di Simone Manda
Sulla sponda meridionale del Mediterraneo, gli Stati del Maghreb guardano il sole addormentarsi (dall’arabo المغرب, al-Maghrib, “luogo del tramonto”); cinque milioni di km2 circondati su due lati da distese d’acqua, chiusi tra il Sahel, la fascia che delimita inizio e fine del deserto del Sahara, e gli stati del Mashreq, dove si vede il sole nascere.
La Tunisia, l’Algeria, il Marocco, la Libia e la Mauritania (con l’eccezione del Sahara Occidentale, per cui vale un discorso a parte) hanno una popolazione che condivide radici arabo-berbere comuni. Nonostante le similarità, però, questi Paesi rappresentano un’area difficile da inquadrare in un’unica cornice politica.
L’Unione del Maghreb Arabo (UMA) è nata il 17 febbraio 1989 da un incontro a Marrakech tra i cinque Stati membri. Negli anni, però, le differenze politiche hanno esacerbato i rapporti e le complementarità culturali sono state messe da parte. Ciò che ne è risultato, oltre ai pochi obiettivi raggiunti e alla molta immobilità, è stata una crescita iniqua, sensibilmente inferiore a quella degli altri gruppi regionali del continente.
L’Organizzazione
Subito dopo la firma dei trattati costituenti, una dichiarazione solenne accompagnò l’istituzione dell’UMA, mostrandone il programma. Gli obiettivi fissati furono ambiziosi: dapprima, il consolidamento dei rapporti di fraternità che legano i Paesi membri e i loro popoli, nel solco di un progresso comune; in seguito, la progressiva realizzazione di un’area di libera circolazione di merci, persone e capitale; infine, l’adozione di politiche comuni in materia economica, volte a garantire lo sviluppo industriale, commerciale, agricolo e sociale dei Paesi membri.
L’organizzazione si è dotata, nel tempo, di numerosi organi associativi che hanno perseguito i suddetti obiettivi. Il primo fra tutti a essere istituito, il Consiglio Supremo (detto anche Consiglio di Presidenza), fu seguito dal Consiglio Consultativo, dal Segretariato generale, dall’Università maghrebina, per arrivare alla Banca Maghrebina d’Investimento e di Commercio Esterno (BMICE), fondata nel 2015.
L’integrazione del Maghreb doveva essere conquistata tramite lo smantellamento degli ostacoli tariffari e commerciali tra i Paesi membri, come anche la creazione di un’unione doganale che adottasse dazi comuni verso il commercio estero. Ciononostante, l’Unione del Maghreb Arabo, con un mercato di cento milioni di consumatori, resta la regione meno integrata del continente africano.
Una reale armonizzazione dei sistemi legislativi sul mercato intra-regionale potrebbe essere agevolata dallo sviluppo delle infrastrutture comuni sul territorio. Sono state varate iniziative in questa direzione, come quella della linea trans-maghrebina: concluso lo studio di fattibilità nel 2018, il progetto ha promesso di riallacciare collegamenti tra i territori del Marocco, della Tunisia e dell’Algeria, linee ferroviarie che si erano perse tra le sabbie del deserto. I lavori sono già partiti per il troncone ferroviario che attraversa il confine tra la Tunisia e l’Algeria (Annaba-Jendouba), e la modernizzazione della linea Fez-Oujda, in Marocco.
La situazione economico-sociale
Fino a oggi, alcuni fattori socioeconomici hanno rallentato il processo d’integrazione dell’area e hanno influenzato negativamente il benessere delle popolazioni maghrebine.
Ad esempio, la mancanza di sicurezza dell’area ha coinvolto il settore del turismo e intaccato il già flebile commercio intra-maghrebino. Nel 2016, solo il 4% delle attività d’import/export dei Paesi membri avveniva all’interno dell’Unione. Tra i più dipendenti dall’export extra-maghrebino troviamo la Mauritania e l’Algeria, interessati dalla crescente desertificazione che affligge l’intera regione per l’80% – 90% del territorio a seconda del Paese. Altro problema è la conseguente sparizione di risorse idriche, grave al punto che nel 2025, più di 200 milioni di abitanti del Maghreb non avranno alcun accesso a fonti d’acqua potabile.
Oltre a ciò, la crescita demografica e la successiva rapida urbanizzazione hanno portato un’ingente perdita di terreni coltivabili, fondamentali per il settore agrario di un’area sviluppata prevalentemente sulla costa. L’inflazione, la tensione fiscale e l’insicurezza alimentare hanno invece portato un aumento dei prezzi, colpendo le fasce meno abbienti della popolazione e accrescendone la povertà e la malnutrizione.
Nonostante questo, un report del 2016 della FAO specifica come il Maghreb sia l’unica regione africana ad aver raggiunto l’obiettivo programmatico nella lotta alla fame: mentre continuano gli sforzi per assicurare aiuto alle persone malnutrite, la sicurezza alimentare è ferma al 12%. Inoltre, la crescita della produzione agricola non è sufficiente a incontrare la domanda. Pur avendone aumentata la portata, gli investimenti diretti alla ricerca e all’innovazione, in questo campo, non riescono a raggiungere l’1% del PIL in nessuno dei Paesi del Maghreb.
Per quanto riguarda le emissioni, la dipendenza dalla produzione mineraria e di greggio frena le future manovre economiche orientate verso l’utilizzo di energia pulita, complice anche l’estrema volatilità del mercato internazionale nel caso dei combustibili fossili. L’accesso all’elettricità, per esempio, è quasi universale (tranne che nel caso della Mauritania, dove si ferma al 38%), ma è prodotta per il 70% da fonti fossili. Mentre gli impegni presi indicano una riduzione delle emissioni di CO2 per il 2020, solo la Mauritania e il Marocco hanno prodotto sforzi decisivi.
La situazione economico-politica
Nel 2018, il re Mohammed VI, sovrano del Marocco, si è pronunciato a favore di un ritorno sulla scena per l’Unione del Maghreb, per concretizzare l’ideale maghrebino. Purtroppo, la nebulosa situazione algerina riguardo alla successione del presidente Bouteflika non ha ancora permesso di dare un volto a questo rinnovato impegno.
Nel frattempo, il Marocco continua a crescere, forte degli investimenti di ritorno provenienti dall’Africa Sub-sahariana. L’Algeria, al contrario, è un Paese che stenta ad affrontare un vero cambio di rotta nelle proprie politiche economiche; mentre la corruzione dilaga, la dipendenza dalle fonti fossili rimane forte, rappresentando il 95% dell’export.
L’insicurezza del parlamento tunisino dovrà invece essere superata grazie alle recenti elezioni, e la voce popolare dei giovani in piazza sarà la spina nel fianco del nuovo governo democratico. Inoltre, a ritardare la presenza tunisina ai tavoli dell’UMA è il terrorismo di matrice jihadista, un pericolo proveniente dal Sahel.
Un problema, questo, che affligge anche la Mauritania, fresca di elezioni presidenziali in giugno che hanno visto vincitore il generale dell’esercito Ghazouani. Un lungo periodo di sviluppo ha accresciuto la fiducia internazionale verso la Mauritania, motivando le esportazioni estere, per il 55% dirette verso la Cina.
In ultima analisi, la Libia è ancora in cerca di stabilità. Ciononostante, porre un freno all’insicurezza della situazione libica è di vitale importanza per l’UMA. Per gli Stati del Maghreb, far rivivere l’ideale dell’Unione del Maghreb Arabo sembra l’unica via possibile per combattere ad armi pari con gli attori regionali e internazionali interessati alla regione.
UMA, Europa e Unione Africana
I rapporti tra l’Unione europea e il Maghreb nascono alla fine degli anni Sessanta, con i primi trattati bilaterali. Con la caduta del muro di Berlino, e con la stipulazione di un accordo di cooperazione per la zona EUROMED, il Processo di Barcellona (1994) dona un seguito alla Politica Europea di Vicinato (PEV). Questo meccanismo, che fu dapprima utilizzato verso Paesi come la Turchia o la Romania, senza l’intenzione di renderli parte dell’Unione ma cercando di fornire loro sostegno economico e politico, fu poi allargato anche alla sponda sud del Mediterraneo.
Se da una parte tale approccio dell’Unione europea fu indicato da alcuni come neo-colonialismo, dall’altra l’Ue fu preferita come partner commerciale ai Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (che, nel 2019, cresce del 2% in meno rispetto all’Unione del Maghreb Arabo). Sebbene il volgersi verso questa parte del Mediterraneo abbia permesso una costante crescita per l’area del Maghreb, l’efficacia della cooperazione tra le due regioni ha prodotto risultati limitati.
Primo fra tutti gli esempi, l’Unione per il Mediterraneo (UPM). Le critiche rivolte al progetto figuravano un’unione con troppi partecipanti, troppe voci e, soprattutto, troppa interferenza politica. I progetti di finanziamento e supporto da parte dell’Ue sono ancora in piedi, ma per la maggior parte si tratta di accordi bilaterali singoli.
L’Unione europea, per riavvicinarsi ai Paesi del Maghreb, potrebbe non solo valorizzare i collegamenti già esistenti con la Tunisia, il Marocco e la Mauritania, ma anche permettere un riavvicinamento con l’Algeria, da tempo in cattivi rapporti con gli Stati europei. L’Europa sa bene che molto del suo approvvigionamento energetico viene dal Maghreb, come anche una grande fetta del mercato agro-alimentare, ma non ha la presenza politica che serve per coadiuvare una stabilizzazione dell’area, andando solamente a incidere in maniera vaga e disordinata sul suo sviluppo.
Se da un lato del Maghreb si guarda all’Europa, dall’altro è all’Unione Africana (UA) che si fa riferimento. Succeduta all’Organizzazione dell’Unità Africana nel 2002, l’UA conta attualmente 54 membri. Per concretizzare molti dei cantieri messi in gioco dall’Agenda 2063, progetto di punta dell’Unione, il focus viene deliberatamente posto sulle comunità economiche regionali (CER). Intervenendo per la maggior parte sulle questioni politiche che divergono i progetti comuni, la risoluzione dei conflitti è tra i primi compiti dell’Unione Africana e del suo Consiglio di Pace e Sicurezza (CPS), le cui decisioni sono legalmente vincolanti nell’ambito del diritto internazionale.
Per questo, la politica economica è stata delegata alle singole comunità regionali, incoraggiandone il percorso verso una reale integrazione. Riguardo alle politiche di sicurezza, l’instabilità crescente del Sahel ha forzatamente indotto i Paesi della regione a una più reale cooperazione in tal senso. Sulla dimensione economica, però, e verso una reale integrazione, queste regioni hanno prodotto risultati limitati, anche se con obiettivi ottimistici.
L’accordo sulla Zona di Libero Commercio Continentale Africano (noto con la sigla AfCFTA), che è stato ratificato nel marzo del 2018 a Kigali, in Ruanda, rappresenta il più ambizioso piano di libero scambio esistente al mondo. L’accordo è entrato in vigore nel luglio del 2019, estendendosi a cinquantaquattro Paesi dell’Unione. Per alcuni, l’AfCFTA è un progetto che si scontra con la mancanza di coordinazione tra i vari organismi regionali. Senza un richiamo all’unità continuo, tramite l’educazione e la comunicazione, non si riuscirà a superare le disparità economiche e sociali che attraversano il continente africano.
Per il momento, l’Ue resta un partner più proficuo per l’UMA rispetto all’Unione Africana. La quasi totale assenza di scambi economici tra i Paesi dell’UMA, però, è uno scoglio importante sulla strada della crescita, perché sia una crescita competitiva. Ad aggravare la situazione è l’assenza di un dialogo politico e culturale efficace tra le parti: l’opportunità per uno scambio finalmente edificante, e di successo, è a portata.
Fonti e approfondimenti:
Ch. Gharbi, Ligne transmaghrébine : « Un billet pour Annaba s’il vous plait », La Presse de Tunisie, 05/04/2019
A. Sanguini, L’Algeria e i suoi vicini: una nuova strategia regionale, ISPI, 02/05/2017
C. Casola, Mauritania al voto: l’ombra di Abdel Aziz sul futuro del Paese, ISPI, 22/06/2019
A. Varvelli, C. Lovotti, Partire dalle risorse: un modello per la risoluzione del conflitto in Libia, ISPI, 04/07/2019
T. Carboni, Porto di Tangeri: in Marocco cresce un gigante tra Europa e Africa, ISPI, 22/07/2019
J. Drevet, Le Maghreb et l’Union européenne (UE), Diploweb, 04/05/2016
United Nations Economic Commission for Africa, First Report on the Achievement of Sustainable Development Goals in the Maghreb – Executive Summary, Oct./Nov. 2018
United Nations Economic Commission for Africa, African Social Development Index (ASDI): Measuring Human Exclusion for Structural Transformation – North Africa Report, 2016