marina e dell’aeronautica.
L’addio al popolo americano
Il discorso al popolo degli Stati Uniti d’America, contrariamente a quello fatto per l’esercito, è maggiormente incentrato sulle politiche interne attuate da Obama durante la sua Presidenza. I toni di questo discorso durato più di un’ora sono stati formali, ma non distaccati dalla platea. Il discorso si è diviso in due parti centrali: il salvataggio degli USA dalla crisi economica iniziata nel 2007 e lo stato attuale della democrazia.
La crisi economica è stata sicuramente il colpo più duro che gli USA hanno ricevuto nel XXI secolo dopo l’11 settembre. L’amministrazione Obama ha tamponato una crisi senza precedenti, o almeno con l’unico precedente della Grande Depressione del 1929. Obama è riuscito a far risalire l’industria dell’automobile, una delle più rappresentative del colosso americano. Inoltre, afferma sempre il Presidente, è riuscito a creare lavoro con una percentuale senza precedenti nella storia. A tutto questo ovviamente Barack Obama ha enfatizzato la sua miglior politica nel panorama interno, ovvero l’Obamacare. Questa ha permesso agli statunitensi di accedere al sistema sanitario con una percentuale senza precedenti e con un costo “che raggiunge il più basso tasso negli ultimi cinquanta anni”.
Quello che quindi può essere giudicato da queste affermazioni è che l’operato Obama in politica interna ha dato i suoi frutti. Nonostante le critiche più ferree possano disquisire sulla percentuale di crescita di lavoro nel settore pubblico o nel settore privato, la crescita c’è stata. Comparandola con un mondo che negli ultimi dieci anni ha vissuto una recessione, uno stallo e una continua agonia senza fine, il risultato non era per niente scontato. Sicuramente può essere detto che la discussione è aperta su quale dei due settori (pubblico e privato) il Presidente democratico abbia dato più peso. I dati statistici rilasciati dall’Ufficio del Lavoro però sottolineano come la percentuale di lavoro creato nel settore privato sia molto più alta rispetto a quella creata nel settore pubblico (sia quello governativo che quello dei singoli Stati federati).
Il secondo tema affrontato da Barack Obama è stato quello della democrazia. Rispetto al discorso fatto all’esercito in cui il gruppo jihadista ISIL è stato nominato solo una volta, in questo secondo discorso ISIL è stato nominato tre volte. Il presidente rassicura i suoi cittadini dicendo che “ISIL verrà distrutta, e nessuno che minaccia l’America potrà mai essere al sicuro”. La democrazia ha poi un risvolto interno, il problema mai veramente risolto dagli USA con il multiculturalismo, la difesa dei diritti e, soprattutto, la difesa di tutte le minoranze. I matrimoni omosessuali, la difesa dei musulmani americani, il cambiamento radicale che gli americani hanno fatto nel 2008 eleggendo il primo presidente non bianco della storia USA. Questi sono i temi maggiormente sottolineati dal predecessore di Donald Trump.
La speranza di Obama, tra utopia e provocazione, è il proseguimento di questi temi nella presidenza che oggi si è insediata. Trump è il vero destinatario di questo discorso, non tanto i cittadini. Perché coloro che erano presenti erano già sostenitori di quelle politiche, chi lo ha contrastato negli anni lo ha continuato a contrastare fino alla fine. Il messaggio che Obama lancia è proprio a Trump. Nonostante questi attacchi velati al neopresidente Repubblicano, Obama afferma che “il pacifico trasferimento di potere da un presidente liberamente eletto a quello successivo” è il pilastro centrale della democrazia. Un messaggio importante ma, allo stesso tempo, diretto a intendere al suo successore che gli USA sono una democrazia e tale deve rimanere, con tutti i suoi pregi e difetti. Tutto il discorso gira intro al rispetto della Costituzione, alla necessità di leggi e di cambiare il cuore degli americani, di implementare la democrazia e di non farla rimanere indietro rispetto al mondo.
Quello che non è stato detto
Quello che rimane fuori da questi tre discorsi sono tutti temi di politica estera che sono ancora indefiniti, senza una reale progettazione verso la risoluzione. Possiamo riassumere in quattro punti principali i temi non detti:
- Il Pivot to Asia: la politica di containment applicata da Obama nei confronti della Cina, altra grande assente dei discorsi sul futuro degli USA. Trump non sembra essere molto volenteroso nel proseguire questa politica estera
- Ucraina: la situazione sempre più in stallo nella Crimea. La Russia non sembra voler cedere minimamente all’Occidente le sue conquiste. D’altro canto Obama ha lasciato la sua amministrazione all’Unione Europea, riunendo però le truppe NATO nei Paesi limitrofi alla Russia. Trump non ha espresso grandi teorie o pensieri al riguardo
- Libia: lo Stato libico viene trainato nel vortice delle Primavere Arabe nel 2011. Obama quindi rafforza sempre di più le misure contro Gheddafi, imponendo la “No flight zone” e la “No drive zone“. L’uccisione di Gheddafi, inizialmente salutata come vittoria dagli USA si rivela un errore che lancia lo Stato nel buio. Attualmente la Libia è divisa in due Stati che non si riconoscono a vicenda. Trump ha affermato che l’ISIS è stato creato da Obama, dalla Clinton e dai democratici. Per questo l’unica missione in politica estera dovrà essere quella di distruggere il gruppo jihadista che minaccia gli USA
- Siria: la situazione è più complicata, per alcuni versi, rispetto alla Libia ma il risultato è simile. La coalizione contro l’ISIS guidata dagli USA è legata da molti cavilli che le potenze limitrofe hanno imposto al fine di entrare nella coalizione per aiutare l’America. Questa azione però è ancora tutta in evoluzione, ma Obama non ha fatto intendere niente in più che la necessità di combattere il terrore jihadista. Sul capo di Stato della Siria, Bashar al Asad, sul futuro dell’amministrazione della Siria in caso di vittoria e sui rapporti futuri con l’Iran non è stato detto molto e quello che è stato detto spesso ha trovato delle smentite nelle azioni militari nella zona. Donald Trump però oltre alla sconfitta dell’ISIS non ha aggiunto nessun tipo di teoria o idea per risolvere una situazione che sempre di più sta mietendo vittime, anche grazie agli USA.
Proprio questi temi possono essere visti come le sfide più grandi della politica estera statunitense di cui non se ne è parlato seriamente durante la campagna elettorale e neanche nei mesi di “incarico” presidenziale ricevuto da Donald Trump. La grande incognita per il futuro è il Presidente in carica Donald Trump e questo deve essere un campanello d’allarme per capire come il futuro sarà torbido e pieno di ombre, lunghe e corte. Obama ci ha avvisato di quelle che sono state le sue vittorie e i suoi punti deboli e per questo può essere attaccato ed elogiato, l’attuale presidente invece no.
Fonti e Approfondimenti:
https://www.army.mil/article/180609/armed_forces_say_farewell_to_president_obama
http://www.limesonline.com/rubrica/le-molte-incognite-del-ritiro-dalliraq
http://www.internazionale.it/reportage/anne-laure-pineau/2017/01/15/11-settembre-violenze-sessuali
https://www.bls.gov/bls/employment.htm