A più di un anno dalle ultime elezioni politiche in Bosnia-Erzegovina, lo stallo sulla formazione del nuovo governo è stato finalmente superato. Dopo 14 mesi di negoziazioni fallite, a novembre 2019 la presidenza collettiva è riuscita a trovare un compromesso con la nomina del serbo-bosniaco Zoran Tegeltija a presidente del Consiglio dei ministri e il Parlamento ha poi confermato il nuovo governo a metà dicembre accordandogli la fiducia. Qual era la causa dell’impasse, com’è stato superato e, soprattutto, chi è il nuovo primo ministro?
Lo stallo
Nonostante gli esiti delle elezioni di ottobre 2018 avessero lasciato presagire notevoli difficoltà nella formazione di un governo, data la vittoria dei maggiori partiti etno-nazionalisti, molto probabilmente nessuno si sarebbe immaginato un impasse così lungo.
Al centro della discordia non vi era tanto il nome del nuovo primo ministro, quanto una questione sostanziale: la prospettiva dell’ingresso nella NATO. Infatti, da un lato i membri bosgnacco e croato della presidenza si vedevano d’accordo nel portare avanti l’Annual National Programme (ANP), ossia un programma di riforme in materia di politica estera e di difesa reso necessario dall’attivazione a fine 2018 del Piano d’Azione per l’Adesione alla NATO (Membership Action Plan, MAP), che avrebbe infine portato all’ingresso della Bosnia nell’Alleanza Atlantica. Dall’altro, il membro serbo della presidenza, Milorad Dodik, ha fatto della neutralità militare una delle proprie battaglie politiche, sostenendo quindi una cooperazione con la NATO ma osteggiandone l’adesione formale, e si era sempre rifiutato di presentare il documento.
La discordia sul Annual National Programme si è quindi trasformata in una questione fortemente politica sulla formazione del nuovo governo. Infatti, Dodik avrebbe bloccato ogni tentativo di compromesso sulla nomina del presidente del Consiglio finché tale punto fosse stato nell’agenda della presidenza; al contrario, i partiti bosgnacchi avrebbero fatto lo stesso se la questione dell’ANP non fosse stata portata avanti. Il cuore dello stallo non era quindi solo una mera questione di politica interna e di equilibri politici, ma andava a toccare la visione che le diverse forze politiche hanno del Paese. Come sappiamo, i legami di Dodik con la Russia di Putin e con la Serbia di Vucic sono piuttosto forti, e impegnarsi con la NATO significa far prendere al Paese una direzione ben orientata verso l’arena euro-atlantica, a dispetto di quanto vorrebbe Mosca. D’altro canto, la componente bosgnacca gode del supporto degli alleati americani, che puntano a un allargamento della NATO al cuore dei Balcani.
Eppure, il 19 novembre è arrivato l’accordo e i membri della presidenza collettiva hanno raggiunto un compromesso: il nuovo presidente del Consiglio dei ministri sarà Zoran Tegeltija, serbo-bosniaco ed ex-ministro delle finanze della Republika Srpska. Posto che per rotazione la carica sarebbe comunque toccata alla componente serbo-bosniaca, la scelta di Tegeltija sembra quindi mettere d’accordo tutti, in quanto figura vicino a Dodik; ciononostante, è proprio quest’ultimo che pare aver pagato il prezzo più alto. Infatti, la nomina di Tegeltija ha portato allo sblocco dell’impasse anche riguardo al ANP, che sarà presentato ai vertici NATO da parte del nuovo governo in una versione molto più essenziale rispetto all’originaria, portando Dodik a cedere sulla tanto millantata neutralità militare e attirandosi le ire degli alleati di partito. Lo stallo pare quindi essere stato superato, anche se la questione della NATO sarà di fatto decisa in un momento successivo e potrebbero ripresentarsi ulteriori tensioni.
Il nuovo governo
La fiducia parlamentare non si è fatta attendere. Il 5 dicembre, la Camera dei Rappresentanti (la camera bassa del Parlamento nazionale/bosniaco) ha accordato la fiducia al primo ministro con 28 voti a favore, 8 contrari e 2 astensioni. Prima del voto, Tegeltija ha dovuto rispondere a diverse domande da parte dei parlamentari, che hanno riguardato soprattutto il futuro del Paese e questioni scottanti come il negazionismo riguardo il genocidio di Srebrenica. Infatti, è noto che Dodik neghi che il genocidio avvenuto nel luglio del 1995 fosse stato per mano serba e serbo-bosniaca, un tema che dalla fine della guerra mina i rapporti tra serbo-bosniaci e bosgnacchi, soprattutto dopo la recente condanna del generale Mladic. A tal proposito, è stato domandato a Tegeltija se visiterà il memoriale di Potocari, un gesto sicuramente significativo per un primo ministro serbo-bosniaco. Per ora, il primo ministro non si è espresso pubblicamente su questi temi.
Per quanto riguarda la composizione del Consiglio dei ministri, la lista dei nove ministri è stata annunciata a metà dicembre, dopo una breve disputa sulla nomina del ministro per i diritti umani e i rifugiati, su cui vi era accordo sull’area di provenienza, ossia dalla Republika Srpska. Infatti, il partito a cui doveva andare il ministero – il Democratic People’s Alliance (DNS) – non riusciva a trovare l’accordo sul nome. Alla fine, il primo ministro ha deciso per la candidatura di Mladjen Bozovic, che però non gode del sostegno del partito di maggioranza (ossia quello di Dodik), andando a complicare i rapporti già piuttosto tesi tra i due partiti di governo in Republika Srpska.
Secondo la prassi, i nove ministeri sono divisi equamente tra le tre etnie principali. A parte Bozovic, ai serbo-bosniaci sono andati anche il ministero dei trasporti e le comunicazioni, e quello del commercio estero e delle relazioni economiche. Ai croato-bosniaci, invece, sono andati i ministeri della giustizia, delle finanze, e degli affari interni. Infine, i bosgnacchi si sono visti assegnati i ministeri degli affari esteri, la difesa, e la sicurezza. Senza troppe sorprese, il 23 dicembre il parlamento ha votato la fiducia anche al Consiglio dei ministri, dando ufficialmente il via al nuovo governo.
Sicuramente, la nuova compagine governativa guidata da Tegeltija non avrà vita facile, e non solo a causa dell’ingresso nella NATO. Infatti, la politica interna bosniaca è paralizzata da anni, soprattutto nell’ultimo decennio, a causa della stasi riguardo alle riforme politico-istituzionali ed economiche che stanno rallentando notevolmente l’adesione del Paese all’Unione europea. Non bisogna infatti dimenticare la questione migratoria e la recente pubblicazione dell’ultimo rapporto della Commissione sullo stato del sistema giudiziario della Bosnia-Erzegovina, che mostra una situazione ancora fortemente disfuzionale e che non assicura pienamente l’indipendenza del giudiziario. Le sfide che attendono il nuovo governo sono tante e staremo a vedere se entro le prossime elezioni, previste per il 2022, la Bosnia riuscirà a fare progressi e a portare giovamento al Paese, oppure se rimarrà ancora nella paralisi.
Fonti e approfondimenti
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Grebo, Lamjia, e Dzana Brkanic. “Bosnian Judiciary Under Pressure After Critical European Report” Balkan Insight, 06/12/2019.
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Massaro, Angelo. “Bosnia: un Paese senza governo, di nuovo” EastJournal, 26/06/2019.
Radio Free Europe, “Bosnian Parliament Breaks 14-Month Impasse, OKs Government“, 23/12/2019.