Euramérica: il regionalismo tra le due sponde dell’Atlantico

@LoSpiegone

Osservare l’Unione europea attraverso le lenti della comparazione con il mondo esterno ci permette di capire meglio ciò che siamo abituati a leggere ed ascoltare ormai ogni giorno. Talune dinamiche politiche, sociali ed economiche che viviamo in quanto europei sono ugualmente vissute in altri contesti; osservare come vengono governate tali dinamiche ci aiuta a capire il nostro presente e a inquadrare il nostro futuro.


Tra i vari Paesi e le varie organizzazioni con le quali l’Ue condivide rapporti e dinamiche politiche simili, abbiamo scelto di parlare dei Paesi latino-americani. Euramérica sarà un viaggio tra le due sponde dell’Atlantico alla fine del quale, oltre a sapere qualcosa in più su quanto accade a sud degli Stati Uniti, sapremo soprattutto valutare più attentamente quanto accade nella nostra Europa.

Alla ricerca dell’integrazione: Unione europea e multi-regionalismo latino-americano

Iniziamo comparando i processi di integrazione regionale. Quali motivi hanno portato ventotto Stati a riunirsi sotto un’unica organizzazione, l’Unione europea? Perché non esiste nulla di simile in un contesto come quello latino-americano? Da un lato abbiamo più di mezzo miliardo di cittadini europei, che vivono in ventotto Stati e parlano – almeno – ventiquattro lingue differenti. Proprio l’Europa è stata la culla dello Stato nazionale, così come consacrato con la Pace di Westfalia e protrattosi fino alla metà del Novecento. La guerra e il confronto aperto tra nazioni hanno caratterizzato la storia del vecchio continente, eppure dalle ceneri dell’ultimo conflitto mondiale è sorta l’Unione europea. Nonostante ciò, sebbene esistano altre organizzazioni regionali in Europa, non c’è un’organizzazione che possa porsi quale alternativa all’Ue.

Spostiamoci ora dall’altro lato dell’Atlantico: dal Messico all’Argentina mezzo miliardo di abitanti vivono in un contesto caratterizzato da venti Stati. L’eredità coloniale fa si che linguisticamente e culturalmente il continente sia suddiviso in quattro aree linguistiche. Inoltre, il numero di conflitti inter-statali dall’indipendenza delle ex colonie a oggi è stato sensibilmente minore rispetto al continente europeo. Tuttavia, elementi di disomogeneità sono comunque presenti. Infatti, seppur poche, le lingue che dividono il continente risultano una forza centrifuga: basti pensare che i territori francofoni intrattengono ancora stretti legami con Parigi, o che i territori anglofoni sono principalmente concentrati nella zona caraibica. Dunque, al netto delle zone appena citate, resta comunque un agglomerato di Paesi di lingua iberica, a predominanza spagnola, ma con la complicazione che la potenza principale (il Brasile) utilizza il portoghese.

Inoltre, in termini economici e politici è doveroso distinguere un certo numero di sub-regioni: I Caraibi, l’America centrale e l’America del sud, ognuna delle quali ulteriormente scomponibile geograficamente, economicamente e politicamente, una volta individuate le vocazioni economiche e strategiche dei vari Paesi nel contesto regionale e globale. In breve, le dinamiche che vivono i 20 Paesi presi in considerazione variano nel loro grado di omogeneità.

Per tracciare un quadro unitario, andando oltre la ricerca di affinità su base linguistica e culturale possiamo certamente affermare che l’America latina è accomunata da taluni elementi trasversali, quali la concentrazione del possesso terriero e l’impatto di ciò sullo sviluppo economico e civile, la peculiarità dei processi di modernizzazione attraverso industrializzazione recente e un alto tasso di urbanizzazione e, infine, la questione cruciale delle ineguaglianze sociali.

Tutto ciò ha pesantemente influenzato le dinamiche di regionalismo nel contesto latino-americano, con una tensione di fondo tra unità e diversità. Attraverso una variegata serie di progetti, sin dall’inizio del Novecento, si è tentato di unire i Paesi latino-americani, comportando una moltiplicazione di iniziative e una frammentazione del quadro istituzionale che ad oggi ammonta a otto organizzazioni, con l’aggiunta di una nona in costituzione. Il quadro del multi-regionalismo latino-americano è così composto:

L’elevato numero di esperienze regionali in America latina può essere spiegato alla luce di fattori politico-ideologici e geografici, a loro volta comparabili con l’esperienza europea. Ad esempio, gli interessi economici di determinati Paesi verso la regione asiatica-pacifica risultano alla base della Alianza del Pacifico, mentre la contrapposizione alle interferenze statunitensi e la preferenza verso paradigmi di sviluppo alternativi sono stati alla base dell’ALBA. Inoltre, le ambizioni di leadership regionale di Brasile e Venezuela sono state alla base della nascita – rispettivamente – di UNASUR e ALBA.

Da una comparazione con il vecchio continente emerge chiaramente la monoliticità dell’Unione europea rispetto ad altre organizzazioni regionali, la cui esistenza si caratterizza quale strumentale alle funzioni di Bruxelles (Spazio Economico Europeo) o compatibile con essa (Consiglio d’Europa). Diversamente da quanto avviene in America latina, non sarebbe pensabile in Europa una dinamica di competizione tra organizzazioni per quanto concerne membri, rappresentatività, risorse e prestigio dell’organizzazione. Inoltre, in America latina la contrapposizione tra organizzazioni regionali si fonda sulla contrapposizione tra ideologie alla base delle organizzazioni, il che comporta una contrapposizione tra le politiche pubbliche sostenute nei diversi fori. Tutto ciò è all’opposto dell’esperienza europea, caratterizzata da una giustificazione ideologica comune e da politiche comuni, nonché dinamiche di convergenza.

Rapporti con il resto del mondo, leadership e sistema istituzionale

America latina ed Europa rispondono inoltre in modo diverso a talune questioni: il rapporto con i maggiori attori internazionali, la questione della leadership regionale e il modello di sviluppo politico ed economico.

In America latina non esiste una posizione unica e condivisa verso gli Stati Uniti, ma le posizioni variano da un atteggiamento lievemente competitivo in termini commerciali (MERCOSUR) a neutrale (UNASUR) a contrastante (ALBA). Al contrario, sin dalla Fondazione della Comunità Economica Europea non vi è stato dubbio circa il posizionamento nei confronti dell’alleato statunitense. In particolare, tra CEE e USA correvano rapporti di vicinanza ideologica tali da far condividere ai due blocchi le stesse istituzioni politiche (liberal democratiche) ed economiche (economia di mercato). La collocazione nell’Alleanza Atlantica sancì un primo minimo comune denominatore dell’allora nascente Europa, contribuendo tanto alla stabilità della costruzione quanto alla creazione di un’identità. Diversamente da ciò, in America latina profonde divisioni solcano gli Stati nella loro accettazione o rifiuto degli Stati Uniti, e del modello politico da essi rappresentato.

Passando dal piano globale a quello regionale, la questione della leadership è fondamentale. In seno all’Ue, l’assenza di squilibri economici, geografici e demografici significativi fa sì che nessun Paese possa godere della posizione di egemone, almeno non senza costruire una trama di alleanze. Il progetto europeo è stato costruito sui principi di eguaglianza e reciprocità, senza concordare sulla presenza (o assenza) di leadership. Detto ciò, sin dalla fondazione, è sempre esistito un primus inter pares, la Germania, che si è guadagnato il ruolo di centro di gravità economico, ma non ha mai ambito a ottenere un ruolo di egemonia politica sul continente. Tutto ciò non è avvenuto in America Latina, principalmente a causa del potere politico, economico e demografico sproporzionato del Brasile, avvantaggiato dalla lontananza geografica del Messico e dalla attenzione di quest’ultimo alle dinamiche in corso nel nord del continente americano.

Venendo al sistema istituzionale che le organizzazioni si danno, in tutti i progetti regionali avviati in America latina esistono istituzioni comuni; tuttavia, queste fanno riferimento strettamente al modello intergovernativo. Ogni decisione è presa principalmente all’unanimità: ciò costituisce uno degli ostacoli principali all’approfondimento di qualsiasi esperienza di integrazione. Infatti, l’assenza di organi delegati a rappresentare l’interesse generale dei cittadini e il rispetto degli accordi sottoscritti, la difficoltà nello sviluppare un sistema di fonti che faccia convivere la normativa “regionale” con quella nazionale e il ricorso a misure unilaterali sono le principali sfide che attanagliano il regionalismo in America latina. Contrariamente a ciò, il ruolo di organi quali Parlamento, Commissione e Corte di giustizia, delegati a tutelare l’interesse dei cittadini Ue e il rispetto del diritto comunitario, ha caratterizzato il processo di evoluzione dell’integrazione europea, limitando il ruolo dei metodi intergovernativi.

Il destino del regionalismo tra passi in avanti e indietro

La necessità di trovare una dimensione istituzionale al di sopra dello Stato per far fronte a esigenze, strategie e visioni comuni si è affermata nel corso del tempo in America Latina, così come a suo tempo si manifestò tra il nucleo di Paesi fondatori dell’attuale Ue.

L’esperienza europea non è esportabile di sana pianta in Sud America. Tuttavia, in un contesto in cui il tradizionale punto di riferimento delle forze politiche liberal democratiche (gli Stati Uniti) sembra auto-escludersi dalla regione, il momento di spingere l’acceleratore verso un’integrazione effettiva è più che mai adatto. Non necessariamente in tutta la regione, ma quantomeno in parte di questa, si potrebbe assistere a un rafforzamento delle istituzioni democratiche, a una più compiuta affermazione di economie di mercato efficienti e trasparenti e, infine, a un rafforzamento del regionalismo.

È innegabile che sin dagli anni Ottanta, nonostante molti passi indietro e fallimenti, si sia affermata una lenta e costante convergenza verso l’universo economico della globalizzazione e politico della liberal democrazia. Sebbene l’instabilità politica sia sintomatica del fatto che ad ogni esperienza di liberalizzazione economica e politica sia seguito un ciclo di populismo e autarchia commerciale, la dimensione ciclica del fenomeno non elimina tale prospettiva liberal democratica per l’America latina.

Oggi, in diversi Paesi, l’eredità lasciata dai vari regimi populisti è così pesante da generare un rigetto di qualsiasi messianismo ideologico e, soprattutto, di corruzione degli apparati statali. Il destino del Venezuela ne è la dimostrazione. Inoltre, prendendo in considerazione il contesto internazionale, la ritirata tanto in termini di hard power quanto, soprattutto, di soft power degli Stati Uniti toglie alla narrativa anti-liberale un elemento centrale. I liberal democratici latino americani possono dimostrare di non sostenere istanze subalterne agli interessi di Washington, ma di essere intimamente legati a un progetto politico autonomo per i rispettivi Paesi e organizzazioni regionali. 

Fonti e approfondimenti

-Mori, A. (2018). EU and Latin America. A Stronger Partnership?. Ledizioni.

-Ayuso, A., & Gardini, G. L. (2018). EU-Latin American Relations as a Template for Interregionalism. In Interregionalism across the Atlantic Space (pp. 115-130). Springer, Cham.

-Söderbaum, F. (2009). Comparative regional integration and regionalism. The Sage handbook of comparative politics, 477-496.

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