Palestina: una nuova battuta di arresto per le elezioni presidenziali e legislative

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@Travel 2 Palestine - Flickr - Licenza: Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

di Anthea Beatrice Favoriti

Lo scorso settembre, il presidente dell’Autorità Palestinese (AP) Mahmoud Abbas aveva parlato della possibilità di indire nuove elezioni presidenziali e legislative in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme est nel 2020. Tuttavia, con l’annuncio del «piano del secolo» di Trump, la possibilità di un ritorno alle urne è stata accantonata nuovamente. Le dichiarazioni del presidente Abbas avevano peraltro suscitato poche speranze nella possibilità di un reale cambiamento in una società ormai allo stremo.

Le ultime elezioni presidenziali risalgono al 2005, quando Abbas venne eletto, mentre le ultime legislative si sono svolte nel 2006, decretando la vittoria di Hamas, che assunse il controllo di Gaza l’anno seguente, in risposta alla frattura con Fatah. In aggiunta a ciò, nel 2012 e nel 2017 si sono tenute le elezioni municipali nella sola Cisgiordania. Secondo i dati analizzati dal Centro palestinese per la ricerca sulle politiche e le indagini in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza (PSR), nel caso in cui nuove elezioni venissero indette, solamente una piccola maggioranza sarebbe propensa a recarsi alle urne, mentre la metà della popolazione intervistata ha affermato che, a prescindere, le elezioni non sarebbero né libere né democratiche. Il sondaggio è l’ennesima dimostrazione della frustrazione della popolazione nei confronti del sistema politico e delle capacità della Commissione Elettorale Palestinese di gestire l’intero processo con la dovuta integrità morale.

Il panorama partitico

Vi è una generale assenza di fiducia nei confronti dei due principali partiti politici, Fatah e Hamas, e ciò a causa della corruzione e della polarizzazione politica delle due fazioni, risultato anche dell’assenza di una vita democratica all’interno dei Territori Occupati.

Ad oggi, la possibilità di una vittoria di Abbas sembra remota. Da una parte, perché in Cisgiordania Hamas gode di un certo consenso generale e, dall’altra, perché la risposta positiva del movimento islamista di fronte alla possibilità di nuove elezioni ha sconvolto le aspettative generali. Secondo i dati del rapporto del PSR, Hamas possiede un discreto consenso e il proprio leader Ismail Haniyeh, potrebbe essere in grado di battere con ampio margine l’AP. Di fronte alla possibilità di nuove elezioni Hamas aveva richiesto in via straordinaria l’organizzazione di un vertice nazionale in cui si discutessero le condizioni della sua partecipazione.

Fatah, invece, non sembra più essere in grado di rendere concreto un generale rinnovamento della società. Inoltre, data anche l’età e i problemi di salute di Abbas, al suo interno si sono formate delle nuove alleanze, fra cui spicca quella tra Hussein Al Sheikh, responsabile per gli affari civili dell’AP, e il capo dell’Intelligence Majd Faraj. Jibril Rajoub, attuale presidente della Federcalcio palestinese, potrebbe essere il terzo candidato di punta, ma finora si è limitato a sostenere un’eventuale candidatura di Marwan Barghouti, politico e attivista palestinese, considerato all’unanimità come leader della prima e seconda intifada e in carcere dal 2002. Nell’ombra si muove invece un altro pretendente, Mohammed Dahlan, politico e leader di Fatah a Gaza, che venne espulso dal partito nel 2011 per corruzione e per aver tentato di minare la figura di Abbas, e che è sostenuto oggi dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti.

Un ulteriore partito che secondo le indagini del PSR potrebbe prendere la scena è il Palestinian National Initiative (PNI) di Mustafa Barghouti, principale sfidante di Abbas nelle elezioni del 2005. Il PNI, fin dalla sua costituzione nel 2002 a Ramallah, è stato considerato come “una terza forza democratica” e si è sempre opposto alla dicotomia esistente fra Fatah e Hamas. Il partito ha portato avanti negli anni una forte campagna per la riforma democratica all’interno dell’AP e sostenuto la necessità di formare un governo di emergenza nazionale che comprendesse tutte le fazioni per fermare l’autocrazia e la corruzione dilagante nella politica palestinese.

I motivi della disillusione popolare

La disillusione nei confronti dei partiti politici è aumentata negli ultimi anni anche in risposta a una situazione economica di stallo, che ha esacerbato la dipendenza dagli aiuti dei donatori internazionali. L’economia palestinese è infatti legata al sostegno internazionale, in particolare dall’istituzione dell’AP nel 1993 con gli Accordi di Oslo. Da allora, l’AP ha fatto affidamento sul sostegno straniero per garantire ai propri cittadini l’accesso ad acqua, elettricità, fognature e cure mediche.

I principali donatori sono gli USA, l’UE, l’Arabia Saudita e il Qatar che, secondo il recente Rapporto del Ministero delle Finanze dell’AP, hanno donato nel tempo oltre 53 miliardi di dollari. Le pressioni sia statunitensi che israeliane e gli anni di occupazione, che hanno limitato da sempre il movimento di beni e persone, non hanno fatto altro che concorrere alla paralisi dell’economia palestinese, rendendo la popolazione sempre più dipendente e incapace di emanciparsi, non solo dal supporto dei donatori internazionali ma anche dall’economia israeliana.

La deriva autoritaria di Abbas è un altro elemento che ha contribuito fortemente alla disillusione della popolazione nei confronti dell’AP. La marginalizzazione del Consiglio legislativo palestinese nel 2007 ha permesso al presidente Abbas di monopolizzare il potere e rimanere in carica nonostante l’espirazione del suo mandato nel 2009. L’assenza di un controllore ufficiale ha permesso al presidente di formare e sciogliere il governo dell’AP e di governare negli anni tramite decreti presidenziali. Tra questi spicca il decreto che nel 2016 ha stabilito la nascita di una Corte costituzionale palestinese, composta da nove giudici nominati da Abbas.

Tuttavia, lo sviluppo che ha contribuito a ridurre ulteriormente lo spazio di rappresentanza della società palestinese è stato il consolidamento dell’apparato di sicurezza. L’idea iniziale era estromettere Hamas dal governo dell’AP dopo la vittoria alle elezioni legislative: da allora, Abbas ha ricevuto enormi risorse per sviluppare un apparato di sicurezza in grado di reprimere efficacemente Hamas, imprigionare gli opponenti politici e indebolire le sue infrastrutture. Quest’approccio è stato poi esteso di routine ad altri partiti e gruppi d’opposizione: le forze militari attaccano ormai regolarmente anche i giornalisti, mettendo a tacere qualsiasi critica sulle politiche dell’AP e reprimendo ferocemente anche gli attivisti che partecipano a manifestazioni pacifiche.

Gli elementi menzionati si aggiungono alle caratteristiche di oppressione e sfruttamento propri dell’esperienza storica del colonialismo di insediamento e di tutte le altre forme di sopraffazione politica e sociale da parte di Israele. Basti pensare alla recente privatizzazione dei check-point, all’occupazione digitale, all’espansione degli insediamenti coloniali in Cisgiordania che traggono profitto dallo sfruttamento a fini turistici di terre e risorse appartenenti ai palestinesi. Tutto ciò ha acuito ulteriormente la sensazione di abbandono che sperimenta oggi la Palestina, sentimento che è stato esacerbato dai tagli agli aiuti destinati ai palestinesi e soprattutto dalla presentazione del «piano del secolo» da parte del presidente Trump il 28 gennaio a Washington.

Il piano, alla cui discussione i palestinesi non sono stati invitati, prevede 50 miliardi di dollari in nuovi investimenti da realizzarsi in 10 anni, impiegandoli in infrastrutture, sanità e istruzione sia in Cisgiordania che a Gaza. È previsto che il futuro Stato sia dotato di istituzioni finanziarie indipendenti e trasparenti; viene ribadito inoltre il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, nonché la sovranità israeliana sulla valle del Giordano e il riconoscimento degli insediamenti nell’area C della Cisgiordania, sebbene vi sia un riferimento a una capitale palestinese in una zona imprecisata di Gerusalemme Est. Inoltre, nel budget USA 2021 annunciato lo scorso 10 febbraio, per la prima volta dal 1993 non sono stati previsti aiuti per Gaza e Cisgiordania.

L’annuncio di Trump è stato bersaglio di un’ondata di condanne da parte di alcuni stati arabi, ma la conseguenza più importante a livello diplomatico è la marginalizzazione del conflitto israelo-palestinese, che ha rappresentato invece la questione per eccellenza nella seconda metà del secolo scorso. Oggi, accanto alle crisi che vivono Paesi come lo Yemen, la Siria o l’Iraq, la questione palestinese è stata relegata in fondo alle agende internazionali.

La condanna “tiepida” del piano da parte invece dell’UE fa pensare che, benché abbia dichiarato di voler partecipare attivamente al processo elettorale in Palestina, sponsorizzi invece delle elezioni di natura squisitamente simbolica. Nonostante la sua influenza sull’AP, l’UE nel tempo non è riuscita a garantire lo sviluppo di meccanismi di responsabilità reali ed efficaci, confermando il proprio immobilismo sul piano diplomatico nell’intera area.

Conclusione

L’importanza di facilitare queste elezioni sta diventando sempre più evidente sia agli occhi degli osservatori internazionali che alle parti maggiormente coinvolte nel conflitto, dopo la proclamazione del «piano del secolo» di Trump, la situazione sembra essere tornata in una nuova fase di paralisi. Il risultato più interessante della presentazione del piano di pace in Medio Oriente è stato sicuramente il compattamento delle fazioni palestinesi, in particolare tra AP e Hamas, come non si vedeva da anni. Tuttavia, nessuna delle recenti dichiarazioni di Abbas ha fatto più riferimento alla volontà di indire le elezioni,  anche perché rimarrebbe il nodo di Gerusalemme, rendendo ancora una volta evidente lo scollamento tra i rappresentanti politici e la popolazione palestinese.

 

Fonti e approfondimenti:

Cavatorta, F., & Storm, L., Political Parties in the Arab World: Continuity and Change, UK: Edinburgh University Press, 2018

Andrews R., Calls for Palestinian elections are welcome, but under what conditions?, Middle East Monitor, 15/01/2020

Palestinian Center for Policy and Survey Research

Veracini, L., Settler Colonialism: A Theoretical Overview, UK: Palgrave Macmillan UK, 2010

Palestinian Freedom Movement: ‘Abbas is not serious about elections.’, Middle East Monitor., 7/01/2020

White, B.,  Are Palestinian elections on the horizon? , Al Jazeera, 15/12/2019

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