Nella giornata di ieri si è svolto a Bologna il G7 Ambiente, introdotto da Gian Luca Galletti, Ministro dell’Ambiente italiano, al quale hanno partecipato i ministri dell’ambiente di Francia, Germania, Stati Uniti, Giappone, Canada e Gran Bretagna. Tra gli altri erano presenti anche Karmenu Vella – Commissario Europeo per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca – e Miguel Arias Cañete – Commissario Europeo per l’azione per il clima e l’energia. Come invitati esterni al G7, invece, erano presenti i Ministri dell’ambiente di Ruanda, Cile, Maldive ed Etiopia. Tra i molti temi discussi, si è parlato ovviamente di clima e di raggiugimento degli obiettivi di crescita sostenibile, all’interno dei target stabiliti con la strategia EUROPA2020, elencati qui sotto:
- riduzione delle emissioni di gas serra del 20% (o persino del 30%, se le condizioni lo permettono) rispetto al 1990
- 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili
- aumento del 20% dell’efficienza energetica
Bisogna allora chiedersi se ci siano effettivamente i presupposti per rendere compatibili la crescita, nel sistema economico attuale, con la sua sostenibilità.
Questo tema, nella letteratura economico-ambientale (e non solo), è dibattutissimo. Molti sostengono che ci siano margini di crescita compatibile con i dettami naturali e ambientali, altri invece ritengono che ci sia un certo grado di incompatibilità tra crescita, intesa nel senso di accumulazione, e finitezza naturale del mondo. Tra questi ultimi c’è una divisione ulteriore tra chi sostiene la necessità di raggiungere alti livelli di sviluppo umano con bassi livelli di consumo, e chi invece crede che sia necessario ripensare e programmare in toto il sistema economico.
La base comune da cui partono questi ultimi due sottogruppi di economisti ed esperti dell’ambiente, è che ridurre le emissioni di gas serra, passando ad un sistema ad energia totalmente rinnovabile è una condizione necessaria ma non sufficiente per evitare le possibili, e ormai frequenti, catastrofi ambientali.
In merito a questo, circa un anno fa, Jason Hickel – antropologo presso la London School of Economics – in un articolo sul The Guardian sottolineava come anche passando da un sistema che produce energia tramite la combustione di fossili ad un sitema che utilizzi energia pulita al 100%, il problema ambientale non sarebbe risolto, ciò perchè il punto centrale della questione è un altro: il modo di produzione.
Sebbene sia una delle componenti principali – circa il 70% – la combustione dei fossili non spiega interamente l’inquinamento prodotto dai gas serra di natura antropica. Circa il 30%, infatti, deriva da altre cause tra cui la deforestazione, l’industria agricola (che degrada il suolo) e gli allevamenti industriali. Questi, come si legge in un articolo della Scientific American, contribuiscono al riscaldamento globale più di tutti i mezzi di trasporto (umano e commerciale) presenti nel mondo. A questi poi, bisogna aggiungere anche la produzione industriale del cemento, dell’acciaio e della plastica, nonchè le discariche dei rifiuti – da cui proviene il 16% del totale di metano mondiale, che rientra nella famiglia dei gas serra.
Il core del problema risiede nel fatto che quel 30% di inquinamento prodotto ogni anno dai gas serra, non derivante da combustione di fossili, si accumula negli anni. Dunque anche rivoluzionando i metodi di produrre energia, l’impatto ambientale dovuto alla produzione industriale permarrebbe quasi immutato.
L’interrogativo che secondo Hickel dovremmo porci non è tanto quanto abbiamo bisogno di produrre energia pulita ma piuttosto, anche qualora l’energia fosse al 100% pulita, come la utilizzeremmo?
Secondo Hickel, nonostante sia di vitale importanza il passaggio ad un energia completamente pulita, dovremmo concentrarci sulle logiche di fondo che caratterizzano il nostro sistema economico per avere qualche speranza di evitare i catastrofici cambiamenti climatici. Infatti, considerando l’attuale schema, si dovrebbe garantire una crescita quasi eterna di estrazione, produzione e consumo, in evidente contraddizione con la finitezza delle risorse naturali e degli spazi. In un paper di Mathias Binswanger, si dimostra come affinchè sia possibille per le imprese realizzare profitti aggregati, è necessaria una crescita annuale dell’economia globale del 3%, il che significa che ogni 20 anni la produzione dovrebbe essere raddoppiata in termini di volume. Quindi se nel 2000 sono state prodotte ad esempio 5 milioni di automobili, nel 2020 bisognerà produrne almeno 10 milioni e nel 2040 almeno 20, e così via.
Se si ragiona in tale ottica, si possono comprendere le problematiche relative al computo del benessere in relazione alla crescita del PIL.
Hickel conclude affermando che la nostra focalizzazione sui combustibili fossili ci ha cullati nel pensare che avremmo potuto continuare con lo status quo a patto di introdurre a pieno regime l’energia pulita. Ma questa è una pericolosa assunzione semplicistica. Se vogliamo allontanare la crisi imminente, dobbiamo affrontare le cause che la determinano, non le sue conseguenze.
Dunque, se si crede che questo modello di crescita sia insostenibile, le risposte che si possono dare sono solamente due. La prima è puntare su un modello di decrescita che miri allo sviluppo umano tenendo sostenibili i livelli di consumo, e in questa direzione va la “green economy”, che per l’appunto mira alla riduzione dell’impatto ambientale mediante tecniche che implementino lo sviluppo sostenibile, come l’utilizzo di energia rinnovabile, la riduzione dei consumi e il riciclaggio dei rifiuti. La seconda è ripensare il modello di crescita in chiave naturalista, in armonia con la natura e il paesaggio, programmando l’economia in modo tale da rispettare i vincoli ambientali, assumendo i limiti e le difficoltà derivanti dalla finitezza delle risorse e del mondo che ci circonda.
Fonti e Approfondimenti:
https://www.epa.gov/ghgemissions/sources-greenhouse-gas-emissions
http://www.businesswire.com/news/home/20160414005595/en/Global-Cement-Industry-Growth-9.23-CAGR-2020
http://www.worldbank.org/en/news/feature/2013/10/30/global-waste-on-pace-to-triple
http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/01603477.2015.1050333
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0959652615010471
Capitale, natura e lavoro – l’eserienza di Nuestra América, Luciano Vasapollo (2008)
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