Da quando la crisi economica del 2008 ha imperversato sull’intero globo, il mondo ha realizzato che la dipendenza economica dalla Cina è un dato imprescindibile. Molti dei Paesi europei, non da ultimo l’Italia, hanno riscontrato una crescente complementarietà con il gigante cinese. A partire dal 2010, infatti, la bilancia commerciale italo-cinese è in crescita. A ben vedere, una flessione delle importazioni si è riscontrata a partire dal 2011, con un forte calo nel 2013; poi, ripresa in costante aumento.
Gli export italiani tra il 2010 ed il 2015 sono aumentati del 21%, benchè ancora confinati ad un numero di settori piuttosto ristretto: prevalentemente automobili e prodotti farmaceutici. Dall’altro canto, l’Italia importa prevalentemente prodotti da riutilizzare nelle industrie meccaniche, ottiche e fotografiche.
Dopo essere stata per decenni un recipiente di investimenti diretti esteri, a partire dal 1999 con la nota strategia Go Global, il Governo cinese ha a sua volta tentato di promuovere investimenti all’estero. In Europa, l’Italia si colloca solamente al quinto posto, con a capo la Germania. Tra il 2003 ed il 2014, l’Italia ha beneficiato di 57 accordi, soprattutto nel settore dell’elettronica e della comunicazione. In termini di flussi di denaro, però, l’Italia si è collocata al secondo posto nel 2014.
Sono state principalmente le aziende statali cinesi ad aver investito nel mercato italiano, nonostante un numero crescente di accordi commerciali abbia recentemente riguardato l’azienda Huawei Technologies.
La cooperazione Italia-Cina prosegue anche lungo un asse politico e geopolitico. A partire dal 2015, infatti, l’Italia è divenuta ufficialmente membro fondatore della Asian Infrastructure Investment Bank, un istituto finanziario promosso da Pechino e chiaramente in dissonanza con le linee promosse dalla Banca Mondiale e dall’Asian Development Bank, fortemente sostenuta dagli Stati Uniti. Sebbene ufficialmente la reazione sia stata di assoluta neutralità, è comunque emerso in maniera evidente il malcontento dell’Amministrazione d’oltreoceano nell’incassare il colpo dell’adesione di storici alleati europei.
In previsione del 50° anniversario delle relazioni sino-italiane, che ricorrerà nel 2020, la Commissione governativa Italia-Cina sta approntando un piano d’azione volto a garantire investimenti cinesi nei porti italiani e piani strutturali relativi al progetto della Via della Seta (OBOR).
A tal proposito, il Presidente della Repubblica Mattarella si è recato in Cina lo scorso febbraio, segnalando come le relazioni italo-cinesi siano ancora dinamiche e vibranti e come vi sia la volontà di creare nuovi spazi di reciproco arricchimento economico e culturale. La visita del Presidente si colloca in un ben preciso quadro di rapporti che tanto figure istituzionali italiani quanto francesi (con la visita del Primo ministro Cazeneuve) stanno cercando di costruire. In particolare, la Francia ha beneficiato di un accordo sull’energia nucleare e l’Italia di una cooperazione relativamente alle attività spaziali.
Tanto Mattarella quanto Cazeneuve hanno reso evidente non solo la volontà di rinsaldare vecchi legami, ma di collaborare alla grande iniziativa del One Belt One Road, ideata dal partner cinese. L’Italia, in tal senso, ha reso nota la disponibilità italiana a ospitare un importante hub presso i porti di Genova e Trieste, in quanto geograficamente e strategicamente collocati nel Mediterraneo e nei pressi del cuore dell’Europa. Proposte simili sono per altro state avanzate dalla controparte francese, acuendo un clima di già forte divisione, cementata dalla notizia della Brexit. E’ facile, dunque, immaginare i vantaggi di cui la Cina beneficerebbe dal poter dialogare con un partner spesso non univoco, non sicuro delle sue scelte e spesso disposto a tutto per realizzare quell’innovazione infrastrutturale oramai divenuta una costante dei piani di sviluppo economico e logistico europeo. Dall’altro canto, l’ondata di instabilità con cui l’Europa sta convivendo, e di cui l’Italia è solo un riflesso, potrebbe facilmente indurre la Cina a rivedere e ripensare la portata delle iniziative e del più generale quadro di cooperazione. Non da ultimo, l’incertezza elettorale francese ha fatto pagare un cospicuo prezzo all’accelerata, tanto sperata, verso una unità di intenti. In altre parole, come in molti hanno chiaramente sostenuto, la Cina si aspetta che l’Unione Europea elabori una lingua franca che consenta alle compagnie impegnate nella realizzazione dei progetti infrastrutturali di operare in maniere semplice e rassicurante.
Tornando al contesto italiano, il Presidente cinese Xi Jinping, nel corso della più recente visita italiana, ha nuovamente chiesto al Bel Paese di essere un partner rilevante della One Belt One Road Initiative. Questo perché molti dei possibili investimenti devono ancora essere realizzati appieno o, in altri casi, addirittura sono in fase di progettazione. Benchè la maggior parte delle innovazioni in termini infrastrutturali dovrebbero essere realizzate nel continente asiatico, vi sono importanti spunti da cui l’Italia potrebbe trarre beneficio.
Ad esempio, già prima dell’annuncio della costruzione di corridoi ferroviari nel cuore dell’Europa, la Cina aveva reso nota la volontà di realizzare un passaggio a sud. Se da un lato il vantaggio in termini di breve e medio periodo per l’Italia sembrano essere piuttosto lontani, va anche segnalato che taluni settori oggi in depressione nello stivale, potrebbero godere di linfa nuova. Per esempio, il settore automobilistico sarebbe notevolmente avvantaggiato in termini di consegna delle vetture, in quanto i tempi di trasporto sarebbero praticamente dimezzati.
L’altra occasione, al momento completamente mancata, è quella relativa allo sviluppo dei porti. Dinnanzi ad un livello di burocrazia notoriamente pressante e all’appetibilità del mercato di un Paese, sino a pochi anni fa, sull’orlo del baratro, la Cina ha preferito investire, quanto al settore portuale, in Grecia piuttosto che in Italia. D’altro canto i corridoi multidimensionali che Pechino vorrebbe realizzare dovrebbero prevedere una commistione di servizio navale e su rotaie. Ciò pone l’Italia in una condizione di ulteriore svantaggio, rendendo preferibili i territori balcanici.
Dinnanzi ad una tale complessa soluzione, il recente ingresso dell’Italia nella Banca promossa dalla Cina dovrebbe poter garantire un vantaggio quanto meno politico, consentendo al Bel Paese di sedere ad un tavolo che si prospetta fondamentale per la realizzazione delle future iniziative bilaterali e multilaterali.
Del resto, la presenza italiana al recentissimo Forum sull’iniziativa One Belt One Road mostra come l’Italia ancora ambisca a mantenere solide relazioni con la Cina e a migliorarne i contenuti per beneficiare di un vantaggio economico ed infrastrutturale che non ha precedenti nella recente storia. Tra i rappresentanti dell’Unione Europea infatti l’Italia ha voluto mandare in missione il Primo Ministro Paolo Gentiloni, mossa che né Francia, né Germania, né Gran Bretagna, Olanda o Belgio hanno fatto. Da ricordare anche che Gentiloni era l’unico rappresentante dei leader del G7. L’Italia, quindi, sembra aver preso una posizione molto forte nei confronti del colosso asiatico.
Fonti e Approfondimenti:
http://thediplomat.com/2017/03/france-italy-and-chinas-belt-and-road-initiative/
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3836
ISPI, background paper by Alessia Amighini: “Economic and trade relationships between Italy and China”
Rostagni Meneguzzi C., Italia e Cina un secolo di relazioni, Italogramma, Vol 2 (2012)- Identità italiana e civiltà globale all’inizio del ventunesimo secolo.