Il personaggio dell’anno Europa: Theresa May

Press conference by Jean-Claude JUNCKER, EC President and by Theresa MAY, British Prime Minister following their meeting: opening remarks by Theresa MAY, British Prime Minister. European Union 2019 https://multimedia.europarl.europa.eu/en/press-conference-by-jean-claude-juncker-ec-president-and-by-theresa-may-british-prime-minister-follo_20190312_EP-086194A_DLL_087_p#ssh

Dopo il primo round di votazioni per il personaggio dell’anno 2018, Theresa May ha strappato una vittoria sofferta contro Matteo Salvini ed è passata al secondo turno. Prima donna presidente del partito conservatore britannico e seconda donna a diventare Primo Ministro dopo Margaret Thatcher, il suo nome è senz’altro noto a chiunque abbia seguito le vicende della Brexit.

La vittoria del Leave al referendum del 2016 ha portato alle dimissioni immediate di David Cameron da Primo Ministro e leader del partito conservatore. Nella gara per la successione che ne è scaturita, Theresa May ha sbaragliato gli avversari Micheael Gove (attuale Segretario per l’ambiente) e Andrea Leadsom (capo della Camera dei Comuni), diventando leader dei Tories con 199 voti e quindi Primo Ministro.

May si è ritrovata in una posizione politica peculiare. Segretario agli interni dal 2010 al 2016, era una ferma sostenitrice del Remain; una volta diventata Premier, tuttavia, ha assunto il mandato di onorare il risultato del referendum, rappresentando gli interessi del Paese nei negoziati con l’Unione per ottenere “il miglior accordo possibile”.

Il percorso per lei si è rivelato più difficile del previsto. Non solo i 27 Stati membri, contro ogni aspettativa, sono riusciti a trovare e mantenere una posizione negoziale solida e unitaria, soprattutto sulla questione irlandese; sul fronte interno, le divisioni politiche create dal referendum si sono inasprite in questi ultimi due anni, andando a fratturare la società, il Parlamento e lo stesso partito conservatore.

Nel 2017, sperando di ottenere un mandato popolare più forte, May ha indetto elezioni anticipate; inaspettatamente, invece, i Tories hanno perso la maggioranza e sono stati costretti a formare una coalizione con il DUP, il partito unionista dell’Irlanda del Nord, che ha fortemente condizionato la libertà di manovra della May nelle trattative con Bruxelles.

La Brexit e lo scontro con il partito

La carriera di Theresa May, insomma, è legata a doppio filo con gli sviluppi della Brexit, e per questo il 2018 è un anno cruciale per il suo futuro politico. L’anno in conclusione è stato forse il più difficile per lei, tra i negoziati con Bruxelles e le ribellioni all’interno del partito. Queste ultime in particolare hanno indebolito la sua credibilità, costringendola a modificare più volte la propria posizione negoziale.

Da un lato, gli anti-UE la accusano di debolezza e di aver svenduto gli interessi nazionali; dall’altro, i sostenitori del Remain vorrebbero mantenere il Paese nell’Unione o, quantomeno, nell’unione doganale. In questa situazione, May ha sempre affermato di voler soddisfare unicamente le richieste degli elettori: meno immigrazione dal resto dell’Unione, recupero della sovranità politica ed economica, uscita dal mercato unico e libertà di concludere accordi commerciali con altri Stati.

A luglio, May ha presentato il Chequers Plan, una proposta di accordo ispirata a questi principi. La bozza è stata duramente contestata da Bruxelles e ha spaccato il governo, portando due segretari (Boris Johnson, segretario agli esteri, e David Davis, segretario per la Brexit) a presentare le proprie dimissioni.

L’accordo faticosamente raggiunto a novembre, sul quale il Parlamento britannico dovrà esprimersi nelle prossime settimane, ha portato allo scontro aperto con il partito, con le dimissioni di Dominic Raab, segretario alla Brexit, e di Esther McVey, segretaria al lavoro. Gli hard Brexiteers hanno presentato una mozione di sfiducia al leader del partito, ma non sono riusciti a rovesciare Theresa May, che si è riconfermata con 200 voti contro 117. In cambio, si è impegnata a non presentarsi alle prossime elezioni nel 2022.

Non solo Brexit: povertà e immigrazione

Anche se la Brexit continua a dominare l’agenda politica e le prime pagine dei giornali, non è certo l’unico grattacapo per Theresa May. Da quando i conservatori sono al governo, la povertà è aumentata esponenzialmente: 14 milioni di persone, il 20% della popolazione, vivono in condizioni di povertà. Le politiche di austerity del governo sono state aspramente criticate da Lord Philip Alston, relatore delle Nazioni Unite per la povertà e i diritti umani. Nella sua relazione, presentata il mese scorso alla stampa, Alston ha condannato i tagli ai servizi pubblici e alle tutele sociali attuate dai Tories negli ultimi anni, che hanno creato un sistema “punitivo” e disumano nei confronti dei gruppi sociali più vulnerabili.

Il principale colpevole di questo risultato sarebbe l’Universal Credit, il nuovo sistema di protezione sociale che ha portato a una drastica di riduzione della platea di beneficiari. I governi conservatori hanno anche ridotto i finanziamenti agli enti locali, che sono stati dunque costretti a tagliare i servizi alla comunità, come biblioteche e centri d’aggregazione sociale.

Anche se parte di questi problemi è un’eredità dei suoi predecessori, Theresa May non ha adottato pienamente la linea politica di austerity e l’obiettivo del pareggio di bilancio, sostenendo che incentivare l’occupazione sia la soluzione alla povertà dilagante. Il problema è che, anche se la disoccupazione è in calo, sempre più persone fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, pur avendo un impiego. Di fronte a questi dati allarmanti, May ha recentemente annunciato la “fine dell’austerity”, con un incremento della spesa pubblica in welfare, sanità e istruzione, fortemente provate da anni di tagli. Un’eventuale recessione post-Brexit potrebbe però rendere questi sforzi insufficienti.

Le relazioni tra il governo centrale e le nazioni britanniche (Irlanda del Nord, Galles e Scozia) sono sempre più tese, e non solo a causa della Brexit. Sempre stando al rapporto ONU, gli esecutivi delle nazioni, più che cooperare con il governo centrale, cercano di agire come scudo per proteggere i propri cittadini dalle conseguenze più disastrose dell’austerity. Per di più, mentre il leave ha prevalso in Inghilterra e Galles, Scozia e Irlanda del Nord hanno votato per rimanere nell’Unione. Le tensioni e le dispute politiche sono esacerbate da tendenze separatiste, soprattutto in Scozia.

Come primo ministro, Theresa May ha portato avanti una linea dura sull’immigrazione, intrapresa quando era segretario agli interni e conosciuta come “hostile environment policy. Il suo obiettivo – in realtà oggetto di discussione nell’esecutivo – è portare gli ingressi sotto quota 100.000, che dopo la Brexit comprenderà anche i cittadini UE. La politica consiste nello scoraggiare l’immigrazione nel Paese, selezionando solo gli individui più qualificati e incentivando le imprese ad addestrare lavoratori locali, piuttosto che assumere stranieri. L’hostile environment ha avuto conseguenze particolarmente nefaste sui Paesi del Commonwealth, con una serie di espulsioni e arresti illegali venuti alla luce con lo scandalo Windrush.

L’eredità politica

Finora, May ha indubbiamente dimostrato un’insolita tenacia, che le ha consentito, seppur a fatica, di mantenere le redini dell’esecutivo. E i sondaggi sembrano premiarla: secondo Opinium Research, il 47% degli elettori la ritiene “una persona coraggiosa, coerente con i propri principi”.

Tuttavia, più della metà delle persone intervistate è insoddisfatta del modo in cui ha gestito i negoziati con l’UE. Il partito conservatore, nonostante tutto, resta in cima ai sondaggi, intorno al 40%, con i laburisti staccati di circa 4 punti. Questo risultato potrebbe attribuirsi sia al successo dei Tories che alla performance deludente dell’opposizione.

Il voto di fiducia e l’impegno a farsi da parte porterebbero a pensare che il tempo sia scaduto, per Theresa May. Nei prossimi mesi, si aprirà la fase finale della partita: qualunque sarà l’esito, la sua eredità politica sarà indissolubilmente legata all’esito della Brexit.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

Inews, “Theresa May has her highest approval rating since becoming Prime Minister, polls show“, 16/12/2018

BMJ, “Austerity in the UK: rising poverty threatens stability and health“, 20/11/2018

The Guardian, “UN to investigate Tory record on poverty and human rights“, 28/06/2018

The Guardian, “May reshuffles her pack after high-profile resignations over Brexit approach – as it happened“, 29/10/2018

Independent.ie, “Theresa May has turbulent day of high-profile resignations and backlash“, 15/11/2018

CNN, “Theresa May Fast Facts

Politico, “Theresa May, Britain’s zombie prime minister“, 09/07/2018

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