Nel 1971 un elicottero atterrò sul campo da basket del carcere di Santa Martha Acatitla e prelevò il criminale statunitense Joel David Kaplan, accusato dell’omicidio di un uomo della mafia, senza incontrare opposizione. Nel 2015, il leader del cartello di Sinaloa, Joaquín Guzmán El Chapo, si rese protagonista di una fuga spettacolare dal carcere di massima sicurezza di El Altiplano attraverso un tunnel, con l’ausilio di complici interni.
Questi due episodi hanno contribuito a rendere evidente un problema strutturale, ovvero che la criminalità organizzata esercita forme di controllo sui penitenziari messicani. Nei mesi più recenti, la possibilità dello scoppio di un’epidemia di Covid-19 tra i prigionieri ha portato alla luce ulteriori falle e carenze preesistenti, che se non verranno affrontate adesso potrebbero avere conseguenze letali.
Le due epidemie
Dopo Brasile e Perù, il Messico è il terzo Stato latinoamericano con più infetti da Coronavirus, oltre 45.000. Secondo i dati della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH), al momento 92 prigionieri sono stati contagiati, tra cui 6 morti e 11 guariti. Come se non bastasse, il Covid-19 è stato accompagnato anche dallo scoppio di una piccola epidemia di morbillo, una malattia potenzialmente mortale per il 10% della popolazione non ancora sottoposta al vaccino esistente.
Il virus si è introdotto in un penitenziario del nord di Città del Messico attraverso un bambino in visita e ha cominciato a propagarsi a grande velocità. Di fronte alla possibilità di una catastrofe, le autorità sanitarie hanno messo in atto un programma di vaccinazione dei prigionieri e dei quartieri che avevano registrato più casi. La possibilità remota che i due virus possano incrociarsi ha, tuttavia, fortemente allarmato lo Stato. Infatti, una persona con morbillo (il famoso Rt) ne contagia fino a 18, mentre una affetta da Covid-19 circa 2,5. Per prevenire il contagio, i primi problemi da affrontare nelle carceri riguardano il sovraffollamento e le condizioni igieniche.
Il sovraffollamento nelle carceri
Il distanziamento è una delle misure precauzionali più essenziali, ma alcune carceri messicane non hanno la possibilità di applicare le regole basiche per impedire lo scoppio di un’epidemia interna. Attualmente, secondo i dati dell’Instituto Nacional de Estadística y Geografía (INEGI), i prigionieri sono circa 202.337 e il 37% delle carceri presenta problemi di sovraffollamento.
Nonostante la capacità massima sia di 216.237 persone, il 46% di esse condivide la cella con almeno altri cinque detenuti. Nello Stato del Messico, la regione con il più alto tasso di popolazione carceraria, un terzo dei reclusi vive con più di 15 persone. Appare quindi evidente che una politica di distanziamento sociale con questi dati sia praticamente impossibile. Inoltre, l’11,2% ha più di 50 anni e registra un’alta incidenza di patologie pregresse.
La situazione è ulteriormente aggravata dalle condizioni igieniche. Il 30% non ha accesso all’acqua potabile nella sua cella e nei centri statali e municipali solo il 7,6% riceve prodotti di pulizia dall’ente penitenziario. Nella maggior parte dei casi, infatti, se ne occupa direttamente la famiglia. Per questo motivo, la sospensione delle visite non è sufficiente. Anzi, potrebbe essere controproducente, dato che spesso i familiari coprono le deficienze del sistema rifornendo i prigionieri di medicine e viveri.
L’ONU è intervenuta con una serie di richieste per cercare di fronteggiare la situazione: più personale sanitario, accesso ad acqua potabile e ad articoli di pulizia e di sanificazione almeno una volta a settimana. L’organizzazione femminista Equis è stata più precisa e si è soffermata su un difetto sistemico che influisce pesantemente sul numero di prigionieri: la detenzione di persone per delitti non violenti o quella per chi è in attesa di condanna, la cosiddetta prigione preventiva. Equis chiede, inoltre, la scarcerazione delle categorie più deboli, come i più anziani, i diabetici, i malati di HIV o le donne incinte.
La criminalità e la corruzione interna
A complicare la dimensione del problema intervengono poi due problemi speculari: il controllo della criminalità organizzata e l’abuso di potere delle guardie carcerarie. Nel Plan Nacional de Seguridad Pública 2014-2018, l’ex presidente Enrique Peña Nieto aveva già riconosciuto la difficoltà nel contrastare la delinquenza nelle prigioni:
“Esistono reti delinquenziali che operano dai centri penitenziari e colpiscono la società attraverso l’estorsione telefonica e altre azioni”
Come molti attivisti sottolineano, Peña Nieto seppe evidenziare la questione ma non fece nulla. La Commissione Nazionale dei Diritti Umani ha stimato che circa il 65% delle carceri è sotto il controllo criminale. Per l’antropologa Elena Azaola, che ha studiato il sistema e pubblicato vari report a riguardo, i custodi e il personale del carcere “si prestano a tradire le istituzioni perché sentono che hanno fallito nel dargli una vita degna. Non è solo una questione di salario, ma anche di disinteresse istituzionale”.
Ci sono, come si evince dal suo studio, prigioni in balia di varie organizzazioni criminali dove infatti si sono verificati incidenti e scontri significativi, come quello che a dicembre ha provocato 16 morti in un penitenziario del centro del Messico. Altri cinque sono rimasti feriti a Cieneguillas, nello Stato di Zacatecas e, a ottobre, sei persone sono state assassinate nello stato di Morelos.
Il report Delito y Cárcel en México, deterioro social y desempeño institucional, elaborato dal Centro de Investigación y Docencia Económicas Mexicano (CIDE), si è basato sulle testimonianze dei prigionieri per denunciare le condizioni di sfruttamento e di abuso di potere della polizia. Più dell’80% assicura che le autorità ricevono tangenti in cambio di un trattamento preferenziale o esigono dalla famiglia del prigioniero denaro per permettere l’entrata dei viveri. Il 76% non conosce i suoi diritti al momento del giudizio, il 64% non può parlare con i familiari e gli amici e il 59% non può farlo con il proprio avvocato. Sette reclusi su 10 hanno figli e la stragrande maggioranza proviene dal contesto di una famiglia povera. Il livello di sfiducia nei confronti del sistema è talmente alto che nove delitti su 10 non sono denunciati, secondo le cifre ufficiali.
Le donne nelle carceri
Particolarmente penalizzate, sia dalla criminalità che dall’abuso di potere, sono poi le donne. La popolazione carceraria femminile rappresenta il 5,1% del totale, secondo le cifre di INEGI. Il 53% si trova in carcere per delitti collegati con il traffico di droga. Tuttavia, il loro contesto di provenienza dimostra che sono delle vittime.
Infatti, nella maggior parte dei, casi sono povere, hanno un basso livello d’istruzione, provengono da comunità emarginate e prima di finire nella rete della criminalità organizzata svolgevano lavori umili. I loro delitti non sono praticamente mai cruenti e le loro storie sono spesso segnate da episodi di violenza sessuale. Molte di loro appartengono ai grandi cartelli, in cui il rigore e il potere maschile si fa sentire, e delinquono principalmente per alimentare e sostenere i figli. Equis ha denunciato inoltre il trattamento dei giudici nei loro confronti, colpevoli di infliggere condanne più severe e di essere più duri perché la donna non risponde ai dettami imposti dalla società, quelli che la contemplano semplicemente come moglie e madre.
Le misure governative
I tentativi da parte dello Stato di fronteggiare i problemi strutturali nelle carceri ci sono stati, ma non sempre sono andati a buon fine. L’ex presidente Felipe Calderón lanciò nel 2008 un progetto che prevedeva di creare otto nuovi centri penitenziari a partire da quelli lasciati in disuso. Dopo sette anni, solo uno, a Guasave (Sinaloa), era operativo.
Nel 2010 si fece appello alle imprese private per aumentare lo spazio nelle carceri di 20.000 posti. L’intervento fu effettuato su quattro delle otto carceri previste. L’anno successivo, Calderón promise la Ley Federal del Sistema Penitenciario y Ejecución de Sanciones (Legge Federale del Sistema Penitenziario ed Esecuzione delle Sanzioni). Essa fu approvata dai deputati ma non dai senatori. Il ministero delle Finanze sosteneva infatti che non ci fossero risorse sufficienti e decise di congelare l’iniziativa.
Oggi, nel contesto di una pandemia mondiale, il governo, questa volta quello di Andrés Manuel Lopez Obrador, è stato costretto ad intervenire. Ne è scaturita una Legge di Amnistia, approvata il 20 aprile, che autorizza la scarcerazione per alcune categorie di prigionieri o delitti. Per esempio, l’aborto dopo 12 settimane, il possesso di droga, i furti semplici, gli indigeni che non hanno avuto la possibilità di un processo nella propria lingua e i prigionieri politici. Non rientrano nella lista i delitti più gravi, come omicidi o lesioni con uso d’arma da fuoco. Tuttavia, tre Stati già si erano portati avanti con le scarcerazioni prima della misura governativa.
Nonostante il passo in avanti, l’organizzazione civile Causa en Común ha evidenziato come la Legge di Amnistia non contribuisce abbastanza a contenere la potenziale epidemia di Covid-19 nelle carceri. In base ai pochi delitti per cui è prevista la scarcerazione, solo il 7% dei reclusi uscirebbe dal carcere. Inoltre, l’iter burocratico potrebbe durare tra i due e i sei mesi. Per questa ragione, l’organizzazione propone di tutelare i prigionieri con materiale sanitario sufficiente e di agire per migliorare le infrastrutture e il personale.
Il problema delle visite resta un’incognita. L’economia dei custodi dipende in parte dalle mazzette delle famiglie. La penetrazione del virus dall’esterno resta una possibilità concreta.
Fonti e approfondimenti
Aristegui Noticias, “Covid-19 llega a cárceles de México: López-Gatell”, 14/04/20
Chicago Tribune, “¿Quién tiene el verdadero control de las cárceles en México?”, 22/08/15
El País, “Violencia, sobornos y falta de derechos en la cárcel mexicana”, 19/03/15
BBC, “Mexico prison: Cieneguillas riot leaves at least 16 dead”, 1/01/20
Prison Insider, Statistiche sulle carceri messicane