La linea curva: il confine tra Cina e Russia

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Con i suoi 4.200 km di estensione, il confine tra Russia e Cina è di certo annoverato tra i più lunghi del mondo. Punto di incontro tra due grandi potenze globali, esso trova la sua origine a ovest nella triplice frontiera condivisa tra Mongolia, Repubblica Popolare Cinese e Federazione Russa; mentre si sviluppa verso Est lungo il corso dei fiumi Argun, Amur e Ussuri, fino a raggiungere  nel suo tratto finale il fiume Tumen, che demarca invece il confine tra Russia e Corea del Nord.

 

La colonizzazione russa

La lunga frontiera, oltre a costituire un punto di incontro tra due civiltà, è stata protagonista per secoli di grandi frizioni e scontri tra Mosca e Pechino. Le prime incursioni russe nella regione di confine si verificarono già nel corso del XVII secolo, quando le forze zariste occuparono le città di Nerchinsk e Yakasa nei pressi del fiume Amur, seguite nel XVIII secolo da nuove incursioni, questa volta nei territori adiacenti al lago di Balkhash (ora in Kazakistan) e nella regione dello Xinjiang nel Nord-est della Cina.

Agli inizi dell’Ottocento, con l’affacciarsi nello scenario europeo dei sentimenti nazionalisti e sciovinisti tipici dell’epoca coloniale, l’attività di penetrazione zarista all’interno della Cina si intensificò. Verso la fine del secolo, la Russia aveva occupato ben 1.4 milioni di km2, mentre nei primi anni del Novecento un’ulteriore espansione determinò l’inglobamento nei confini zaristi di ulteriori territori.  Tali conquiste vennero sanzionate da una serie di accordi tra la Russia e la Cina imperiale, ai quali la storiografia cinese si riferisce appunto con il termine di “trattati ineguali“.

 

Gli scontri sul fiume Ussuri del 1969

Con la vittoria dei comunisti di Mao Zedong in Cina nel 1949, si avviò un periodo di cooperazione tra Unione Sovietica e la neoproclamata Repubblica Popolare, determinato dall’allineamento ideologico dei due attori geopolitici. In tale relazione, Mosca si poneva in una posizione di preminenza, sancita allora dalla sua superiorità tecnologica, militare ed economica, ma anche dal bisogno di Pechino del supporto sovietico per sviluppare la propria economia arretrata e devastata da anni di guerra civile e occupazione giapponese.

Ne conseguì un periodo di pace lungo tutto il confine tra URSS e Cina, durante il quale, tuttavia, la mutua diffidenza tra i due Paesi per le dispute territoriali era solo momentaneamente sopita. Troppe erano le zone grigie sulla frontiera, troppi i territori rivendicati dalla Cina. In seguito alla vittoria dei comunisti, Pechino aveva ritrovato il suo orgoglio: la Repubblica Popolare non poteva tollerare l’accettazione dei ‘trattati ineguali’ di epoca coloniale.

D’altro canto, Mosca considerava il divario demografico tra i due Paesi (nettamente a favore della Cina) come un pericolo per la propria autorità sulle zone di confine. La continua migrazione di cittadini cinesi verso le aree depopolate della frontiera siberiana avrebbe potuto costituire, nel lungo periodo, una minaccia all’integrità territoriale della Russia.

La progressiva divergenza ideologica tra Cina e Unione Sovietica – determinata da un Mao Zedong sempre più propenso a discostarsi dall’ortodossia comunista di Mosca e intraprendere un cammino indipendente – innescò una profonda tensione tra URSS e Repubblica Popolare e un riaccendersi delle contese sui confini. Entrambi i Paesi diedero inizio a un graduale aumento delle forze militari dislocate lungo la frontiera. In particolare, la Cina aveva ritrovato confidenza sul piano militare con il suo primo test atomico nel 1964.

Le tensioni sfociarono in scontro aperto nel marzo 1969, quando un contingente militare della Repubblica Popolare Cinese prese d’assalto un avamposto sovietico sull’isola di Zhenbao sul fiume Ussuri. Il breve conflitto, che consistette in una serie di schermaglie, si estese anche al bacino del fiume Amur, ma entrambe le potenze riuscirono a evitare l’intensificarsi dello scontro, che si estinse dopo due settimane. La crisi sino-sovietica aveva prodotto un numero relativamente limitato di vittime (qualche centinaio), ma aveva rivelato al mondo intero la profonda divergenza in materia di dispute territoriali che marcava le relazioni tra i due Paesi.

Tale era la minaccia cinese sul confine che il Cremlino aveva ipotizzato l’utilizzo di armi atomiche tattiche nel caso di escalation del conflitto. Di fatto, sebbene l’Armata Rossa fosse all’epoca di gran lunga superiore alle forze armate cinesi, il grosso dell’esercito sovietico era schierato sul fronte occidentale; ne conseguì una superiorità iniziale degli effettivi cinesi sul confine siberiano.

 

La distensione e l’accordo sui confini

Le tensioni durarono fino al settembre del 1969, quando il Premier cinese Zhou Enlai incontrò la controparte sovietica, Alexei Kosygin, per trovare un accordo sulla stabilizzazione del confine. Le trattative si protrassero per diversi anni, giungendo anche a rinnovati episodi di tensione.

Un punto di svolta si ebbe nel 1986, quando Mikhail Gorbachev, segretario generale  del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, dichiarò la propria intenzione di rivisitare i “trattati ineguali”. Negli anni Novanta, le misure volte a ricostruire la fiducia tra i due Paesi incrementarono, culminando nel 1997 in un accordo tra l’ormai Federazione Russa e la Cina, il quale prevedeva la riduzione delle truppe dispiegate sulla frontiera. L’accordo regolava anche i confini tra la Repubblica Popolare e le ex Repubbliche Socialiste del Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

Ovviamente, l’accelerazione sulle trattative era avvenuta anche a causa del periodo di grande debolezza in cui era entrata la Russia. Il crollo dell’Unione Sovietica aveva portato alla perdita di gran parte del prestigio goduto dal Cremlino, e la mancanza delle enormi risorse militari ed economiche necessarie a mantenere la continua presenza di ingenti forze armate sul confine siberiano aveva facilitato il processo di distensione.

L’atto finale della disputa sui confini tra Cina e Russia si è avuto nel 2008, con la firma di un trattato che prevede la restituzione a Pechino di parte dell’isola Heixiazi e dell’intera isola Yinlong, collocate nella confluenza tra il fiume Ussuri e Amur. Il territorio ceduto da Mosca ammonta a 174 km2.

 

Una frontiera di cooperazione militare

Il 2014 rappresenta un punto di svolta nelle relazioni transfrontaliere tra Mosca e Pechino. Con l’occupazione della Crimea da parte della Federazione Russa e il conseguente raggelarsi delle relazioni con i Paesi della NATO, il Cremlino ha dovuto volgere il suo sguardo verso Oriente per cercare di spezzare il proprio isolamento internazionale.

Le sanzioni economiche applicate dall’Occidente contro la Russia hanno portato quest’ultima a incrementare i propri scambi commerciali con la Cina, mentre la comune volontà di contrastare l’egemonia statunitense sullo scacchiere geopolitico ha determinato un riavvicinamento tra i due attori. Di fatto, come la Russia in Europa orientale, anche la Repubblica Popolare è impegnata in un’opera di contenimento dell’egemonia americana nel Pacifico. Inoltre, le odierne frizioni commerciali innescate dall’amministrazione Trump hanno portato a un ulteriore inasprimento delle relazioni.

Da questa congiuntura internazionale, è nata un’intesa tra le due grandi potenze che rappresenta uno sviluppo strategico da non sottovalutare – pur non costituendo una vera e propria alleanza. In questo modo, il confine tra Russia e Cina, dall’essere un punto di frizione, si è trasformato in una frontiera di cooperazione militare.

L’apice del nuovo spirito di amicizia tra Mosca e Pechino si è raggiunto l’anno scorso, nel corso di Vostok 2018 – un’esercitazione militare congiunta che ha visto le due forze armate collaborare su vasta scala per la prima volta. Da luglio a settembre 2018, ben 300.000 soldati, 900 carri armati, 80 navi e 1000 tra elicotteri e arei sono stati impiegati nel corso delle esercitazioni nel distretto militare orientale della Federazione Russa. A questi, si sono aggiunti anche 3.000 militari e 30 velivoli inviati da Pechino oltre il confine (nei pressi della città di Chita, nel territorio della Transbajkalia) per l’occasione.

Si tratta di una vera e propria pietra miliare per i due Paesi, soprattutto considerando che, fino ad ora, solo la Bielorussia aveva partecipato a un’esercitazione di tale scala al fianco della Russia. Le forze in campo hanno dato prova della loro capacità di coordinamento in vaste operazioni militari, oltre che della loro abilità logistica di dispiegarsi rapidamente. Gli stessi eserciti che si sono scontrati in passato su tale frontiera, godono ora di mutuo rispetto e di una stretta collaborazione.

 

La Shanghai Cooperation Organisation nelle relazioni transfrontaliere

Un’altra arena di cooperazione tra Russia e Cina che può essere ricondotta alle relazioni transfrontaliere tra Mosca e Pechino è la Shanghai Cooperation Organisation (SCO). La SCO è stata fondata nel 2001 da Russia, Cina,  Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan. Nel 2017, anche India e Pakistan si sono uniti all’organizzazione. Tale forum di collaborazione presenta scopi di natura politica e di sicurezza. In particolare gli Stati membri si propongono di combattere “tre grandi mali”: terrorismo, separatismo ed estremismo.

In realtà, l’obiettivo principale della SCO è quello di riempire il vuoto in materia di difesa lasciato nella regione dell’Asia Centrale dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. La moltiplicazione dei confini e la creazione di fragili Stati che costituiscono terreno fertile per gli estremismi religiosi, hanno creato il rischio di instabilità in tutta l’Asia Centrale.

La Russia vede l’organizzazione come uno strumento per ribadire il suo ruolo di grande potenza militare svolto in quest’area geografica, mentre la Cina vede la SCO come un’efficace strumento internazionale contro il terrorismo e una garanzia per i propri investimenti nella regione connessi alla Belt and Road Initiative.

In questo ambito, un tema centrale per la cooperazione transfrontaliera tra Mosca e Pechino è la lotta al terrorismo. La regione dello Xinjiang in Cina – dove risiede la minoranza mussulmana e turcofona degli Uiguri – costituisce un’area ad alto rischio di estremismo religioso. La Repubblica Popolare beneficia, in questo modo, della cooperazione con i Paesi confinanti con lo Xinjiang (tra cui la Russia), resa possibile dalla SCO. L’organizzazione è, di fatto, dotata di una struttura permanente dedicata alla lotta al terrorismo, la Regional Anti-Terrorism Structure, con sede a Tashkent in Uzbekistan. Tale struttura organizza annualmente esercitazioni e summit volti a incrementare la capacità transfrontaliera dei Paesi membri di contrastare l’eventuale insorgenza di forze estremiste.

 

Prospettive future

Dall’essere un terreno di scontro tra i due Paesi, il confine tra Russia e Cina si è trasformato nel tempo in una frontiera di cooperazione militare. Esercitazioni congiunte verranno reiterate anche in futuro, ed entrambi i governi vedono la controparte come un potenziale alleato nella lotta all’egemonia USA.

Tuttavia, questa rinnovata amicizia nasconde invero una grande fragilità. La recente cooperazione  è determinata dalla necessità di affrontare un nemico comune piuttosto che da un naturale riavvicinamento. Il divario demografico tra i due Paesi al confine è enorme, e la presenza di una minoranza cinese in Siberia orientale costituisce un fattore di instabilità tra i due Stati.

Inoltre, la costante crescita economica della Cina e la sua aspirazione di potenza egemone in Asia rivelano un rapporto sbilanciato tra Mosca e Pechino. Il trattato del 2008 ha sancito un accordo tra i due Stati, ma la volontà della Russia di spezzare il proprio isolamento internazionale ha giocato un ruolo fondamentale in tale accordo. Cosa accadrà sulla frontiera sino-russa quando Pechino adempierà al proprio destino di potenza globale? La Repubblica Popolare continuerà a considerare il trattato del 2008 soddisfacente?

Fonti e approfondimenti

Robert Farley, ‘How the Soviet Union and China Almost Started World War III’, The National Interest, 09 febbraio , 2016
Richard Weitz, ‘Russia, China End Decades-Long Border Dispute’, World Politics Review, 01 agosto 2008
‘Sino-Soviet Border Clashes’, GlobalSecurity.org, visitato il 06 maggio 2019
Andrew Osborn and Peter Foster, ‘USSR planned nuclear attack on China in 1969’, The Telegraph, 13 maggio 2010
Aldo Ferrari and Eleonora Tafuro Ambrosetti, ‘Russia-China: Security Ties Them Together?’, ISPI 21 dicembre 2018
Laura Zhou, ‘China, Russia prepare for strategic security talks in Moscow as pressure from United States grows’, South China Morning Post, 09 agosto 2018
Sarah Jones, ‘China and Russia Are Growing Closer and It’s a Threat to American Interests Say Defense and Cyber-Security Experts’, Diplomatic Courrier, “5 gennaio 2019
Alexander Gabuev, ‘Why Russia and China Are Strengthening Security Ties’, Carneige Moscow Center, 24 september 2018
Michael Waller, ‘Is a Russia-China Alliance Emerging? Not Necessarily’, Centre for Security Policy, 18 gennaio 2018
Graham Allison, ‘China and Russia: A Strategic Alliance in the Making’, The National Interest, d14 dicembre 2018
Leon Aron, ‘Are Russia and China Really Forming an Alliance?’, Foreign Affairs, 04 aprile 2019
‘VOSTOK 2018: Ten years of Russian strategic exercises and warfare preparation’, NATO, 20 dicembre 2018

https://www.nato.int/docu/review/2018/Also-in-2018/vostok-2018-ten-years-of-russian-strategic-exercises-and-warfare-preparation-military-exercices/EN/index.htm

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