Il dilemma della sicurezza nel Pacifico

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

L’Estremo Oriente costituisce uno degli epicentri dell’economia mondiale, ma nelle acque del Pacifico da tempo si gioca una pericolosa partita. I principali attori regionali, Cina, Giappone, Vietnam e  Filippine, sono tutti parte di un complesso sistema di relazioni dominato dal dilemma della sicurezza.

Nell’ultimo decennio, Pechino ha incrementato esponenzialmente il proprio budget per la difesa. Nel 2016 la spesa militare Cinese è aumentata dell’8% rispetto all’anno precedente, ammontando a ben 150 miliardi di dollari; la seconda più alta dopo quella degli Stati Uniti.  Il Giappone, sotto la guida del governo conservatore di Shinzo Abe, ha avviato una radicale riforma costituzionale, indebolendo la connotazione estremamente pacifista che ha caratterizzato il popolo giapponese sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

A completare questo quadro poco rassicurante, si inseriscono anche diversi incidenti militari.  Nel novembre del 2015, una squadra di jet da guerra giapponesi è stata fatta decollare d’urgenza per intercettare 11 aerei cinesi che si erano  avvicinati allo spazio aereo nipponico. Nel 2014, alcune navi cinesi hanno danneggiato un’imbarcazione vietnamita nelle acque contese del Mar Cinese Meridionale, mentre tensioni si sono anche verificate tra la guardia costiera delle Filippine e quella cinese.

Ciò che accumuna i diversi attori regionali nello scenario del Pacifico sembra quindi essere l’insicurezza nei confronti dei propri vicini. Il  così detto dilemma della sicurezza è stato descritto per la prima volta da John Herz nel 1951. Esso si può definire come una situazione strutturale in cui i tentativi degli Stati di assicurare la difesa del proprio territorio portano, al di là della loro reale intenzione, gli Stati limitrofi a temere per la propria sicurezza. In quest’ottica, ogni attore interpreterà le proprie misure come difensive e quelle adottate dagli altri come una potenziale minaccia. Tale paradigma teorico, anche abbastanza intuitivo, viene spesso utilizzato per spiegare il contesto europeo precedente alla Prima Guerra Mondiale, ma esso può anche essere utile per descrivere lo scenario odierno del Pacifico.

Quali sono quindi gli elementi che hanno portato i diversi Stati di questa regione a sentirsi insicuri nei confronti dei propri vicini? Per rispondere a questa domanda possiamo utilizzare principalmente tre cause: 1) Cause storiche; 2) l’esistenza di contese territoriali irrisolte; 3) la presenza di un attore regionale sproporzionatamente più forte rispetto a tutti gli altri: la Cina.

Cause storiche

Il Pacifico, e in particolare gran parte della Cina e del Sud-Est Asiatico, sono stati a lungo oggetto della dominazione coloniale europea. Nel corso del XIX secolo, la Gran Bretagna aveva assunto il controllo di Malesia, Myanmar (allora Bruma) e parte della Cina; mentre la Francia si era espansa in Cambogia, Vietnam e Laos. Tale passato coloniale ha colpito al cuore l’orgoglio di questi Paesi, e il terrore di perdere ancora una volta la propria indipendenza è sicuramente un fattore determinante nel generare un complesso d’insicurezza. La Guerra del Vietnam, combattuta tra gli anni ’50 e ’70 dello scorso secolo, non costituisce solo una misura degli Stati Uniti per arginare l’espansione del comunismo in Asia, ma può anche essere letta come un ultimo tentativo dell’Occidente di conservare il proprio controllo del Paese. Di fatto, il conflitto trova le sue origini nel 1946 con il movimento d’Indipendenza vietnamita e l’esercito coloniale francese, allora ancora in possesso del Vietnam.

Ancora più evidente è l’enorme ferita aperta nel popolo cinese dall’invasione giapponese incominciata all’inizio degli anni trenta. Un episodio in particolare ha lasciato un marchio indelebile nella memoria collettiva di tutta la Cina. Quando nel 1937 le forze dell’Impero del Sol Levante occuparono la città di Nanchino (in quel periodo capitale della Repubblica di Cina), si diedero a saccheggi, omicidi e stupri sistematici per 6 settimane, sterminando ben 300.000 civili. Il risentimento di Pechino nei confronti del Giappone è ancora molto vivo e costituisce  una grande fonte di tensione tra i due Paesi. Infatti, al contrario di quanto fatto dalla Germania col proprio passato nazista, il Gippone non ha ancora intrapreso un processo incisivo di abiura nei confronti di questa dolorosa pagina di storia. A Tokyo vi è un santuario shintoista, il Santuario Yasukuni,  nel quale è conservata la lista dei nomi di più di 2 milioni di uomini e donne che diedero la vita per servire l’Impero Giapponese. Tra questi, vi sono anche i nomi di 14 criminali di guerra di classe A che si macchiarono di crimini efferati contro la popolazione cinese. E’ consuetudine per i capi di Stato nipponici recarsi in questo santuario per commemorare questi caduti; un gesto che viene considerato dalla Cina come un affronto.

Contese territoriali irrisolte

Un fattore destabilizzante della regione Pacifica è l’esistenza di dispute territoriali ancora irrisolte. Nel Mar Cinese Meridionale Cina, Vietnam, Filippine, Taiwan, e Malesia, hanno tutti pretese sulle isole Spartlys, Parcels e la secca di Scarborough. Questi arcipelaghi, pur non essendo molto popolati, hanno destato l’interesse di tutti i Paesi limitrofi a causa della presenza di importanti risorse  naturali di gas e petrolio e della pescosità di queste acque. La Cina è senza dubbio la potenza più aggressiva nel reclamare per sé questi territori. Infatti Pechino sostiene di avere un diritto storico a possedere praticamente tutto il Mar Cinese Meridionale. La questione è stata sottoposta al giudizio della Corte permanente ONU di arbitrato sul  Diritto del Mare, la quale si è espressa nel luglio del 2016 in senso contrario alle richieste della Cina. La Repubblica Popolare ha ufficialmente rifiutato di accettare la decisione della Corte, alimentando ancora di più la sensazione di insicurezza degli altri Stati contendenti.

La Contesa in corso nel Mar Cinese Meridionale non è l’unica a creare instabilità.  Le Senkaku o Diaoyu, a seconda che si usi il nome giapponese o cinese di queste isole, costituiscono un altro punto di tensione nel Pacifico. Situato nel Mar Cinese Orientale, l’arcipelago è rimasto sotto il controllo Giapponese sin dal 1895, fatta eccezione per una piccola parentesi in cui le isole sono state amministrate dagli USA come parte delle Rykyu (1945-1972). Quando nel 1970 emerse l’evidenza di possibili giacimenti di petrolio nell’area delle Senkaku, la Repubblica Popolare Cinese cominciò a considerare l’arcipelago come parte del proprio territorio nazionale e a reclamarne il possesso.

Il terrore della Cina

In fine, la presenza di un colosso regionale come la Cina, contribuisce fortemente ad alimentare il senso d’insicurezza dei Paesi più piccoli. In quest’ottica, Stati come il Giappone, le Filippine e addirittura il Vietnam, non possono far altro che cercare l’appoggio degli Stati Uniti per arginare il gigante Cinese. Sotto l’amministrazione Obama, gli USA si sono fortemente impegnati in Asia al fine di contenere l’espansione economica e politica di Pechino. Il Pivot to Asia di Obama è forse la formula politica che meglio descrive il livello di impegno di Washington nella regione. Gli Americani negli ultimi otto anni hanno focalizzato le proprie energie economiche e militari nel Pacifico, formando sistemi di cooperazione interstatale come l’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico) e accordi economici come il TPP (Trans Pacific Partenrship), che, escludendo la Cina , sono  volti a ridurre il peso economico e politico di quest’ultima.

Dopo aver presentato le tre cause del dilemma della sicurezza nel Pacifico, possiamo descrivere le misure che i vari Stati regionali hanno adottato per sopperire alla propria necessità di difendersi.

Il Giappone

Il Giappone ha esplicitamente identificato la Cina come una reale minaccia per la propria sicurezza nazionale. Il Primo Ministro Shinzo Abe, al fine di fronteggiare il pericolo posto dalla Cina, ha annunciato la volontà del governo nipponico di assumere un ruolo di spicco nell’architettura asiatica della sicurezza. Il Giappone ha quindi rivisto l’articolo 9 della propria Costituzione, con lo scopo di permettere alle  forze armate giapponesi  di intervenire in difesa dei propri alleati nel caso in cui quest’ ultimi dovessero essere attaccati .

Abe ha inoltre incrementato il budget speso dal paese per la difesa e aumentato la vendita di armamenti ad altri attori regionali. Il Giappone sta già rifornendo di imbarcazioni militari i Paesi che, come il Vietnam e le Filippine, contrastano i tentativi di espansione della Cina nel Mar Cinese Meridionale. Il governo Abe ha anche siglato un accordo militare con l’Australia rinforzando l’impegno dei due Paesi a difendersi reciprocamente. L’accordo include anche la possibilità per il Giappone di vendere sottomarini all’Australia.

 Le piccole potenze: il Vietnam e le Filippine

Considerando le modeste dimensioni di Vietnam e Filippine, questi due Paesi sopperiscono al proprio senso di insicurezza allineandosi con potenze più grandi come il Giappone e gli Stati Uniti. La cooperazione militare tra Filippine e USA, sebbene messa recentemente a repentaglio dalla presidenza di Rodrigo Duterte, ha sempre dato prova della propria solidità. Le Filippine hanno recentemente rimesso in funzione la Base militare di Subic Bay e ratificato l’Enhanced Defence Cooperation Agreement  (EDCA) con gli Stati Uniti. Lo stesso discorso si può fare per il Vietnam, che pur di controbilanciare la minaccia posta dalla Cina, ha avviato un processo di avvicinamento con gli Stati Uniti, il vecchio invasore, divenendo un membro dell’ASEAN. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno posto fine all’embargo sulla vendita di armamenti ad Hanoi.

La Cina

Nell’ultimo decennio la Cina ha avviato un processo di modernizzazione delle proprie forze armate dispiegando nuovi sottomarini nucleari di tipo 094, sviluppando missili balistici a testata multipla (ovvero armabili con più testate nucleari) e mettendo in servizio la sua prima portaaerei, il Liaoning, nel 2012. Inoltre, Pechino ha intrapreso un percorso di riavvicinamento con Mosca al fine di bilanciare lo strapotere USA nel globo e nel Pacifico. Di fatto si sono da poco concluse una serie di esercitazioni militari (dal nome Joint-Sea 2016) condotte congiuntamente da Russia e Cina.

Ma il colosso asiatico, più che sulle sue forze militari, fa affidamento sulle proprie risorse economiche per difendersi. Negli ultimi anni la Repubblica Popolare ha avviato una serie di progetti economici come One Belt One Road e la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture,  entrambi volti a spezzare la politica di contenimento avviata deagli Stati Uniti con il Pivot to Asia.

La Cina sembra quindi aver adottato una strategia molto  paziente che sta già dando i propri frutti. La possibilità di ricevere finanziamenti cinesi per lo sviluppo di infrastrutture rappresenta una ghiotta occasione per i piccoli Paesi asiatici. Questi ultimi saranno infatti disposti ad accettare l’egemonia cinese al fine di accelerare il proprio sviluppo economico. Questo approccio di Pechino ha già raggiunto ottimi risultati nel Mar Cinese Meridionale, dove il presidente filippino Duterte, in seguito al raffreddamento delle relazioni con gli Stati Uniti, ha optato per un inedito avvicinamento con la Repubblica Popolare Cinese. Alla fine di ottobre, durante una visita di Duterte in Cina, il governo di Manila si è assicurato ingenti investimenti di capitale cinese per la costruzione diverse infrastrutture, tra cui un ambizioso sistema ferroviario. Duterte nel corso di questa visita si è persino dichiarato disposto a riaprire il dialogo con Pechino sulle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale.

La Cina sembra quindi destinata a prevalere nello scenario del Pacifico. Pechino gioca una partita in cui non ha alcun rivale a livello regionale. Di certo gli Stati Uniti, pur essendo una potenza esterna, costituiscono un  ostacolo per la sicurezza e i progetti di dominio della Cina. Tuttavia in un’ottica di lungo corso, gli USA non saranno probabilmente in grado di mantenere una costante presenza economica e militare nel Pacifico.

Fonti:

http://www.bbc.com/news/world-asia-pacific-13748349

http://www.ecfr.eu/article/commentary_asias_security_dilemma292

http://www.ecfr.eu/article/commentary_china_and_the_south_china_sea_arbitration_what_next_7082

Regional Security Architecture in the Asia-Pacific: What Role for the EU?

http://carnegieendowment.org/2015/04/02/conflict-and-cooperation-in-asia-pacific-region-strategic-net-assessment-pub-59492

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