Le elezioni che verranno

di Fabio Angiolillo ed Emanuele Bobbio

Dove eravamo rimasti?

Il 4 marzo l’Italia sarà chiamata al voto dopo cinque anni in cui abbiamo vissuto un fallimento di formazione di governo subito dopo le elezioni e tre primi ministri avvicendatisi al governo. Due mesi prima di quel voto di fine febbraio 2013, i sondaggi elettorali davano il centrosinistra nettamente favorito al 44,8%, seguito dal centrodestra al 25,9% e poi dal Movimento 5 Stelle al 17%.

La realtà, invece, ha portato a uno scenario completamente diverso nel quale la governabilità attraverso le coalizioni elettorali (Italia. Bene Comune per il centrosinistra di Bersani e la Coalizione di centro-destra di Berlusconi) non era contemplata. Questo ha portato al fallimento non solo del singolo Pier Luigi Bersani come leader della coalizione che ottenne il 29,55% (15 punti percentuali in meno dei sondaggi), ma dell’intero sistema partitico incapace di rinnovarsi.

Le riforme fatte da un esecutivo che per buona parte è stato più concentrato a fare campagna elettorale che governo sono risultate essere fragili e poco consistenti, criticate non solo dall’opposizione ma da analisti e professori universitari su tutto il territorio italiano.

L’immobilismo politico sembra essere il punto fermo della nostra recente storia politica, aggravatosi negli ultimi cinque anni. Le formazioni politiche non hanno subìto nessun mutamento, cambiando solo qualche nome ai partiti per far cambiare aria a una stanza altrimenti troppo stantia; i leader politici hanno mantenuto e rafforzato le proprie basi negli ultimi venti anni e alcuni di loro continuano a oscurare i propri alleati più giovani. Viceversa i leader più giovani cercano di tagliare (apparentemente) con il passato inciampando in molteplici errori dovuti alla poca esperienza, elemento fondamentale per la guida di un Paese.

L’astensione risulta essere il vero indice che cresce più di tutti. Siamo sempre stati un Paese che ha basato la propria legittimità di governo sulla grandissima partecipazione al voto dei propri cittadini. Ben sopra alla media degli altri Paesi europei fino alle elezioni del 2008, abbiamo iniziato una discesa che ha visto l’abbassamento del 5% della partecipazione elettorale nel 2013, arrivando al 75%. Lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno ha dovuto sottolineare la necessità di un incremento di partecipazione al voto.

Ma la partecipazione è un’azione che deve essere invogliata, facilitata e creata. Le elezioni che verranno stanno prendendo la forma di una campagna elettorale mirata a limitare le perdite, non a creare un passaggio per l’Italia del futuro. Le promesse dei tagli, realistiche o meno che siano, sono frutto della mancanza di visioni e idee di una classe politica che è sempre più pressata dalla necessità di accaparrarsi un elettore in più, di guadagnare un parlamentare in più. C’è la coscienza dell’impossibilità di un governo di coalizione all’interno della stessa area politica dovuto anche alla nuova legge elettorale approvata qualche mese fa. Questo sta spingendo i partiti più grandi, M5S, Forza Italia e Partito Democratico, a una campagna che non parla più ai cittadini ma che parla ai votanti. Una sottile differenza che però è molto importante per capire come il rapporto partito-cittadino si sia deteriorato, lasciando spazio solo al rapporto partito-votante. I cittadini hanno il diritto di essere trattati tutti allo stesso modo perché appartengono tutti alla stessa categoria, il votante invece è un individuo che viene tirato per la giacchetta dal migliore offerente in cambio del proprio diritto di espressione.

Le elezioni che verranno hanno un sapore amaro in cui andremo a votare insicuri di quelli che sono i nostri personali obiettivi che vorremmo ottenere attraverso la protezione del nostro Stato e ci risveglieremo il giorno dopo con un governo ancora più insicuro di noi.

Troveremo delle risposte?

Guardando al dato politico della tornata elettorale che ci aspetta è possibile chiedersi se le quattro grandi domande che questa legislatura ci lascia riceveranno risposta dopo il 4 marzo.

La prima sicuramente è legata alle capacità e alla reale posizione sull’arco costituzionale del Movimento 5 Stelle. Sulla prima parte gli esempi di Roma, Torino, Livorno e altri piccoli comuni ci hanno mostrato e sottolineato una spiccata incapacità di governo, anche nelle piccole faccende amministrative. Il M5S si è dimostrato spesso incline a rifiutare anche le responsabilità più serie pur di non deludere le promesse, anche folli, fatte all’elettorato. Sulla seconda parte il Movimento non ha ancora delineato una sua immagine politica completa, lasciando convivere e confluire al proprio interno dagli ex comunisti dell’Emilia Romagna agli estremisti di destra del Lazio. Tutto legato insieme in un partito capeggiata e controllato da una classe dirigente incapace ma che comunque vuole dettare legge su tutto, toccando coscienza e conoscenza dei propri parlamentari.

La seconda domanda riguarda la compagine di centrodestra. Nell’ultima legislatura la compagine guidata da Silvio Berlusconi ha affrontato fasi alterne, presentando alti e bassi vertiginosi, ma adesso sembra essere l’unica pronta a formare una coalizione di governo. La natura del dubbio però risiede nelle diverse anime che partecipano a questo gruppo, il quale spazia dall’estrema destra nazionalista di Fratelli di Italia per arrivare al centro moderato cattolico, presente in Forza Italia, passando per le posizioni salviniane, che non possono che essere definite populiste di estrema destra. La domanda spontanea che viene guardando questo gruppo variegato è quale programma politico può unirli, soprattuto in un 2018 in cui le risorse finanziarie del candidato Premier non sembrano più all’altezza di comprare la calma degli avversari, come succedeva in passato con Bossi e Fini.

Le ultime due domande che però speriamo di poter rispondere guardando i risultati delle elezioni invece sono legate al lato sinistro del nostro arco costituzionale.

La prima riguarda il Partito Democratico, il suo segretario e l’ambizione di un gruppo dirigente poco in grado di leggere il paese. Ormai Renzi sembra sempre più in una fase schizzofrenica della sua visione politica. Come un generale sconfitto che alla fine della battaglia prova a muovere armate che non esistono per evitare la disfatta, così l’ex premier è ancora convinto di poter raggiungere il 40%, di poter sconfiggere i suoi avversari in un a campagna elettorale di cui pensa essere il padrone, ma di cui in realtà è solo un personaggio minore. Il Giglio magico che fino ad un anno e mezzo fa pensava sarebbe stato la classe dirigente del prossimo decennio si sta sfaldando lentamente, i più attenti lasciano la barca o si inventano verginità da poter poi rivendere al prossimo segretario. Il ministro Lotti e la sottosegretaria Boschi, personaggi di spicco degli scorsi anni, adesso vengono evitati in tutti i modi, arrivando a sembrare dei fantasmi di un passato che sembra non essere mai stato presente. Qui il dubbio è soprattutto sull’esistenza o meno di un progetto per questo partito. Una gruppo politico che ha perso i suoi padri fondatori, le sue idee e le sue certezze e che ha fatto salire a bordo personaggi, idee e ideologie  che una volta erano considerati i veri avversari.

L’ultima domanda invece riguarda la sinistra. Liberi e Uguali ha copiato i manifesti del laburista Corbyn, ha ripreso alcune posizione della “France insoumise” di Melenchon ma riuscirà ad avere lo stesso successo? Riuscirà a parlare al popolo e capire le esigenze di quella fascia di popolazione che deve attrarre a se? Questi due esempi europei hanno dimostrato la capacità di restare uniti, nonostante la tendenza separazionista della sinistra, e la capacità di trovare un leader in cui credere. Solo il 4 marzo potrà darci la risposta a tutto questo.

Noi cercheremo in questi due mesi di fornirvi gli strumenti e la visione della tornata elettorale. Parleremo della leaderizzazione delle campagna elettorale, della propaganda elettorale, che sempre più caratterizza le elezioni, e dell’astensione che ormai dilaga. Allo stesso tempo cercheremo di mostrarvi come questo voto è visto dall’estero, come il confine tra governabilità e ingovernabilità è sempre più vicino nella politica contemporanea e come il sistema elettorale tra collegi uninominali e metodo proporzionale influenzerà questa tornata. Tutto questo verrà accompagnato dalla nostra solita guida al voto con i profili dei partiti e le interviste ai leader politici.

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