Spiegami le Elezioni: intervista a Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista

Marco Rizzo è il segretario generale del ricostituito Partito Comunista.  Iscrittosi al PCI nel 1981 contribuisce, insieme ad Armando Cossutta, alla formazione nel 1998 del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI) da cui viene infine espulso nel 2009.

Dopo diversi momenti assembleari, con il  congresso del  17-19 gennaio 2014 si ricostituisce il Partito Comunista. Da cosa nasce questa necessità? Cosa significa far nascere un partito comunista quando il comunismo, per molti, ha perso la sua battaglia con la storia?

Il processo che ha portato alla nascita del Partito Comunista è stato accompagnato da un grande lavoro di riflessione teorica e storica. Senza dubbio il movimento comunista in Italia e a livello internazionale ha perso una battaglia, ma il 1989 non ha segnato la fine della storia. Un diverso modello di sviluppo della società, che per noi è il socialismo, è più attuale e necessario che mai di fronte alle contraddizioni insanabili del capitalismo. Oggi c’è più povertà, disuguaglianza, sfruttamento. Ci sono problemi epocali come l’immigrazione, lo sfruttamento delle risorse naturali. Dieci capitalisti hanno la stessa ricchezza di miliardi di persone. Cosa c’è di più attuale del comunismo?

Perché avete deciso di correre da soli invece di allearvi con forze ideologicamente vicine come Potere al Popolo?

Perchè la prospettiva di costruire una sinistra post-comunista non è la nostra, ma quella di Occhetto. Ci sono molti più punti di differenza di quanto si pensi. Noi vogliamo abbattere il capitalismo, loro propongono dei correttivi, anche radicali, ma non mettono in discussione il sistema. Noi diciamo chiaramente che vogliamo l’uscita dall’Unione Europea, loro parlano di revisione dei trattati che non significa nulla. Potrei andare avanti sul reddito di cittadinanza a cui noi rispondiamo con politiche di piena occupazione ed esproprio delle aziende. E’ un’operazione elettoralistica che ha alle spalle De Magristris, lo stesso che da sindaco attacca gli scioperi dei lavoratori e chiede tolleranza zero. Avevamo avanzato la proposta di una lista di unità comunista, sono state fatte altre scelte e noi non vogliamo seguire la strada dell’Arcobaleno e della lista Tsipras.

Il vostro programma mette al centro il lavoro. Nel concreto, voi proponete un salario minimo extracategoriale di dieci euro l’ora fino ad arrivare alla promessa di un’occupazione piena e stabile per tutti. Come pensate di raggiungere questo obiettivo?

Abbiamo indicato un programma di lotta e non di promesse che parte da una visione di fondo: la costruzione di un’Italia socialista. Abbiamo detto chiaramente che le nostre proposte non sono realizzabili nel contesto della permanenza dell’Italia in un contesto economico capitalistico, nei vincoli europei. In un sistema in cui tutte le risorse sono finalizzate a rientrare sul debito pubblico finendo per pagare solo gli interessi alle banche, non ci sono soldi per i lavoratori e i diritti sociali. L’Italia è un paese ricco, i soldi ci sono, è solo una questione di scelte politiche strategiche. La nostra visione è quella di un’economia pianificata gestita dalla collettività nell’interesse dei lavoratori.

Parlando di fiscalità, il vostro obiettivo è di applicare il criterio di progressività delle imposte a tutti e di imporre un web tax al 20 percento. Non pensate che in questo modo si disincentivino le grandi aziende a investire nel nostro paese?  

La semplificazione fiscale è necessaria, come è necessario ridurre le tasse sui redditi da lavoro. La flat tax avvantaggia solo i più ricchi e quindi danneggia i lavoratori. La web tax, insieme all’incremento della tassazione sui profitti finanziari e sui grandi patrimoni, è una misura di equità sociale. Non solo i lavoratori, ma anche i piccoli imprenditori e i commercianti dovrebbero indignarsi per il fatto che a loro sono richieste tasse elevatissime mentre i grandi gruppi internazionali non pagano nulla. Il governo ha approvato una web tax al 3% che è una presa in giro, il risultato è che Amazon cannibalizza la distribuzione facendo chiudere migliaia di negozi, perdendo decine di migliaia di posti di lavoro, pagando meno tasse di un suo lavoratore a cui vorrebbe imporre pure il braccialetto elettronico. Se le grandi aziende vogliono avere accesso a un paese importante come l’Italia devono rispettare le regole che decidiamo, altrimenti ciao.

A proposito di politica internazionale, invece, voi mantenete una posizione chiara fin dal principio: fuori dalla NATO e fuori dall’Unione Europea. Quali sono le motivazioni di questa scelta? Pensate a un referendum popolare per legittimarla? 

I comunisti sono stati gli unici nel 1957 a votare contro l’ingresso nel mercato comune europeo. Fa male vedere che oggi l’opposizione alla UE sia considerata tema di destra. Siamo gli unici a dire chiaramente che vogliamo l’uscita dall’Unione Europea. Non servono referendum come quelli di Tsipras ma scelte politiche, che faremo quando la maggioranza della classe lavoratrice italiana sarà sulle nostre posizioni. Non bisogna però ragionare su un’uscita dalla UE o peggio solo dall’Euro mantenendo un sistema capitalistico. Le stime sulla perdita di valore riguardano ragionamenti che perderebbero di ogni importanza con la nostra scelta. Sono discorsi da fare alla Lega e ai Cinque Stelle, non a noi. Abbiamo detto chiaramente che non siamo interessati a ragionare di una semplice uscita dall’Euro senza una prospettiva socialista. La nostra non è una proposta di ritorno al prima, ammesso che sia possibile, ma di costruzione di una nuova società che è incompatibile con la permanenza dell’Italia nell’Unione Europea e in un sistema che delega la propria moneta a livello internazionale.

Parliamo ora di istruzione.  Nel vostro programma voi proponete di ‘’applicare il principio di gratuità dell’istruzione alle scuole di ogni ordine e grado’’. In cosa la vostra proposta si differenzia da quella di Grasso? Con quali coperture pensate di portare avanti questo progetto? Che ne sarà di scuole private e paritarie?

Prima di tutto viene un po’ da ridere che gli artefici dell’autonomia scolastica e della privatizzazione della scuola, oggi vengano a parlare di gratuità dell’istruzione. Quando si sente profumo di opposizione diventano tutti rivoluzionari. Anche qui la questione è l’obiettivo finale. Noi vogliamo una società come quella cubana dove l’istruzione è assicurata a tutti, gratuita, di qualità e per ogni ordine e grado. Dire che si cancellano le tasse universitarie in un paese capitalista dove permane una  divisione di classe e differenza di ricchezza vuol dire cancellarle indistintamente anche a chi può permettersi di pagarle. In un’ottica di programma minimo sarebbe preferibile puntare alla gratuità di alcune fasce, a incrementare le borse di studio e così via. Anche qui le coperture ci sarebbero. Basterebbe rinunciare a parte delle spese militari. L’idea di un’istruzione privata è fuori dalla nostra ottica di società, di certo dovrebbe essere fuori dal finanziamento pubblico.

 

Come mai l’ambiente non occupa uno spazio proprio all’interno del vostro programma? Come pensate di far conciliare questo aspetto con la creazione di nuovi posti di lavoro?

Il programma che abbiamo scelto di presentare riguarda pochi punti assolutamente essenziali e abbiamo deciso di inserire le questioni ambientali in stretta connessione con lavoro e le prospettive di sviluppo strategico del Paese. Nel caso dell’ILVA, per esempio, la situazione è più semplice di quanto si pensi. Una gestione privata ha utilizzato il danno ambientale sistematico come strumento per la riduzione dei costi di produzione e per mantenere il suo prodotto competitivo in un mercato internazionale globale. Basterebbe adeguare gli impianti e coprire i parchi minerari per risolvere la maggioranza dei problemi. Nel capitalismo lavoro e ambiente sono in conflitto a causa dei profitti privati. In un’economia socialista ciò accadrebbe in modo minore, e la tecnologia oggi consente di ridurre l’impatto ambientale senza compromettere lavoro e produzione di beni necessari.

 

Il 5 marzo il Partito Comunista riesce a superare la soglia di sbarramento e ad entrare in parlamento. Ci sono, all’interno del parlamento, forze politiche con le quali aprireste un dialogo?

Mi verrebbe da dire con Marx che l’umanità non si pone che i problemi per i quali esistano già gli elementi di soluzione. Uno scenario del genere mi sembra alquanto lontano e impossibile oggi. In ogni caso le alleanze si fanno quando c’è reale comunanza di vedute sugli obiettivi. Noi vogliamo fare alleanze sociali, costruire intorno ad un fronte compatto di lavoratori convergenze con piccoli commercianti, piccoli imprenditori schiacciati dalle grandi multinazionali. La sinistra è stata distrutta da alleanze politiche che hanno sacrificato alla governabilità i programmi politici. Se una forza politica assumesse come orizzonte la costruzione di un’Italia socialista, l’uscita dalla UE e dalla Nato saremmo pronti a discuterne. Ma all’infuori dei comunisti questa forza politica non c’è e non ci sarà. Non esistono margini per incidere in governi che non vogliono rompere con un sistema che fa decidere le scelte strategiche altrove. Altro è discutere su singoli provvedimenti. Se fossero davvero favorevoli agli interessi dei lavoratori non avremmo problemi a sostenerli. Ma l’esperienza di questi anni ci dice che anche questa ipotesi è assai improbabile. Chi vota comunista sa di votare un gruppo che se entrerà dentro il Parlamento lotterà per gli interessi dei lavoratori, come già sta facendo all’esterno. Questo è il nostro programma.

 

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