Pechino ospita il continente africano

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Stephen Walli, Wikimedia Commons, CC-BY-SA 2.0

Si è appena concluso a Pechino il settimo Forum sulla Cooperazione tra Africa e Cina (FOCAC), ormai appuntamento triennale costate dall’inizio del XXI secolo. Questo è il terzo forum ospitato dalla Cina, il primo ospitato da Xi Jinping. Negli ultimi anni il Presidente della Repubblica Popolare di Cina e Segretario Generale del Partito Comunista Cinese ha spinto fortemente verso una maggiore presenza cinese in Africa. Il continente africano infatti è un grande bacino di risorse naturali (tra cui il colthan, il petrolio, uranio, oro e diamanti), nonchè un importante snodo tra l’Europa e il Medioreinte. E’ quindi indubbio che ci siano molteplici interessi che attraggono da sempre Pechino verso questo continente.

Dall’altra parte, invece, l’Africa ha trovato degli importanti punti di connessione con il paese asiatico grazie alla lotta contro la decolonizzazione europea durante gli anni ’50, ’50 e ’70. La guerra civile vinta nel 1949 dai comunisti in Cina è stata uno spiraglio ideologico da cui anche diversi movimenti africani, che durante la seconda metà dello scorso secolo hanno combattutto guerre civili sanguinose, hanno preso spunto. La Conferenza di Bandung del 1955 ha inoltre dato una possibilità al così detto “terzomondismo” di emergere come corrente politico-idologica, che trovava il suo assunto principale nella frase “nè con l’Occidente nè con l’URSS”. E’ possibile quindi collocare tra il 1950 e il 1978 la prima fase delle relazioni sino-africane, basata soprattutto sul collegamento ideologico di contrapposizione al colonialismo.

La seconda fase è stata determinata dal radicale cambiamento portato da Deng Xiaoping in Cina subito dopo la morte di Mao Zedong, nel 1976. L’ideologia maoista perse la sua centralità alla fine degli anni ’70, laciando spazio alla necessità di un’apertura economica maggiore verso l’esterno e, quindi, anche una modifica delle relazioni internazionali e con il continente africano. Parallelamente, alcuni degli stati africani stavano guadagnando l’indipendenza durande la metà degli anni ’70 (tra cui il Mozambico e l’Angola, entrambe aiutate ampiamente dai maoisti) e una nuova, seppur esitante e fragile, stabilità stava cambiando il DNA di alcuni stati africani. Durante gli anni ’80 questo secondo approccio spostò l’accento sulla cooperazione economica.

Il terzo approccio delle relazioni sino-africane, iniziato alla fine degli anni ’90, è ancora in atto e l’ultimo capitolo è stato proprio il FOCAC di inizio settembre 2018. Lo sviluppo economico cinese ha permesso a Pechino di giocare un ruolo predominante nelle relazioni bilaterali con i paesi africani. Inoltre, la retorica della decolonizzazione, dell’anti-imperialismo, della cooperazione economica hanno permesso alla Cina di oggi di gudagnare “rispetto” da parte dei governi africani. Gli investimenti annunciati negli ultimi anni si concentrano maggiormente sulle infrastrutture, soprattutto perché la fragilità economica di moltissimi paesi africani non permette loro di investire in maniera importante in questo settore. Un secondo, importante, elemento che sta sempre di più dando forma alla nuova relazione sino-africana è l’annullamento dei debiti africani nei confronti della Cina.

Infatti, i prestiti concessi dal governo cinese ai governi africani sono sempre stati molto superiori rispetto alla possibilità di ripagare il debito. Questo ha portato diversi analisti, economisti e politologi, a parlare di diplomazia della “trappola del debito” o, in maniera meno velata, di “neocolonialismo”. Queste accuse sono però state sempre smentite sia dagli ufficiali cinesi sia dai leader del Politburo Permanente. Proprio Xi Jinping ha annunciato nel settimo FOCAC che il futuro della cooperazione sino-africana si dovrà reggere su otto pilastri:

  1. promozione dell’industria,
  2. connessione infrastrutturale,
  3. facilitazioni commerciali,
  4. sviluppo ecosostenibile,
  5. crescita di know-how,
  6. sanità,
  7. scambi culturali tra popoli,
  8. pace e sicurezza.

Questi otto punti fondamentali sono stati già affermati tre anni fa durante il sesto FOCAC.

La Cina ha inoltre rivendicato la capacità di dare una nuova centralità all’Africa agli occhi della comunità internazionale. I media cinesi hanno affermato negli ultimi giorni che “il forte sviluppo della cooperazione sino-africana ha ispirato partner internazionali a prestare un’attezione maggiore al continente africano e ha dato loro la voglia di investire e sviluppare progetti di cooperazione con l’Africa”. In questa retorica quindi si può scorgere come Pechino stia utilizzando questi Forum triennali anche per rivendicare i propri progressi individuali in campo internazionale e di come, sempre di più, il suo peso specifico cresca.

La strategia di Xi Jinping verso l’Africa è sicuramente di difficile comprensione. La sua capacità di inserire nel discorso di apertura del FOCAC di Pechino gli elementi fondamentali del movimento dei non-allineati e della cooperazione economica tra Africa e Cina riesce a dare continuità alla leadership cinese dal 1949 ad oggi, dando però anche degli elementi di direzione importanti per il futuro. Ciò è stato evidenziato quando Xi ha elencato cosa la Cina non intende fare in Africa:

“[N]o interference in African countries’ pursuit of development paths that fit their national conditions; no interference in African countries’ internal affairs; no imposition of our will on African countries; no attachment of political strings to assistance to Africa; and no seeking of selfish political gains in investment and financing cooperation with Africa”.

Il risultato raggiunto è quello di unire la politica estera che Zhou Enlai aveva messo a punto durante l’era maoista e la politica estera incentrata sulla cooperazione economica dell’era denghista.

Per finire, la Belt and Road Initiative (BRI), ovvero il grande progetto infrastrutturale che Pechino ha lanciato cinque anni fa ad Astana, Kazahkstan, è sempre stato riconosciuto e sostenuto dai governi africani. L’agenda 2063 dell’Unione Africana riconosce a pieno la BRI, e i governi africani hanno sempre mostrato la volontà di accogliere gli investimenti cinesi nel proprio paese. La politica estera cinese nei confronti del continente africano è ancora molto nebbiosa, con delle decisioni e degli investimenti poco chiari. Questa complessità ha creato scetticismo sia all’interno dell’Unione Europea, sia a Washington. Entrambe le sponde dell’Atlantico, però, non hanno avuto la capacità di contrastare le azioni cinesi in Africa, nè di cooperare con Pechino per lo sviluppo del continente africano. 

 

Fonti e Approfondimenti:

https://thediplomat.com/2018/09/focac-2018-rebranding-china-in-africa/

https://www.focac.org/eng/

Forum Cina-Africa: cosa è cambiato in 18 anni?

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