Balcani in pillole: Macedonia del Nord

Spesso definita “pomo della discordia”, la Macedonia è posta al centro dei Balcani ed è da sempre lo snodo delle principali vie di comunicazione tra Europa e Medio Oriente. Terra contesa dalle varie popolazioni confinanti, la Macedonia è diventata parte della Jugoslavia nel 1944, per poi dichiararsi indipendente nel 1990. Da allora, le dispute con la Grecia riguardanti il nome della Repubblica hanno segnato la vita politica della Macedonia, oltre che il processo di integrazione nell’Unione Europea e nell’arena internazionale.

Popolazione: 2,103,721 abitanti
Superficie: 25,713 kmq
Densità di popolazione: 82.5 ab./km
Capitale: Skopje
Forma di governo: Repubblica parlamentare
Gruppi nazionali: macedoni 64.2%; albanesi 25.2%; turchi 3.9%; rom 2.7%; serbi 1.8%; altri 2.2%
Religioni diffuse: ortodossi macedoni 64.8%; musulmani 33.3%; cristiani 0.4%;altri 1.5%
Lingua ufficiale: macedone 66.5%
Altre lingue: albanese 25.1%; turco 3.5%; rom 1.9%; serbo 1.2%; altre 1.8%
Posizione rispetto all’UE: Paese candidato dal 2005

Storia politica

Nell’antichità, la Macedonia era descritta da fonti greche come abitata da barbari. Nel IV secolo a.C.  essa divenne la culla dell’ellenismo, sopratutto grazie al mito di Alessandro Magno. Una volta tramontato l’ellenismo, la regione fu attraversata da diverse popolazioni e culture. Si susseguirono infatti la conquista romana, le migrazioni slave, le prime sfide territoriali tra serbi e bulgari e infine il dominio ottomano.

I profili multiformi della “questione macedone” sono da ricondurre alla “questione d’oriente”. Dopo alcuni scontri con il nazionalismo macedone nascente tra le popolazioni slave, dal 1904 delle formazioni di patrioti greci promossero un nazionalismo macedone di matrice ellenica, il quale si impose anche a fasce di popolazione non grecofona. A nord, fu invece il nazionalismo bulgaro, a partire dalla fine del XIX secolo, a giocare un ruolo fondamentale, quale garante del sentimento nazionale macedone.

Di conseguenza, il nazionalismo macedone è stato tradizionalmente permeato dalla tensione fra un’anima filo-bulgara e un’anima autonomista-indipendentista, gravitante nell’orbita internazionalista, socialista e infine jugoslava. Tale contrasto emerse nella repressione ottomana della rivolta autonomista di Ilinden del 1903 e provocò la rottura dell’Organizzazione rivoluzionaria interna macedone (VMRO), per poi radicalizzarsi nel corso degli anni ’20.

Le guerre balcaniche spartirono lo spazio geografico macedone tra Serbia, Bulgaria e Grecia e solo successivamente emerse una fazione dissidente di ispirazione comunista, mentre la VMRO accentuava il proprio carattere terrorista, ponendosi al servizio di qualsiasi disegno che prevedesse la destabilizzazione della regione. Furono proprio alcuni affiliati della VMRO ad assassinare il re di Jugoslava a Marsiglia nel 1934. In seguito, le guerre mondiali furono segnate dall’occupazione e annessione bulgara e, in parallelo, dall’avvento di insediamenti italiani nei distretti occidentali della Macedonia, uniti al Kosovo nel segno dell’irredentismo grande-albanese propagandato dall’Italia fascista alla popolazione locale.

Sotto il controllo nazifascista, la regione conobbe la deportazione di decine di migliaia di ebrei sefarditi. Il 2 agosto 1944, i partigiani proclamarono nella regione del Vardar la Repubblica di Macedonia, federata alla nascente Jugoslavia di Tito. Il Maresciallo promosse attivamente l’identità nazionale e linguistica macedone, rompendo una lunga tradizione che considerava l’alta valle del Vardar come “Serbia meridionale”. La creazione della Repubblica di Macedonia rispondeva al bisogno di trovare equilibri interni al sistema jugoslavo e gettava un ponte verso la Bulgaria, nell’ambizioso progetto di una federazione balcanica.

Nella “nuova” Macedonia, l’espressione del sentimento nazionale macedone veniva tollerata e incoraggiata, mentre il nazionalismo albanese fu duramente osteggiato. Eppure è nel 1990 che si assiste alla vera riorganizzazione dei movimenti nazionalisti della vita politica macedone. Alla vigilia della dissoluzione della Jugoslavia, il VMRO adottò una linea apertamente antigreca, antiserba e antibulgara e si affermò nelle prime elezioni multipartitiche del 1990.

L’anno seguente, un referendum popolare ratificò la dichiarazione di sovranità precedentemente adottata dal parlamento. Come avvenuto anche in altre ex-repubbliche jugoslave, la minoranza della popolazione (in questo caso la minoranza albanese) si astenne dalla scena politica, scegliendo di raccordarsi con le forze albanesi presenti nelle repubbliche confinanti. In un contesto regionale fluido ed instabile, nasceva uno Stato caratterizzato da una componente etnica estremamente complessa e composita. Nel 1992, le ultime truppe della JNA (l’armata federale jugoslava) lasciarono la Macedonia, periodo in cui fallirono i fragili tentativi di mediazione della crisi jugoslava da parte della Bosnia-Erzegovina e della stessa Macedonia. Skopje rimaneva così isolata e priva di un esercito nel pieno del conflitto balcanico, ancora più esposta alla propria vulnerabilità economica e alle mire degli Stati confinanti, oltre che allo scontro tra le varie componenti etniche e nazionaliste interne.

Una volta dichiarata l’indipendenza dalla Jugoslavia, il nuovo Stato macedone non fu riconosciuto dall’Unione Europea e il governo greco denunciò duramente la natura e la simbologia irredentista adottata dalla nuova Repubblica. La disputa sul nome si tradusse nella preclusione dell’accesso della Macedonia a importanti organizzazioni internazionali nel corso del 1994-95 e nell’imposizione da parte di Atene di sanzioni commerciali unilaterali. Ai danni provocati dal blocco greco si aggiunsero quelli dell’embargo posto dall’ONU, che causò la chiusura della frontiera con la Serbia. Nel 1992, si iniziò a consolidare il consenso tra le maggiori forze politiche del Paese, grazie ad un’alleanza tra socialdemocratici, socialisti, liberal-riformatori e il partito di maggioranza albanese.

Nel 1993, su mandato delle Nazioni Unite, fu schierata una forza di prevenzione internazionale lungo i confini con Kosovo e Serbia, in seguito rinforzata da truppe americane. Nel mese di aprile dello stesso anno, la Repubblica fu ufficialmente ammessa alle Nazioni Unite, sotto il nome provvisorio di Former yugoslav republic of Macedonia (FYROM). La contesta con la Grecia fu in parte risolta nel corso del 1995, grazie ad un compromesso che portò ad alcuni emendamenti costituzionali e alla modifica della bandiera, ma la questione relativa al nome fu rinviata a tempi migliori. Alcuni episodi particolarmente gravi, come la forte polarizzazione politica causata dalla repressione della auto-organizzata Università albanese di Tetovo e l’esplosione di un’autobomba al passaggio della vettura presidenziale, alimentarono un clima di tensione e incertezza nel Paese e portarono al disfacimento dell’alleanza di governo.

Alle nuove elezioni del 1998 si affermò la coalizione di destra, guidata dal Partito nazionalista macedone, dal Partito estremista albanese e dal Partito di centro-destra. Lo scoppio della guerra in Kosovo, nel 1999, mise la stabilità del Paese nuovamente a repentaglio. I bombardamenti aerei della NATO e i conseguenti flussi di profughi kosovari fecero temere una diffusione del conflitto anche in territorio macedone. Il continuo afflusso di profughi mise in serie difficoltà il Paese dal punto di vista economico e inasprì ulteriormente le tensioni etniche tra la popolazione slavo-macedone e quella albanese.

Una volta concluso il conflitto in Kosovo, con la conseguente amministrazione internazionale, la condizione economica e sociale in Macedonia parve migliorare. Infatti, nel 2000, il governo mise in atto diverse riforme in campo istituzionale, economico e giudiziario, permettendo al Paese di intraprendere un percorso verso una maggiore integrazione europea. Nei primi mesi del 2001, però, si verificarono alcuni episodi di forte tensione tra l’UCK e le forze di polizia macedone, soprattutto nelle zone a maggioranza albanese. La situazione richiese l’intervento dell’UE e della NATO, dalla cui mediazione scaturì la firma degli Accordi di Ohrid, che tutt’ora non risultano pienamente implementati.

Nello stesso periodo, la Macedonia intraprese il cammino per l’accesso all’UE, attraverso la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione nell’aprile del 2001 e la presentazione della domanda di adesione nel 2004, cui seguì la concessione dello status di paese candidato nel 2005. Nel 2009, la Commissione europea ha invitato la Macedonia ad iniziare i negoziati, nonostante non sia stato ancora stabilito il momento preciso in cui essi inizieranno. Dopo decenni, la disputa sul nome è stata risolta con la firma del Trattato di Prespa e con l’adozione del nuovo nome “Macedonia del Nord”, andando a rimuovere un ostacolo importante lungo il percorso di adesione all’Unione Europea e alla NATO.

Prospetto economico

Dal 1991, la Macedonia ha gradualmente liberalizzato la propria economia e ha migliorato notevolmente il proprio commercio. Grazie a basse aliquote fiscali e a free economic zones, l’economia macedone ha attratto investimenti stranieri, nonostante rimangono tra i più bassi d’Europa a causa della corruzione endemica e della debolezza dello stato di diritto.

L’economia della Macedonia è fortemente legata a quella europea, in quanto cliente per le esportazioni e fonte di investimenti, anche se ha sofferto notevolmente la prolungata posizione di debolezza nell’eurozona. La disoccupazione rimane al 23%, anche se il dato potrebbe essere gonfiato dall’economia informale (stimata tra il 20% e il 45% del PIL). Nonostante il Paese attualmente importi gas naturale dalla Russia attraverso la Bulgaria, la Macedonia sta cercando di costruire una rete nazionale di gasdotti, avendo firmato un accordo con la Grecia per la costruzione di un condotto che si colleghi con la Trans Adriatic Pipeline.

Durante la crisi finanziaria internazionale del 2008, la Macedonia ha mantenuto una relativa stabilità, grazie a politiche monetarie prudenti che hanno tenuto la propria valuta fissa all’euro e ad un basso tasso di inflazione. Ciò nonostante, la crisi politica interna ha causato un notevole rallentamento del PIL.

Componente etnico-religiosa

Nella storia la Macedonia è stata attraversata da molteplici popolazioni, le quali hanno lasciato le proprie tracce nella composizione etnico-religiosa della popolazione. L’etnia macedone è da ricondurre alle popolazioni slave, insediatesi nella regione tra il VI e l’VIII secolo d.C. La minoranza principale è quella albanese, data dalla presenza dei paesi confinanti (Albania e Kosovo).

Nonostante non ci siano state operazioni di vera e propria pulizia etnica, come avvenuto nel resto dei Balcani occidentali durante la dissoluzione della Jugoslavia, la tensione tra etnie è stata sempre fonte di scontri armati o politici. Gli Accordi di Ohrid avevano come obiettivo quello di placare tali tensioni istituzionalizzando la presenza della minoranza albanese nelle istituzioni di governo, anche se ciò ha spesso creato attriti tra le diverse forze politiche, fino allo stallo del governo avvenuto tra il 2016 e il 2017.

La affiliazione etnica incide notevolmente su quella religiosa. Infatti, i macedoni, come anche serbi e bulgari, sono tradizionalmente cristiani ortodossi, pur avendo stabilito una propria Chiesa autocefala per affermare ulteriormente la propria identità nazionale. La minoranza albanese, invece, è musulmana sunnita.

Bandiera

La bandiera della Macedonia rappresenta un sole, simbolo della Libertà, con otto raggi che si allungano verso le estremità del campo rosso. Il rosso e il giallo sono i colori tradizionalmente associati alla Macedonia.

Fonti e Approfondimenti

CIA Database

European Commission, “European Neighbourhood Policy and Enlargement Negotiations: North Macedonia

Privitera, Francesco (a cura di). Guida ai paesi dell’Europa centrale orientale e balcanica. Annuario politico-economico 2010. Bologna: Il Mulino (2011).

World Bank Database

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