La sconfitta di Donald Trump

Trump
@North Charleston - Flickr - Licenza: Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

Donald Trump ha perso. Lo scenario previsto dai sondaggisti e dagli analisti si è verificato: la sconfitta del presidente in carica. Detta così sembra una cosa semplice, ma in realtà è uno scenario che non accadeva da 28 anni, con George H. W. Bush sconfitto da Bill Clinton nel 1992. Dal dopoguerra a oggi era avvenuto solo un’altra volta nel 1980, quando Jimmy Carter perse con Ronald Reagan. Ora il verdetto delle urne attende la definitiva conferma da parte del Collegio elettorale il mese prossimo, ricorsi e minacce del presidente a parte. Nel frattempo, in questi giorni di impostazione della transizione (o a quanto sembra di ostruzione, dal lato repubblicano) è già possibile tirare qualche somma e fare un’analisi del risultato.

Il risultato elettorale

Prima del voto, sullo scenario erano state valutate più possibilità dagli analisti e dai sondaggisti. Il risultato più estremo preso in considerazione era un landslide da parte del candidato democratico, cioè una vittoria di proporzioni enormi. Le altre strade, per una larghissima maggioranza, davano invece a Biden possibilità di vittoria molto ampie, contro le poche chance attribuite a Trump. Fra tutti gli scenari possibili è uscito alla fine il più probabile: una vittoria netta con un buon margine di distacco. Discorso e analisi differenti potrebbero essere fatti sui singoli Stati e i margini di distacco interni. Qui qualche dato è variato e sicuramente Trump è stato sottostimato nel Midwest. Tuttavia, numeri e dati alla mano, dire che i sondaggisti hanno sbagliato anche questa volta non è semplicemente corretto.

La sconfitta di Donald Trump si è materializzata dove quattro anni prima aveva ottenuto un insperato successo. Quel muro blu di Stati del Midwest che aveva frantumato a colpi di “Make America Great Again”, si è infatti ricostituito in queste ultime elezioni. Michigan, Wisconsin e Pennsylvania alla fine sono risultati gli Stati decisivi per la vittoria di Joe Biden. Non uno scenario particolarmente fantasioso, vista la storia elettorale di questi ultimi dal 1992 a oggi. Tuttavia, il risultato di quattro anni fa lasciava qualche dubbio in partenza e un pò di incertezza filtrava dall’ambiente democratico. Ciò che faceva ben sperare i democratici era l’alta affluenza, ma questo è un discorso che va applicato alla generalità e non solo a questi singoli Stati. A questi vanno aggiunti poi i risultati in Arizona e in Georgia. Questi ultimi due infatti sono storicamente delle roccaforti repubblicane, eppure Joe Biden è riuscito a imporsi. In Arizona un democratico non vinceva infatti dal 1996, quando Bill Clinton si impose sul repubblicano Bob Dole. In Georgia invece i Dem non vincevano dal 1992, sempre con Clinton. Entrambi gli Stati non erano blu contemporaneamente dal 1948.

Nonostante il conteggio delle preferenze non sia ancora concluso, con le ultime chiamate sulla Georgia e il North Carolina, Trump ha ottenuto 232 grandi elettori contro i 306 messi insieme da Biden. Un risultato di poco superiore rispetto a quello ottenuto da Trump nel 2016 (vinse con 304 grandi elettori) ma che vede nel voto popolare un grande distacco. Alla fine dei conti, molto probabilmente il presidente uscente avrà ottenuto quasi 6 milioni di voti in meno, nonostante il risultato ottenuto dal candidato repubblicano sia un record per il GOP. Lo stesso vale per Biden, il quale ha ottenuto più di 78 milioni di voti diventando non solo il candidato più votato nella storia del Partito democratico ma anche nella storia delle presidenziali statunitensi.

L’analisi del voto

Dagli exit poll emerge un quadro meglio definito di quello che è stato questo voto. Il presidente Trump non è riuscito a riunire una coalizione di elettori abbastanza ampia negli Stati chiave, a differenza di Biden. Il candidato democratico ha trovato il successo fra gli elettori giovani e non bianchi, i laureati, gli indipendenti e coloro i quali sono preoccupati per la disuguaglianza razziale e la pandemia. Secondo l’Edison Research, l’economia, la pandemia e la disuguaglianza razziale sono state le tematiche principali di queste elezioni. Circa un terzo degli elettori ha dichiarato che la questione economica fosse la più importante. Due su dieci hanno invece indicato la pandemia e la questione razziale come le tematiche principali. 

Degli elettori del presidente Trump, circa sei su dieci hanno affermato che l’economia fosse l’aspetto più importante. Mentre un terzo degli elettori dell’ex vice presidente Biden ha invece affermato che la disuguaglianza razziale fosse la questione più rilevante, con la questione coronavirus appena più indietro. Il Washington Post ha poi condotto un’analisi basata su dei sondaggi, per esplorare le tendenze demografiche negli exit poll nazionali e statali. Da questa analisi è emerso che gli elettori erano divisi fra il ricostruire l’economia e il contenere la pandemia. Poco più della metà degli elettori hanno affermato infatti che fosse più importante la seconda, mentre la restante parte ha indicato l’economia come questione preminente.

A livello nazionale Trump ha guadagnato il voto di solo un terzo degli elettori ispanici. Tuttavia, rispetto a quattro anni fa ne ha guadagnati in Stati importanti come la Florida, dove il voto cubano è risultato decisivo per la vittoria repubblicana, e la Georgia. E anche in Stati come il Texas e la Virginia, nonostante abbia preso meno voti in questa categoria rispetto a Biden, Trump non ne ha persi rispetto al 2016, anzi sembra averne guadagnati.

Trump è inoltre risultato avanti fra gli elettori bianchi senza laurea rispetto a Biden, guadagnando circa sei voti su dieci nella categoria a livello nazionale. Tuttavia a livello generale, se il voto maschile è stato più o meno equo fra le parti (53% per Trump, 45% per Biden), le donne si sono schierate in maggioranza per Biden (57% contro il 42% per Trump). Dal punto di vista anagrafico invece gli elettori sotto i 45 anni si sono schierati in maggioranza per Biden, con un picco del 60% fra quelli di età compresa fra i 19 e i 29 anni. Fra gli elettori dai 45 anni in su, invece, Trump ha avuto numeri migliori, con il picco che è risultato esserci fra gli elettori dai 65 in avanti, i quali per il 52% hanno votato per il presidente in carica.

Guardando alle minoranze invece si può notare come queste si siano schierate in larga maggioranza in favore di Biden. Circa l’87% degli afroamericani ha votato per quest’ultimo, così come il 61% degli asiatici e il 65% degli ispanici. Mentre il 58% dei bianchi si è espresso per Trump. Interessanti i dati sul reddito medio, dove chi guadagna al di sotto dei 100.000$ all’anno si è schierato in maniera abbastanza chiara per Biden. Chi invece guadagna all’anno dai 100.000$ in su al 54% si è schierato con Trump.

La sconfitta di Trump

Nei quattro anni di presidenza, Trump ha ripetuto più volte che avrebbe vinto di nuovo e che lo avrebbe fatto grandemente. Come quando nel 2016, durante la campagna elettorale, dichiarò che “vinceremo così tanto che sarete malati e stanchi di vincere così tanto”. Alla fine molti statunitensi si sono ammalati (più di 10 milioni a causa della pandemia) e stancati veramente, tanto da decidere di averne abbastanza.

Tutta la carriera di Donald Trump è stata costruita sull’immagine del vincente per eccellenza. Un’immagine caratterizzata dal lusso sfrenato, gli agi della bella vita, le frequentazioni nell’alta società, le luci del jet set e le attività imprenditoriali. Immagine ben riassunta nella Trump Tower di New York, il simbolo della sua personale scalata verso il potere e la ricchezza. Un “self made man” che in ogni caso di “self made” ha sempre avuto ben poco viste le origini. Ma la narrazione si è dimostrata vincente e ben ponderata, tanto da renderlo famoso in tutto il mondo. Tuttavia quando la Pennsylvania è entrata nella colonna delle vittorie di Biden, le crepe di questa campana di vetro costruita sull’epopea del vincente si sono allargate provocando una frattura insanabile fino al crollo definitivo. L’immagine del vincente si è quindi eclissata, sostituita da quella del perdente che non accetta la sconfitta e che dal podio della sala stampa della Casa Bianca lancia accuse di brogli e appelli per fermare il conteggio delle schede.

Trump, sostenuto anche da molti compagni di partito, non ammetterà mai di aver perso, nonostante finora lui e i suoi non siano stati in grado di fornire alcuna prova di questi fantomatici brogli. In Pennsylvania la Corte Suprema si è espressa in maniera favorevole riguardo un ricorso di Trump, facendo così separare le schede arrivate per posta nei giorni seguenti all’election day. Tuttavia queste schede sono solo 10.000 all’incirca e anche se dovessero essere dichiarate invalide (improbabile) il distacco è ormai superiore a 60.000 voti. Non ci sarebbero neanche le basi matematiche per un ribaltamento della situazione. Lo stesso vale in altri Stati come il Michigan, dove i ricorsi riguardanti le schede di Detroit sono già stati respinti poiché non presentati correttamente e lacunosi. In Georgia il Segretario di Stato repubblicano è stato accusato dai suoi colleghi di partito di non aver vigilato a dovere sul processo elettorale, invitandolo a dimettersi. Invito non accolto dal Segretario, il quale ha dichiarato di non aver riscontrato irregolarità invitando gli esponenti repubblicani a concentrarsi sui ballottaggi senatoriali in programma a gennaio. Anche in Nevada e in Wisconsin non sembrano esserci molti spiragli.

Ma non è importante solo il risultato in sé. Rientra tutto nella salvaguardia ai propri occhi di questa immagine, di questo personaggio e di quanto la base del partito gli sia ancora legata. Poco importa il fatto che molti candidati repubblicani alla Camera abbiano vinto in molti distretti dove invece il presidente ha perso (perché poi i democratici dovrebbero limitarsi a rubare le elezioni per la presidenza e non alla camera?). Poco importa la quantità di errori commessi. Poco importa il fatto che abbia trasformato questa elezione in un referendum su sé stesso e gli elettori abbiano dato il loro responso.

Alla fine tutto potrebbe essere riassunto nelle parole di David Axelrod, consulente politico di lunga data, secondo il quale “Donald Trump ha sconfitto Donald Trump”. E in parte questo è innegabile. Sta di fatto che la sua aura di vincitore non si riprenderà mai da questa drammatica sconfitta pubblica.

 

Fonti e approfondimenti

Presidential results 2020, CNN

Exit poll results and analysis for the 2020 presidential election“, The Washington Post, 10/11/2020

Parker A., Dawsey J., Viser M., Scherer M., “How Trump’s erratic behavior and failure on coronavirus doomed his reelection“, The Washington Post, 07/11/2020

Axelrod D., “Why Donald Trump lost“, CNN, 07/11/2020

Graham D. A., “Trump is the loser“, The Atlantic, 07/11/2020

 

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