La strategia cinese nell’Oceano Indiano: il Filo di Perle

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Alfred T. Mahan nel 1890 descrisse l’importanza dei mari all’interno dello scacchiere mondiale. Dopo più di cento anni le sue teorie sono ancora alla base del dibattito riguardo l’importanza delle vie di comunicazione, commercio marittimo. In un mondo apparentemente guidato da un solo leader, gli Stati Uniti d’America, è importante capire le mosse degli Stati che gli si contrappongono. La Cina è sicuramente uno degli Stati che aspirano ad avere un ruolo almeno paritario all’interno delle relazioni internazionali con gli Stati Uniti.

Nel 2005 fu definito da Booz Allen Hamilton “Filo di Perle” la strategia marittima cinese nella regione dell’Oceano Indiano. La forza militare che il colosso asiatico ha sviluppato nell’ultimo decennio ha visto infatti un notevole ingrandimento della propria flotta e questo è un segnale di come i piani di Pechino stiano cambiando. La necessità di assicurarsi le isole del Mare del sud cinese, secondo la ricerca americana, sarebbe il punto fondamentale di tutto il progetto. L’isola cinese di Hainan è infatti il punto di partenza di una via marittima che collegherebbe la Cina in Medioriente con il Pakistan e al Gibuti nel Corno d’Africa.

La strategia che la Cina starebbe mettendo in atto da più di dieci anni sarebbe quindi quella di investire in infrastrutture civili come porti, oleodotti, strade, gasdotti all’interno di Paesi alleati che garantirebbero in questo modo due elementi: sicurezza e basi alleate all’interno dell’Oceano Indiano. La sicurezza è un fattore cruciale per comprendere questa strategia perché dal 1993 la Cina è diventata importatrice netta di petrolio (ovvero la domanda di petrolio all’interno della Cina è maggiore dell’offerta) e l’importo di petrolio viene effettuato sia attraverso terra che attraverso mare. Questa ultima opzione è ovviamente applicata con Paesi africani e mediorientali ma la via commerciale è immersa all’interno di una delle zone con la più alta concentrazione di sabotaggi, rapimenti e violenze da parte dei pirati. Quindi avere alleati con cui assicurarsi la sicurezza in acque nemiche diventa fondamentale. Le basi alleate però hanno anche la funzione di permettere alle navi cinesi di avere una passaggio facile e veloce attraverso tre degli stretti più ricchi e pericolosi del mondo, stretto di Bab al Mandeb (tra Yemen e Gibuti), stretto di Aden (tra Iran e Oman) e stretto di Malacca (tra Indonesia e Malesia).

Le basi di appoggio della Cina, ovvero le perle del filo cinese, possono essere individuate in almeno cinque Paesi differenti:

  • Il porto di Kyaukpyu in Myanmar. Il consorzio CITIC, di proprietà del governo cinese, ha vinto l’appalto in questa piccola città che si trova nel Rakhine, regione dove sono perseguitati i Royhnga. La città di Kyaukpyu è importante perché gode dello status di Zona Economica Speciale (ZES) che quindi ha una regolamentazione diversa,  incentrata allo sviluppo economico. Il progetto ha visto quindi la realizzazione del porto e di un oleodotto che collega Kyaukpyu alla provincia cinese dello Yunnan. In questo modo la Cina potrebbe anche evitare il passaggio attraverso lo stretto di Malacca e attraverso le isole Spratly, risparmiando circa 5.000 km.
  • Il porto di Chittagong in Bangladesh. Gli investimenti cinesi qui sono stati ingenti inserendosi nello sviluppo del più grande porto del Bangladesh (più del 90% del commercio estero nel Paese passa attraverso Chittagong). Questo però è stato un duro colpo inflitto da parte cinese ai rivali indiani. Infatti, il Bangladesh essendo un enclave all’interno dell’India, la Cina è riuscita a penetrare oltre il confine indiano attraverso lo strumento economico. Gli investimenti sono diminuiti dopo le grandissime pressioni che l’India e gli Stati Uniti hanno esercitato sul governo di Dhaka. In questo modo l’ampliamento del porto di Chittagong non è stato finito, nonostante le previsioni di ampliamento di quantità di beni che percorreranno il porto da oggi al 2045.
  • Il porto di Colombo in Sri Lanka. Anche questa è una “perla” che ha provocato molte tensioni tra i due colossi asiatici proprio perché a ridosso della costa indiana. I rapporti tra l’ex presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, e la Cina erano molto stretti e si basavano su una politica di “do ut des“, ovvero aiuto economico da parte cinese in cambio di una via preferenziale sul transito, lo stazionamento e l’utilizzo del porto di Colombo. Rajapaksa ha perso le ultime elezioni anche perché coinvolto in uno scandalo di tangenti che lo ha visto protagonista. Proprio la CHEC (una delle aziende statali cinese all’interno del consorzio CITIC) sembra aver dato soldi in maniera illegale all’ex presidente per potersi assicurare la vittoria e quindi una continuazione delle relazioni molto distese tra i due Paesi.
  • Il porto di Gwadar in Pakistan. Forse il più grande colpo della Cina all’interno di questa strategia, assicurandosi l’amicizia del governo di Islamabad, il quale è il nemico numero uno dell’India. Il progetto a Gwadar è molto ambizioso perché non si tratta, come negli altri casi, di uno sviluppo di un’area. In questo caso la Cina vorrebbe creare un vero e proprio passaggio dal proprio territorio fino all’Oceano Indiano in modo tale da non dover essere preda di possibili situazioni di instabilità nelle zone del Golfo del Bengala o nello Stretto di Malacca, oltre al fatto che taglierebbe fuori da qualsiasi tipo di dialogo l’India. Il porto di Gwadar è molto vicino allo Stretto dell’Aden e questo ridurrebbe drasticamente la percentuale di possibilità di scontrarsi con i pirati nella zona del Golfo. Inoltre il nome del progetto “Corridoio Economico tra Cina e Pakistan” (CECP) prevede un investimento di circa $54 miliardi tra tutte le strutture civili (compresi oleodotti e gasdotti).
  • Il porto di Obock in Gibuti. L’ultima perla è proprio Gibuti, nel Corno d’Africa in questo piccolo Stato che confina con uno dei Paesi più instabili del mondo, la Somalia. Le motivazioni degli investimenti cinesi in Africa sono molti ma in questo caso la questione geografica sembra essere la più accreditata per giustificare lo sforzo economico. Questa posizione permette da una parte un controllo maggiore sul terzo degli stretti che abbiamo citato sopra (Bab al Mandeb ha un flusso di circa 3.8 milioni di barili di petrolio al giorno), all’altra parte invece il Gibuti è uno dei Paesi più stabili all’interno del continente africano e un facile avamposto per approdare nel sud della penisola del Golfo. Inoltre gli ingenti investimenti cinesi hanno iniziato ad aprire una grande questione tra gli studiosi, ovvero il rapporto che la Francia (cha ha una grande base militare all’interno del Paese) e la Cina avranno nei prossimi anni.

Il filo di perle è diventato quindi un elemento di grande preoccupazione per Stati come l’India o per gli stessi Stati Uniti per diversi motivi. La Cina sta sicuramente utilizzando tutti i mezzi possibili per poter mantenere il proprio status quo all’interno della sua area e, in maniera indiretta, guadagnare sempre di più consenso tra gli Stati e incrementare il proprio benessere economico in modo da poter fronteggiare gli Stati Uniti all’interno di una competizione che sempre di più si va a svolgere attraverso il soft power. 

Il progetto cinese ha una portata enorme, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista strategico. Sembra sempre più evidente che dietro il Filo di Perle si stia celando la politica del “il nemico del mio nemico è mio amico“, di cui il Pakistan è il più grande esempio. Il disegno cinese sembra avere lo stesso obiettivo di un serpente che avvolge la sua preda in una morsa senza possibilità di fuga. Nonostante questo però è da sottolineare come il governo cinese rigetti tutte le accuse che sia gli USA sia l’India hanno sempre indirizzato a Pechino. Qing Liu nel 2010 ha affermato che la tesi della “strategia del filo di perle” è stata rinominata in Cina come la “teoria della minaccia cinese”, ovvero una descrizione ideologica della Cina come minaccia, che riflette le paure delle potenze in carica (ovvero il mondo Occidentale e nello specifico gli USA) di fronte all’ascesa economica e politica della stessa Cina.

Fonti e Approfondimenti:

Simone Dossi – Rotte cinesi: Teatri marittimi e dottrina militare, Milano, Università Bocconi Editore, 2014

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https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2015-04-08/chinas-port-nowhere

http://thediplomat.com/2015/10/where-is-the-string-of-pearls-in-2015/

http://thediplomat.com/2013/02/gwadar-and-the-string-of-pearls/

http://securityobserver.org/gwadar-port-the-latest-of-the-chinese-pearls/

http://thediplomat.com/2015/07/chinas-sri-lankan-port-ambitions-persist/

http://www.china-briefing.com/news/2009/03/18/china’s-string-of-pearls-strategy.html

http://thediplomat.com/2016/01/chinese-company-wins-contract-for-deep-sea-port-in-myanmar/

https://digital.lib.washington.edu/researchworks/bitstream/handle/1773/33536/Kahandawaarachchi_washington_0250O_14820.pdf?sequence=1

http://www.joc.com/port-news/asian-ports/geopolitical-wrangling-impedes-development-modern-bangladesh-ports_20161019.html

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