Italia e BRI: un accordo nel disaccordo

Italia accordo BRI
@TomasRoggero - Flickr.com (CC BY 2.0)

Nonostante lo scetticismo dei suoi omologhi europei e di Washington e malgrado le discordanze interne tra i partiti di Governo Lega-5Stelle, l’Italia aderisce ufficialmente al progetto cinese Belt and Road Initiative (BRI), diventando la prima nazione del G7 e primo Paese fondatore dell’Unione europea a salirci a bordo. Il 22 marzo, durante la visita del Presidente cinese Xi Jinping a Roma, il Governo giallo-verde firma il Memorandum of Understanding (MoU) bilaterale con la Cina: decisione che può comportare un costo politico elevato per l’Italia, offrendo solo limitati benefici economici.

Le discordanze del Governo giallo-verde

A dieci anni dall’ultima visita di un Presidente cinese (Hu Jintao, 2009), il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping ha visitato Roma dal 21 al 23 marzo con un obiettivo ben specifico: formalizzare la partecipazione dell’Italia alla BRI. Il Primo Ministro Giuseppe Conte confermò il 15 marzo che il Governo avrebbe proceduto con la firma di un MoU, tuttavia la posizione e la strategia dell’Italia in merito non è stata chiara fino ad ora.

Da quando  lo scorso giugno è entrata in carica la coalizione Movimento cinque stelle (M5S)- Lega, l’Italia ha intrapreso una politica favorevole alla Cina a scapito di interessi più ampi dell’UE e transatlantici. La recente opposizione degli Stati Uniti ha portato i funzionari italiani – non ultimo il Ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini – almeno a riconoscere che approvare la BRI avrà implicazioni geopolitiche di vasta portata. Salvini frena senza però bloccare l’intesa tra Roma e Pechino, chiedendo garanzie concrete sull’inclusione delle aziende italiane saranno incluse nei progetti di infrastrutture BRI.

Se si tratta di aiutare imprese italiane a investire all’estero, siamo disponibili a ragionare con chiunque. Se si tratta di colonizzare l’Italia e le sue imprese da parte di potenze straniere, no“.

Non solo, i dubbi della Lega sull’accordo con la Cina sono interpretabili come un posizionamento tattico in vista del voto di maggio e – soprattutto – delle alleanze che si creeranno al Parlamento europeo, con l’obiettivo di far fruttare il 30% abbondante che gli viene attribuito dai sondaggi.

Il M5S di Luigi Di Maio, al contrario, assieme al sottosegretario di Stato italiano per lo sviluppo economico (Mise) Michele Geraci, capo del “Task Force China”, hanno sostenuto la propaganda, la negoziazione e la firma del MoU, facendone una vera campagna come se fosse indispensabile per l’Italia farne parte e “non perdere il treno”. Il Governo ha inoltre dichiarato l’intenzione di posizionare l’Italia come leader nella cooperazione con l’agenda di riqualificazione industriale della Cina – “Made in China 2025” – segnalando una maggiore apertura al tipo di investimenti cinesi che hanno sollevato il timore di una svendita di tecnologie sensibili o infrastrutture critiche attraverso Europa.

Una politica cinese più attiva potrebbe portare opportunità economiche all’Italia, sotto forma di una maggiore visibilità delle imprese italiane nel mercato cinese. Tuttavia il Governo italiano, affidandosi principalmente al neo-nominato Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo Economico, Michele Geraci, che ha vissuto e insegnato economia in Cina per dieci anni, manca finora di una valutazione equilibrata e di una strategia della sua cooperazione con Pechino.

Bruxelles e Washington schiacciano Roma

L’adesione dell’Italia alla BRI lancia un messaggio politico e geostrategico molto importante che ignora la storia della Cina di rappresaglia contro i partner commerciali che non supportano i suoi interessi geopolitici. La firma del MoU tra Italia e Cina avviene infatti in un momento delicato, in cui gli Stati Uniti hanno preso di mira la Cina come avversario strategico e l’Europa inizia a considerare il Dragone come gigante politico e non più un solo gigante economico. 

L’Amministrazione americana, nel mezzo delle tensioni commerciali con la Cina e il caso Huawei e Zte, tenta di limitare l’accesso ai mercati occidentali dei giganti cinesi delle telecomunicazioni e mette in guardia sui rischi che la Cina presenta per la sicurezza nazionale. 

L’Europa riesamina la sua politica con la Cina proponendo in una comunicazione congiunta “10 azioni” agli Stati membri, con l’obiettivo di avviare una discussione per migliorare l’approccio europeo rendendolo più realistico, assertivo e pluridimensionale. Le azioni evidenziano la necessità di reciprocità nell’accesso al mercato e agli investimenti e una maggiore consapevolezza dei rischi per la sicurezza nazionale “creati dagli investimenti stranieri in attività, tecnologie e infrastrutture strategiche”. L’Ue ha inoltre adottato un migliore monitoraggio degli investimenti provenienti da paesi terzi e un nuovo metodo di calcolo dei dazi antidumping sulle importazioni.

“La Cina oggi per noi è un concorrente, un partner, un rivale” ha dichiarato Juncker.

In questo contesto, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e l’Europa non approvano l’impegno dell’Italia con il piano di investimenti infrastrutturali della Cina, sostenendo che un Memorandum d’intesa potrebbe legittimare l’approccio predatorio agli investimenti della Cina, senza garantire benefici al popolo italiano.

La (non) strategia italiana

Nella sua forma attuale, il MoU manca di garanzie e l’Italia avrebbe potuto chiedere di più dalle negoziazioni. Peggio ancora, Geraci e Di Maio non sono riusciti a convincere riguardo al motivo per cui l’Italia dovrebbe abbracciare la BRI. Sostengono che questa formalizzazione aiuterà l’Italia a ridurre il suo deficit commerciale bilaterale con la Cina, che nel 2018 era di circa 12,1 miliardi di dollari. Tuttavia, Paesi come Francia e Germania che non hanno ufficialmente aderito all’iniziativa, hanno un commercio molto più bilanciato con la Cina. Inoltre i 13 i Paesi europei che hanno già firmato un MoU con Pechino (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia) si sono lamentati sin dall’adesione come le opportunità economiche promesse non si siano mai concretizzate. 

Il Governo italiano rassicura le controparti che il documento di larga intesa non sigla alcuna alleanza strategica tra Roma e Pechino, ma si tratta di un documento politico che sancisce unicamente la volontà di una maggiore cooperazione. La criticità della decisione e l’incoerenza italiana nei confronti della Cina, hanno indebolito la credibilità dell’Italia all’interno dell’UE. A febbraio, ad esempio, l’Italia si è astenuta dal voto su un meccanismo di screening degli investimenti a livello europeo per garantire la sicurezza dei settori strategici dell’Europa, quando nel 2017 fu un partner importante per la Germania e la Francia nel promuovere tali misure.

Piuttosto che sostenere unilateralmente la strategia commerciale e di investimento globale della Cina, il governo italiano dovrebbe sviluppare una strategia cinese più equilibrata in collaborazione con gli altri membri dell’UE. Un’Unione Europea che si esprime con una sola voce avrebbe molto più potere negoziale di quanto l’Italia possa mai sperare di esercitare da sola, e quindi sarebbe in una posizione migliore per far avanzare gli interessi dell’Italia nei confronti della Cina.

Nei prossimi mesi vedremo se l’obiettivo della Cina è effettivamente aumentare la reciprocità col “Bel Paese”, strumentalizzare l’accesso italiano per creare una frattura tra Europa e Stati Uniti o giungere a maggiori accordi con paesi come Francia e Germania.

Fonti e approfondimenti

European Commission, “EU- China- a strategic outlook”, 12 marzo 2019, https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/communication-eu-china-a-strategic-outlook.pdf?utm_source=POLITICO.EU&utm_campaign=5af610fc54-EMAIL_CAMPAIGN_2019_03_12_07_00&utm_medium=email&utm_term=0_10959edeb5-5af610fc54-190447329

Poggetti, “Italy’s BRI Blunder”, Project Syndacate, 21 marzo 2019, https://www.project-syndicate.org/commentary/italy-endorsement-of-china-bri-big-mistake-by-lucrezia-poggetti-2019-03

Ferdinando Nelli Feroci, “Xi a Roma: Italia-Cina, dubbi, rischi e opportunità”, Affari Internazionali, 14 marzo 2019, https://www.affarinternazionali.it/2019/03/italia-cina-visita-xi/

Federico Petroni, “La Cina “rivale sistemico” è un avvertimento dell’Ue all’Italia”, Limes, 13 marzo 2019, http://www.limesonline.com/notizie-mondo-oggi-13-marzo-italia-vie-della-seta-memorandum-cina-rivale-sistemico-ue/111629

Liu Zhen, “Italy aims to be China’s first G7 partner on belt and road”, SCMP, 22 settembre 2018, https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/2165292/italy-aims-be-chinas-first-g7-partner-belt-road

Simone Pieranni, “La Belt and Road divide l’Ue”, Il Manifesto, 12 dicembre 2018, https://www.china-files.com/la-belt-and-road-divide-lue/

ANSA, “China/Italy: No to colonisation on Belt and Road – Salvini”, 11 marzo 2019, http://www.ansa.it/english/news/2019/03/11/chinaitaly-no-to-colonisation-on-belt-and-road-salvini_268eef47-4669-4334-96ce-794b7f906aba.html

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