Macedonia, non solo un nome

La disputa sul nome “Macedonia” ha radici lontanissime e ha causato uno stallo politico lungo più di un ventennio. Grecia e FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia) si contendono un nome che è identità, storia, cultura. Il 30 settembre si è svolto uno storico referendum che doveva finalmente porre fine al contenzioso e sbloccare l’ingresso della nuova “Macedonia del Nord” nell’arena euro-atlantica. Purtroppo il voto non si è rivelato corrispondente alle aspettative del governo e della comunità internazionale.

La disputa

La disputa sul nome “Macedonia” nasce ufficialmente nel 1991, anno dell’indipendenza della Macedonia dalla Repubblica socialista federale di Jugoslavia fondata dal Maresciallo Tito nel 1945. Il motivo per cui la Grecia si è opposta fin dall’inizio all’utilizzo del nome “Macedonia” da parte della piccola Repubblica risiede nel fatto che esso indica una regione a nord della Grecia e richiama culturalmente il mito ellenico di Alessandro Magno, elemento essenziale del proprio corredo culturale. Utilizzando lo stesso nome, la Grecia sosteneva che la Macedonia volesse avanzare pretese territoriali sull’omonima regione e appropriarsi di parte della propria eredità culturale.

Una soluzione provvisoria, adottata dalle parti nel 1995 con la firma di un Accordo ad Interim, fu formulata per consentire al nuovo Stato di aderire alle organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite. Su proposta di Spagna, Francia e Gran Bretagna (allora membri europei del Consiglio di Sicurezza ONU), la Macedonia assunse il nome “Former Yugoslav Republic of Macedonia” (FYROM). Da allora Grecia e FYROM hanno firmato diversi accordi bilaterali, come il Protocol of Border Co-operation nel 1998, e oltre 120 paesi hanno riconosciuto la Macedonia sotto la sua denominazione ufficiale. Con questo accordo, la Grecia si impegnava a non bloccare l’ingresso della FYROM nelle organizzazioni internazionali fino a quando avesse utilizzato tale terminologia.

Nel 2005, il Consiglio Europeo ha garantito lo status di candidato alla Macedonia e si sono iniziate ad avanzare nuove proposte riguardo alla denominazione definitiva dello Stato. L’ipotesi “Repubblica di Macedonia-Skopje” è stata rifiutata dalla Grecia, nonostante sia stata ritenuta un buon punto di partenza per future negoziazioni.

Negli ultimi 10 anni, le tensioni tra i due Paesi sono state particolarmente alte, dovute in particolare all’utilizzo, in sedi istituzionali quali l’Assemblea Generale ONU, del nome Macedonia per riferirsi all’ex repubblica jugoslava, all’intitolazione dell’aeroporto di Skopje e di un tratto di autostrada in onore di Alessandro Magno oppure all’erezione di una statua di Alessandro Magno e Filippo il Macedone nella capitale Skopje.

La Grecia, da parte sua, ha continuato ad opporsi all’ingresso della Macedonia nell’Unione Europea (nonostante i report positivi della Commissione) e nella NATO, di fatto limitando molto il futuro del Paese. Inoltre, dall’inizio formale della disputa, le proteste popolari furono regolari da entrambe le parti del confine, assumendo forti accenti nazionalisti e identitari. Nonostante tutto, grazie agli sforzi di mediazione delle Nazioni Unite, sono stati organizzati incontri regolari tra i rappresentanti di entrambi gli Stati.

Tuttavia, nel 2011, la Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato la Grecia colpevole di aver violato l’Accordo ad Interim del 1995, bloccando l’ingresso della Macedonia nella NATO e nell’UE. La Corte però non obbligava la Grecia a rimuovere il proprio veto, ma reiterava la necessità di trovare una soluzione alla disputa sul nome attraverso le negoziazioni guidate dall’ONU. Le forti proteste contro un accordo, però, impedivano ai due governi di procedere in maniera decisa verso la risoluzione della disputa. In particolare, il governo greco vedeva con preoccupazione gli effetti sulla propria politica interna di un eventuale accordo con Skopje, dato che SYRIZA governa insieme ad ANEL, un partito dichiaratamente nazionalista.

Il vero punto di svolta è stata l’elezione nel 2017 del nuovo primo ministro di centro-sinistra in Macedonia, Zoran Zaev, esponente del partito social-democratico. A differenza del proprio predecessore Nikola Gruevski, del partito conservatore e nazionalista VMRO-DPMNE, Zaev si è mostrato da subito più determinato nel voler risolvere la disputa con la Grecia, per portare il Paese verso l’ingresso nella compagine euro-atlantica.

Il primo gesto di distensione fu la nuova intitolazione dell’aeroporto della capitale, sostituendo “Alessandro Magno” con “Skopje International Airport”, e del tratto di autostrada che collega il Paese alla Grecia in “Amicizia”, come segno di buon auspicio nei confronti del proprio vicino greco. Nonostante questi segni di distensione possano essere stati percepiti positivamente dalla comunità internazionale e in particolare dall’Unione Europea, il governo macedone ha dovuto affrontare forti proteste interne, organizzate in particolare dai movimenti nazionalisti che continuavano a rivendicare la legittimità del nome Macedonia.

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Tsipras e Zaev (Fonte: Wikipedia Commons).

Le proteste non hanno però impedito ai Ministri degli Esteri greco e macedone di continuare il processo di negoziazione, che ha portato, il 17 giugno 2018, alla firma di un accordo storico presso la regione di confine del Lago Prespa. Le due delegazioni hanno simbolicamente firmato l’accordo nel lato greco della regione, per poi celebrare con un pranzo ufficiale nel lato macedone. Secondo l’accordo, la Macedonia avrebbe assunto il nome “Macedonia del Nord”, in cambio del via libera da parte della Grecia all’adesione alla NATO e all’UE. L’accordo è stato accolto molto positivamente dalla comunità internazionale, ma ha incontrato fortissime resistenze interne ai due Stati con lo scoppio di nuove proteste. Nonostante le forti tensioni e l’opposizione del Presidente Gjorge Ivanov (esponente del partito VMRO-DPMNE) che ha dichiarato l’accordo incostituzionale, il documento ha superato il doppio voto parlamentare richiesto dalla Costituzione macedone e si è quindi avviato verso la ratifica finale.

Gli effetti della risoluzione della disputa non si sono fatti attendere. Infatti, il 26 giugno il Consiglio Europeo si è espresso favorevolmente e ha fissato l’apertura ufficiale dei negoziati per l’adesione all’UE della Macedonia (insieme all’Albania) per il 2019, mentre il 12 luglio, a seguito del Consiglio della NATO, Skopje ha ricevuto l’invito ad aderire all’Alleanza Atlantica.

Il referendum

Perché l’accordo firmato il 17 giugno diventi effettivo, andando a modificare alcuni articoli della propria Costituzione, la Macedonia ha dovuto indire un referendum tenutosi lo scorso 30 settembre. È molto interessante notare che il quesito referendario non si sia concentrato sulla disputa, ma sul futuro indirizzo del Paese. I votanti sono stati infatti chiamati a rispondere alla seguente domanda: “Sei favorevole all’adesione all’Unione Europea e alla NATO accettando l’accordo tra Macedonia e Grecia?”. Tale scelta deriva dallo sforzo di spostare l’attenzione dall’identità nazionale alle opportunità future offerte dall’accordo con la Grecia, per evitare polarizzazioni.

Il premier Zaev, grande sostenitore e artefice dell’accordo, ha “personalizzato” il referendum, dichiarando prima del voto che in caso di esito negativo avrebbe rassegnato le dimissioni. A suo sostegno si è schierata la popolazione albanese, mentre i suoi oppositori hanno scelto di boicottare il referendum, quindi una delle sfide principali per il primo ministro era prima di tutto il raggiungimento del quorum minimo fissato al 50% + 1. Sul fronte internazionale, Zaev ha ricevuto il forte sostegno da parte dei leader europei quali Merkel e Kurtz, oltre che degli Stati Uniti, dei vertici dell’Unione Europea e della NATO. Il referendum, però, non sarebbe stato sufficiente a garantire l’entrata in vigore dell’accordo. Alla Grecia, infatti, era richiesto un voto parlamentare di ratifica, in una condizione per cui le proteste contro l’accordo sono state molto numerose e il Parlamento appare ancora diviso sulla questione.

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Manifesto del sì al referendum (Fonte: Wikipedia Commons).

Nelle prime ore dall’apertura delle urne, l’affluenza è stata piuttosto bassa, arrivando solo al 16% alle ore 13. Una grande sorpresa è stata la bassa partecipazione della popolazione albanese, fortemente al di sotto delle aspettative. Le votazioni si sono svolte in modo regolare, con piccoli incidenti isolati. Gli osservatori internazionali hanno però segnalato un’intensa attività online da parte di “bots” che avrebbero rinforzato la narrativa del boicottaggio.

Il premier Zaev si è recato alle urne con la famiglia, invitando gli aventi diritto al voto a prendere parte ad un momento storico per il futuro del Paese, mentre il leader dell’opposizione, Hristijan Mickoski, ha deciso di non andare a votare, perché contrario al cambio del nome e ad un accordo che avrebbe “umiliato la Macedonia”. Inoltre, il partito di Mickoski puntava sul fallimento del referendum per far cadere il governo e tornare presto a elezioni, in modo tale da rimediare alla sconfitta elettorale del 2017.

Alla chiusura delle urne, l’affluenza ha raggiunto il 36%, ben al di sotto del quorum richiesto, eppure tutti si dichiarano vincitori. Il primo ministro Zaev, infatti, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha dichiarato che il referendum si è svolto in modo regolare, democratico e libero e che è stato un primo passo verso il futuro europeo della Macedonia. Ha inoltre aggiunto, in un primo momento, che in caso di esito negativo, si tornerà a nuove elezioni politiche.

A conteggio dei voti concluso, il premier ha ribadito che il segnale verso l’UE e la NATO è stato molto forte e che si procederà al voto in parlamento, perché “non esiste accordo migliore di questo”. Purtroppo, la maggioranza richiesta perché si possa procedere all’emendamento della costituzione è dei 2/3 e il fatto che non si sia raggiunto il quorum renderà molto difficile alla maggioranza convincere i nove parlamentari ancora mancanti affinché il voto vada a buon fine. Se il voto parlamentare fallirà, verranno convocate elezioni anticipate il prossimo novembre.

L’opposizione ha invece interpretato questo risultato come un forte segnale contro l’accordo e contro il governo e quindi come una propria vittoria politica. È inoltre da notare che l’opposizione si è schierata contro il referendum non perché contrari all’ingresso nella NATO e nell’UE, ma per motivi di pura coerenza ideologica, in nome della difesa “degli interessi nazionali”. Nel frattempo, in Grecia, si sono svolte nuove proteste, nonostante il governo greco abbia dichiarato che continuerà a sostenere l’accordo firmato lo scorso giugno.

In Europa, il Commissario europeo per l’allargamento, Johannes Hahn, e il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, si sono congratulati con coloro che si sono espressi a favore dell’accordo e hanno auspicato che i leader politici macedoni riconoscano questo voto e si impegnino a tradurlo in azioni concrete.

Quale futuro?

La posta in gioco in un referendum così denso di significato non poteva che essere molto alta. Dal risultato dipendeva non solo il futuro del Paese, tradotto nel processo di piena integrazione europea e nell’ingresso ufficiale nell’Alleanza atlantica, ma anche la stabilità stessa del governo di Skopje. A ciò, si aggiungevano forti aspettative a livello internazionale sugli effetti che un esito positivo poteva avere sull’intera regione sudorientale europea. Infatti, una definitiva risoluzione della disputa tra Macedonia e Grecia poteva significare esercitare nuove pressioni su un’altra contesa che da una decade interessa altri due Paesi balcanici, ovvero la rinomata questione del riconoscimento del Kosovo da parte della Serbia. Fin dalla firma dell’accordo, infatti, i vertici europei, guidati dall’Alto rappresentante Mogherini, sono tornati a sollecitare i leader dei due Paesi attraverso nuovi tavoli di negoziazione, in parte dando nuovo impeto a una discussione da tempo in stallo.

L’esito deludente del referendum pone nuovi interrogativi che coinvolgono non solo il futuro della Macedonia, ma dell’intera regione. Quanto sarà lunga ancora la strada verso l’Unione Europea? Quali saranno gli attori che effettivamente rimpiazzeranno il modello europeo? La Russia e la Turchia riusciranno a sfruttare l’ondata nazionalista che ha fatto fallire il referendum per allargare la propria area di influenza? Riuscirà l’Unione Europea a trovare nuove formule per proseguire il processo di integrazione?

Si potrebbe quindi concludere che non si è trattato solo di un voto su un semplice nome, ma sull’identità di un popolo, sul significato di Europa e sulle incertezze di un Paese che fatica a muoversi dal proprio passato.

Fonti e Approfondimenti

Balkan Insight, “Timeline: The Path to Macedonia’s ‘Name’ Deal“, 29/09/2018.

Balkan Insight, “Macedonia Name Dispute“.

Bieber, Florien, “Name Dropping in the Balkans“, Foreign Affairs, 15/06/2018.

Celeghini, Riccardo, “MACEDONIA: Accordo con la Grecia, al via la campagna referendaria“, EastJournal, 12/07/2018.

Celeghini, Riccardo, “MACEDONIA: Questione del nome con la Grecia: siamo vicini ad una svolta?“, EastJournal, 12/02/2018.

Corradi, Edoardo, “MACEDONIA: Domenica si vota al referendum sul nome, un’occasione storica“, EastJournal, 24/09/2018.

Fruscione, Giorgio, “MACEDONIA: Dopo il fallimento del referendum, il paese verso elezioni anticipate“, EastJournal, 01/10/2018.

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