L’oro blu del Medio Oriente: l’Eden conteso tra Tigri ed Eufrate

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In regioni aride come il Medio Oriente, la carenza di acqua potabile sta diventando sempre più problematica. Nonostante la questione idrica sia di estrema importanza per garantire sicurezza e stabilità, questa viene spesso relegata in secondo piano. Con il progetto “L’oro blu del Medio Oriente” andremo ad affrontare casi studio rilevanti per comprendere come il problema dell’acqua impatti sulla sopravvivenza degli Stati sia a livello domestico che regionale.

Questo articolo è dedicato al bacino del Tigri e dell’Eufrate, i fiumi più lunghi del sud-ovest asiatico, di importanza basilare per i Paesi della regione. L’ecoregione definita da questi fiumi comprende territori che rientrano principalmente nei confini di Iraq, Turchia, Siria e Iran, ma anche di Arabia Saudita, Giordania e Kuwait. Per questi Paesi, quindi, la fornitura idrica dei due fiumi costituisce l’elemento principale da cui dipendono diversità biologica e produttività economica.

La vitalità di questa ecoregione è però oggi fortemente minacciata dal marcato aumento della popolazione, dall’inquinamento, dalla cattiva gestione e dal cambiamento climatico.

Geografia

Il Tigri e l’Eufrate hanno origine nelle montagne del Tauro, situate nel sud-est della Turchia: da lì divergono e scorrono verso sud attraverso le aride pianure di Siria e Iraq, convergendo infine nel sud dell’Iraq e dando vita al Shatt Al-Arab, che sfocia nel Golfo Persico. Il Tigri scorre per 1.850 chilometri, mentre l’Eufrate per 2.800 chilometri: il bacino di questi due fiume ricopre un’area di circa 35.600 chilometri quadrati.

Se ragioniamo in termini di proporzioni, la maggior parte del bacino fluviale dell’Eufrate si trova in territorio iracheno: il 45% è infatti situato in Iraq, il 20% in Siria, mentre il restante 35% in Turchia. Tuttavia, Ankara si posiziona in chiaro vantaggio strategico, poiché contribuisce a circa l’88% del flusso idrico, mentre Iraq e Siria sono gli Stati che risentono maggiormente delle variazioni del flusso d’acqua. Per quanto riguarda il Tigri, invece, la situazione è leggermente diversa: : il bacino fluviale è distribuito per il 53% in Iraq, il 33% in Iran, il 12% in Turchia e il 2% in Siria. L’Iraq è il principale contribuente del flusso con il 51%, mentre la Turchia lo è per il 40% e l’Iran il 9%. Come la Turchia, anche l’Iran gode di un certo vantaggio strategico, dal momento che alcuni importanti affluenti del Tigri e del Shatt Al-Arab nascono proprio nei suoi territori.

Una storia problematica

Nel corso della storia questi due fiumi sono stati sfruttati dalle diverse civiltà che si sono susseguite nella regione, spesso senza alcuna regolamentazione in merito.

La scomparsa dell’Impero Ottomano dopo la Prima guerra mondiale e la conseguente frammentazione della regione mesopotamica in diversi Stati ebbero come risultato un’aspra competizione per le risorse nella corsa allo sviluppo economico. Anche l’aumento esponenziale della popolazione nella zona del bacino ha sollecitato una crescente richiesta di acqua potabile: dai 30 milioni del 1950, infatti, il numero di abitanti è salito a 134 milioni nel 2011 e si prevede che nel 2020 saranno 150 milioni.

Già nel 1950 l’Iraq mise in pratica i primi progetti di costruzione di una serie di dighe. Il tutto fu complicato però dalle pretese nazionaliste dei governi baathisti in Siria e Iraq. Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, questi si concentrarono infatti sullo sviluppo agricolo e sulle riforme agrarie, realizzate grazie a progetti di irrigazione su larga scala, per i quali si resero necessarie grandi quantità di acqua.

Allo stesso tempo, sempre negli anni Settanta, il governo turco ideò il controverso progetto di sviluppo regionale “Anatolia sud-orientale” o GAP (Güneydoğu Anadolu Projesi). Il progetto prevede la costruzione di 22 dighe lungo il Tigri e l’Eufrate e 19 centrali idroelettriche per un valore complessivo di 32 miliardi di dollari. Ad oggi, il GAP è ancora in fase di completamento.

Piuttosto che formulare strategie sostenibili a lungo termine per risolvere il problema della mancanza d’acqua, i governi della regione diedero precedenza alla costruzione di infrastrutture come dighe e canali. Queste misure erano più appetibili dal punto di vista politico, dal momento che i risultati erano ben visibili e non minacciavano gli interessi di agricoltori, politici e proprietari terrieri; ma causarono non poche controversie regionali.

Nel 1965, ebbe luogo il primo incontro tra Iraq, Turchia e Siria con l’intento di mettere fine alle regolamentazioni dell’era mandataria che riguardavano i fiumi. L’incontro, tuttavia, fallì e nel 1975 Siria e Iraq rischiarono di entrare in guerra. La tensione salì perché la portata dell’Eufrate era stata ridotta in maniera considerevole a causa del riempimento del Lago Assad. Questo è un lago artificiale formatosi a seguito della costruzione, nel 1973, della diga di Tabqa in Siria, lungo l’Eufrate.  E’ un serbatoio da cui dipende un’ampia rete d’irrigazione, questione che Baghdad aveva denunciato.

La costruzione di ulteriori dighe in territorio turco, come parte del progetto Anatolia sud-orientale, comportò nuovi episodi di tensione tra i paesi rivieraschi, Siria, Iraq e Turchia, nel 1989 e nel 1998. Negli anni Ottanta, l’attrito persistente tra Ankara e Damasco era aumentato poiché l’allora presidente siriano Hafez al-Assad, come strategia per ottenere concessioni dalla Turchia nella disputa sull’acqua del fiume Eufrate, sostenne il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), fornendogli addestramento militare e armi. Nel 1998, Ankara rispose dispiegando l’esercito turco lungo il confine e chiedendo a Damasco di interrompere il suo sostegno ai nazionalisti curdi.

L’Iran, invece, fin dall’indipendenza irachena, si è conteso la regione del fiume Shatt Al-Arab con Baghdad. Negli anni Settanta, l’Iran continuò a insistere sulle sue pretese e favorì le rivolte curde in territorio iracheno fino al raggiungimento degli Accordi di Algeri del 1975. Saddam Hussein, tuttavia, violò il trattato nel 1980 quando invase l’Iran. Le relazioni tra Iran e Iraq hanno iniziato a migliorare solo dopo l’invasione il 2003.

Dopo l’invasione guidata dagli Stati Uniti nel 2003, però,  la classe politica irachena ha fatto poco per garantire i diritti del Paese sulle risorse idriche,  a causa della perdurante situazione di stallo politico. L’Iran è entrato nuovamente in gioco nel 2009, quando per dieci mesi, ha interrotto il flusso di un fiume che sfocia nello Shatt Al-Arab iracheno. Teheran ha inoltre costruito decine di piccole dighe sugli affluenti del Tigri e dello Shatt al-Arab per irrigare circa 770.000 ettari di terra coltivata nelle province di Ilam e Khuzestan, riducendo l’afflusso d’acqua che raggiunge il territorio iracheno. Inoltre, la società iraniana di gestione delle risorse idriche ha annunciato all’inizio di quest’anno l’intenzione di costruire 109 nuove dighe nell’ambito di un piano che si estenderà fino al 2021.

In tempi più recenti, vi sono stati diversi tentativi di cooperazione. Per quanto riguarda i trattati internazionali, sia l’Iraq che la Siria hanno ratificato la Convenzione dell’ONU sul diritto agli usi non di navigazione dei corsi d’acqua internazionali del 1997, a differenza dell’Iran e della Turchia.

Nel 2008, Siria, Iraq e Turchia hanno riattivato il Comitato Trilaterale Tecnico, un organo di collaborazione in materia meteorologica, di qualità dell’acqua e della gestione delle risorse idriche. Inoltre, nello stesso anno hanno firmato un protocollo d’intesa al fine di incrementare la comunicazione all’interno del bacino del Tigri-Eufrate e di sviluppare stazioni congiunte di monitoraggio del flusso d’acqua. In cambio, l’Iraq ha accettato di scambiare petrolio con la Turchia e aiutare a frenare l’attività militante curda nella regione di confine.

Nel 2014, è stato anche dato il via alle trattative per regolamentare l’utilizzo dello Shatt Al‑Arab, che segna il confine tra Iran e Iraq. Ciononostante, Baghdad continua tuttora a mettere in discussione la costruzione delle dighe da parte di Teheran sugli affluenti di Tigri e Shatt Al-Arab in quanto queste avrebbero ricadute negative sull’economia irachena.

Quale futuro senza cooperazione?

Tuttavia, i problemi persistono e ogni nazione ha dato e continua a dare priorità ai propri progetti di sviluppo. Ancora oggi la Turchia continua a costruire dighe nelle montagne del Tauro, mentre Iraq e Siria mirano allo sviluppo di ampi progetti di irrigazione e di nuove centrali idroelettriche.

L’Iraq dipende fortemente da entrambi i fiumi per nutrire l’intero sistema di irrigazione agricola. L’accesso all’acqua del Tigri e dell’Eufrate da parte del Paese continua a essere minacciato su tre fronti. Innanzitutto, dai progetti di irrigazione in Siria e Turchia. In secondo luogo, negli ultimi anni sono subentrate anche le tensioni tra il governo regionale del Kurdistan e il governo centrale di Baghdad  in quanto i principali affluenti del fiume Tigri attraversano il territorio curdo. Terzo, come abbiamo visto, dall’Iran.

Per quanto riguarda la Turchia, il GAP continua a essere una priorità e una sfida per Ankara. Il GAP oltre a garantire posti di lavoro a centinaia di migliaia di persone, fornisce energia elettrica a un quarto della Turchia.  L’ambizione è  anche quella di rendere la Turchia una potenza agricola portando la superficie irrigata a 1,7 milioni di ettari.

Tuttavia, l’incedere dei lavori legati al GAP ha inasprito le relazioni tra il governo e la minoranza curda. Il progetto passa infatti per la maggior parte su aree a maggioranza curda e ha già portato a sfollamenti ed espropriazioni di terreni. E’ il caso, ad esempio, della città di Samsat nella provincia di Adýyaman. Nel 1988, gli abitanti della città e di altri villaggi della zona sono stati costretti a trasferirsi per permettere la costruzione della diga di Ataturk, una delle più imponenti del progetto, completata nel 1990.

Lo scenario rischia di diventare ancora più complicato se si guarda oltre confine. Se non si dovesse raggiungere un accordo complessivo a livello regionale, una volta completato il GAP, il flusso dell’Eufrate in Siria si ridurrebbe infatti del 70% e di conseguenza l’Iraq riceverebbe solo il 20% dell’attuale portata.

È in questa atmosfera di scarsa collaborazione regionale che i professionisti del settore, i ricercatori, alcuni funzionari governativi di livello inferiore, ma anche semplici cittadini preoccupati per la situazione hanno iniziato a incontrarsi fuori dalla sfera istituzionale, dando il via, nel 2003, all’iniziativa Eufrate-Tigri per la Cooperazione (ETIC). Le principali attività portate avanti comprendono la raccolta e la condivisione di dati, lo scambio di conoscenze, la formazione di funzionari governativi e il raggruppamento di esperti di diverse professioni.

Sebbene infatti le probabilità che il sistema fluviale Tigri-Eufrate si prosciughi completamente nei prossimi anni sono poche, gli esperti prevedono che nel giro di uno o due decenni, l’utilizzo e la richiesta di acqua da parte dei Paesi attraversati dai due fiumi supererà largamente le disponibilità. Per di più, l’aumento dell’inquinamento renderà la gestione delle risorse idriche ancora più difficile e la nazione maggiormente colpita sarà l’Iraq.

 

Fonti e Approfondimenti

Al- Ansari N. ed al, “Geopolitics of the Tigris and Euphrates Basins” Journal of Earth Sciences and Geotechnical Engineering, vol . 8, no. 3, pp. 187-222, 21/04/2018.

Bachmann A. et al, “Tigris-Euphrates River Ecosystem: A Status Report, Mesopotamia Water Forum 2019, Sulaymaniyah, Kurdistan Region of Iraq, 2019.

Danforth N,“A Short History of Turkish Threats to Invade Syria, Foreign Policy, 31/07/2015

De Pimodan Q.,  The fierce and silent regional battle Kuwait must mediate”, Medium, 11/01/2018

Euphrates Tigris Water Issues: An Introduction”, Pressbooks. consultata il 30/10/2019.

Lorenz F. ed Erickson E., “Strategic Water Iraq and Security Planning in the Euphrates-Tigris Basin”, Marine Corps University Press, 2013.

Omran F., “Iran dam construction reduces Iraq water supply”, Diyaruna 14/03/2019.

 

 

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